martedì 14 ottobre 2014

Siamo tutti cavie di Emanuele Salvati – operaio TKAST, Circolo lavoratori PRC Terni

Storia delle acciaierie di Terni e l’esperimento renziano.
Gli operai delle acciaierie di Terni, ma complessivamente tutta la cittadinanza, stanno vivendo le loro ore più tragiche. Le scelte scellerate del colosso tedesco ThyssenKrupp, dettate dalla finanza e da un’idea di riorganizzazione complessiva del comparto siderurgico europeo che premia solo la Germania, stanno mettendo a repentaglio non solo la storia e la vocazione industriale di Terni bensì la sua stessa sopravvivenza come comunità. Sull’altare del riassetto finanziario si vogliono di colpo cancellare 130 anni di storia siderurgica italiana. La “città fabbrica”, culla della chimica premio Nobel (Montedison), degli acciai speciali, dei fucinati esportati in tutto il mondo, del batiscafo Trieste di Piccard, rischia di scomparire del tutto come rischia di scomparire il 30% del PIL umbro. Ma, complessivamente, rischia di scomparire dal panorama nazionale l’intero comparto siderurgico, un tempo tra i primi cinque al mondo, solo perché è la Germania -all’interno dell’area Euro- la realtà che deve mantenere i comparti manifatturieri.
Piccola storia.
La vertenza della TKAST ha però una peculiarità. Due anni fa venne creata, da parte di ThyssenKrupp, la Inoxum, una società finanziaria usata da contenitore dove inglobare tutti gli stabilimenti di produzione dell’acciaio inossidabile per poterli vendere al miglior offerente. D’altronde, la finanza crea il vento del libero mercato quindi non è strano vedere un colosso dell’acciaio abbandonare la produzione dell’acciaio stesso. Lo stabilimento ternano insieme a quelli di Bochum e Krefeld passarono di proprietà della Outokumpu, colosso pubblico finlandese. Il loro piano prevedeva la chiusura degli impianti tedeschi, obsoleti ed inquinanti, e investimenti sul sito ternano, un sito a produzione integrata con già molti investimenti rispetto ad una produzione ambientalmente sostenibile. L’Antitrust europeo (la Germania) disse di no perché con l’investimento a Terni la Outokumpu avrebbe sforato le quote europee. Perciò, con una piroetta imprevedibile e finanziariamente incomprensibile, il sito ternano e Bochum/Krefeld ripassarono sotto la ThyssenKrupp per fare cassa, semplicemente cassa. Se però a Bochum furono investiti miliardi di euro con la costruzione anche dell’altoforno piú grande d’Europa, a Terni fin da subito entrò la Mc Kenzie, società multinazionale specializzata in piani di ottimizzazione e ristrutturazione. Fino al giugno scorso quando, conclusa la fase preliminare di studio, entrò in scena la sig.ra Lucia Morselli, già balzata alle cronache per la vicenda della Berco. Il risultato è un piano di ristrutturazione che porterà ad un risparmio di 100mln l’anno e che definirlo “lacrime e sangue” è dir poco: chiusura di un forno fusorio, la chiusura del Tubificio (perla di diamante), della Società delle Fucine e dell’altro gioiellino dell’Aspasiel, un’azienda che fornisce servizi telematici allo stabilimento e che è considerata appunto un gioiello di tecnica. In più, 550 licenziamenti diretti che senza un forno arriveranno a più di 1000, la gestione in Germania del commerciale e soprattutto la fine del contratto di secondo livello (integrativo) che decurterà lo stipendio di 250€ minimo; entro il 2015 la decisione sul secondo forno che trasformerà lo stabilimento in un grande centro servizi con 600/700 occupati a fronte dei 2600 odierni. Un piano basato sulle bugie perché l’azienda parla di 850mln di perdite mentre la Camera di Commercio di Terni, conti alla mano, fa scendere tali perdite a “solo” 350mln. Una bella differenza. Ma l’aspetto devastante è appunto il fatto che il 40% dei 100mln da recuperare viene dagli esuberi e dalla decurtazione dell’integrativo.
Le colpe dei principali attori.
In questi due anni si è assistito ad un lassismo e ad un mutismo complice e connivente da parte dei governi e del sindacato. Le logiche di partito che governano i rapporti tra Istituzioni e oo.ss. hanno fatto sì che in due anni non si muovesse foglia; al susseguirsi di comunicati in cui si evidenziava la “preoccupazione” delle RSU e delle segreterie territoriali non si è risposto con indagini, analisi, proposte e mobilitazione da parte di nessuno mentre Sindaco e presidente della Regione chiamavano alla tranquillità perché le Istituzioni stavano vigilando. Tutto fino a metà luglio di quest’anno, quando il piano è divenuto realtà. Ma ormai i buoi erano scappati. La rabbia operaia che la scorsa settimana, dopo il naufragio della trattativa, si è manifestata con i blocchi delle portinerie, con l’occupazione della stazione ferroviaria e con il blitz di un gruppo di operai nella federazione del PD -trovata già sgombrata e da cui è stato tolto e portato via il quadro di Gramsci- è il sintomo evidente del fatto che la classe operaia è ancora pensante, è ancora fortemente critica e propositiva, a dispetto di venti anni di imbonimento politico e culturale. Una classe sociale che ci dice che solo la lotta paga e che con solo la lotta si riescono ad ottenere risultati. Se si è ottenuta la convocazione del tavolo al Mise lo si è dovuto solo al fatto che la sig.ra Morselli è stata letteralmente chiusa dentro il suo ufficio dalle 14 del 21 luglio fino alle 5,30 della mattina seguente, con fuori centinaia di operai a presidio della palazzina fin dentro il corridoio della direzione.
Il tavolo al MISE e l’esperimento del Jobs Act.
Dallo scorso 3 settembre si sono susseguiti tavoli settimanali alla presenza svogliata del governo; a volte la Guidi, a volte il sottosegretario, una volta nessuno e si è tornati a casa. Il primo esperimento lo si è avuto nelle relazioni che strutturavano il tavolo, con il governo che faceva da postino tra le due parti; non un tavolo unico, con azienda e oo.ss. ma incontri singoli in cui il governo riferiva le posizioni dell’altro. Un tavolo di trattativa strutturato così è perdente in partenza. Il piano alternativo del sindacato prevede l’ottimizzazione delle forniture, degli approvvigionamenti di materie prime e di rottame (a Terni ci sono i forni elettrici e non gli altiforni), così da recuperare gran parte dei 100mln, una nuova strutturazione dei parametri che vanno a calcolare i premi di produzione, investimenti sugli impianti e sulla sostenibilità ambientale delle produzioni (smaltimento delle scorie), garanzia dei mix produttivi e parità tra produzione a caldo e a freddo, il non spegnimento dei forni. Ma sia l’azienda che il governo sono stati sordi e complicemente alleati. È stato un muro contro muro continuo in cui il governo al massimo ha garantito sconti sull’energia. La settimana scorsa la proposta del governo si è tramutata in un documento che, avendo dovuto costituire una possibile mediazione, ha fatto invece precipitare la situazione: è un documento che solo sintetizza il piano di TKAST in cui mantenimento delle produzioni, dei centri fusori e del commerciale sono punti aleatori in cui l’unica voce messa nero su bianco sono invece i 290 esuberi e la riduzione del salario. Inaccettabile. Oltretutto l’azienda stamani ha iniziato le procedure per i 537 esuberi e cinque giorni fa non ha permesso l’ingresso dei lavoratori fuori turno per l’assemblea con il risultato della chiamata allo sciopero con assemblea in strada che ha decretato il blocco -poi tramutato in presidio- delle portinerie con scioperi “a scacchiera”. Nel frattempo è anche iniziato “il metodo Berco” e cioè la volontà, da parte dell’azienda, di “regalare” 80000€ ed un anno di mobilità a chi volesse licenziarsi volontariamente. Una proposta eversiva che, in una situazione di blocco della trattativa, rischia di spezzare le gambe ai lavoratori ed al movimento sindacale anche perché questa somma messa a disposizione è presa dai soldi che si risparmieranno con l’integrativo. Ieri c’è stata una nuova iniziativa di contestazione da parte degli operai, ancora più clamorosa: durante l’inizio del consiglio comunale allargato, gli operai hanno pesantemente contestato il sindaco come pure il segretario provinciale della CGIL che si era scagliato contro le parole del vicepresidente della Camera Di Maio, ricevendo così il duro attacco da parte dei pentastellati e di buona parte dei lavoratori. Degno di nota, l’intervento di Oreste Scalzone che più di una volta in questa fase ha strappato applausi a tutti gli operai. Il sindaco ieri ha tirato fuori il coniglio dal cilindro e, dopo un consiglio comunale semivuoto che anche stavolta non ha trovato unità sulla situazione delle acciaierie e in cui la proposta alternativa delle RSU non è stata neanche presa in considerazione, ha buttato sul tavolo l’invito ricevuto dal governo per giovedì prossimo in cui parteciperanno solo sindaco, presidente della Regione e Governo, senza oo.ss. Per parlare di cosa, se il consiglio comunale neanche ieri è riuscito a sottoscrivere un documento? Se il piano alternativo delle RSU non è preso in considerazione, da cosa riporteranno? Semplice, dal piano scellerato del governo, quello di cui si parlava sopra. Si evince quindi, nella sua totalità, il piano del PD: certezza degli esuberi e messa sul mercato, quanto prima, delle acciaierie. Proprio quel mercato che permette alle multinazionali, governate ormai dalla finanza, di effettuare non piani industriali bensì solo piani speculativi che di fatto fanno chiudere siti produttivi che invece dovrebbero essere strategici.
Due settimane fa, durante i presidi spontanei organizzati davanti ai cancelli in contemporanea agli incontri al Mise, si discuteva sul perché dei continui spostamenti delle date degli incontri. Tutto ciò era dovuto al fatto che il governo aveva già stilato il Job Act e che voleva fare un regalo alla direzione aziendale facendoci essere la prima azienda che ne avrebbe subìto le conseguenze. Tutto era stabilito, anche la data; infatti l’incontro decisivo al MISE con la presenza della Guidi e di Del Rio era in contemporanea con la votazione sulla fiducia al Job Act in Senato. Leggendo infatti il piano della Thyssen non si possono non notare convergenze inquietanti con il piano di Renzi: taglio dei salari e demansionamento, straordinari non pagati, esuberi da ristrutturazione per crisi economica non più impugnabili davanti al giudice grazie allo smembramento dell’art.18, mobilità e reinserimento per i licenziati. I lavoratori delle acciaierie di Terni sono quindi cavie, topi all’interno del più grande laboratorio che per il turbo capitalismo e l’iper liberismo è divenuto il nostro paese.
Il contributo dei comunisti.
In questo anno la federazione ternana del PRC ha chiesto invano una connessione, una messa a sistema delle tre grandi vertenze della siderurgia italiana: Piombino, Taranto e Terni. Per i comunisti questa dovrebbe essere prassi, metodologia di base. Anche lo stesso sindacato non ha saputo, o voluto, mettere in connessione tali vertenze e questo è politicamente un grave errore. La connessione, la condivisione delle esperienze, la sintesi in una unica proposta di calibro nazionale, oltre ad avere piú peso politico può finalmente ricreare un minimo di coscienza di classe che oggi purtroppo è drammaticamente scomparsa. Il PRC Terni ha saputo gestire la fase della crisi con proposte sensate che vanno nella direzione opposta a quella dei partiti della finanza: ripubblicizzazione, grazie alla Cassa Depositi e Prestiti, non solo del sito ternano ma di tutti e tre i siti nazionali in crisi con un progetto complessivo e una visione strategica della siderurgia, non una nuova Finsider ma un soggetto nuovo, aperto anche a nuove idee circa la “proprietà pubblica” ma in cui lo Stato sia capofila e protagonista contro gli assalti alla diligenza che si sono susseguiti in questi venti anni, in cui possa essere il gestore e il pianificatore dell’economia reale e delle produzioni. Del resto, lo si vede a Terni come a Taranto, solo il pubblico può garantire investimenti per l’ammodernamento impiantistico, per la sostenibilità ambientale delle produzioni e la salvaguardia dei posti di lavoro e della salute dei cittadini. Ma per ottenere questo ci vogliono i comunisti con le loro proposte alternative, alternative al pescecanismo vendoliano e all’idea del mercato regolatore quindi della vendita del sito come unica soluzione, avanzata dal PD. I comunisti debbono essere l’avanguardia del movimento dei lavoratori che possa, tramite il lavoro dal basso, far cambiare analisi non solo ai lavoratori stessi ma anche ai loro rappresentanti. In questo senso, parte dei comunisti ternani svolgono un intenso lavoro di analisi e proposte all’interno della fabbrica, con il circolo lavoratori del PRC; volantini, discussione all’interno dei reparti e iniziative politiche lo fanno essere ad oggi un punto avanzato del partito tutto. Anche la nostra presenza all’interno del movimento contro gli inceneritori e gli impianti a biomasse fa sì che la proposta politica dei due soggetti, circolo lavoratori e movimento ambientalista, sia una proposta integrante che mette insieme diritto al lavoro e allo sviluppo industriale dell’Ast e diritto alla salute. I comunisti, quando lavorano tra il popolo e per il popolo, sanno essere ancora pericolosi.

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