sabato 28 febbraio 2015

Landini: «Sì, voglio fare politica» Ecco la rete oltre il lavoro



«Alcuni mi dicono: ma tu così vuoi fare poli­tica! E io rispondo: sì, voglio fare poli­tica!». Que­sta frase, pro­nun­ciata all’Assemblea dei metal­mec­ca­nici di Cer­via, potrebbe sem­brare quella che tutti cer­cano: l’ammissione di Mau­ri­zio Lan­dini, final­mente. Che dirada le neb­bie della «coa­li­zione sociale», diven­tata quasi il sacro Graal della sini­stra, per but­tarsi in poli­tica. Eppure no, non ci siamo ancora. Per vin­cere le accuse di ambi­guità, il segre­ta­rio Fiom cerca allora di spie­gare l’origine della «coa­li­zione sociale», e anche il suo signi­fi­cato, con esempi di vita quo­ti­diana. Innan­zi­tutto la genesi. Dob­biamo risa­lire agli anni Set­tanta, e poi spo­starci velo­ce­mente al set­tem­bre scorso. «Cosa face­vamo quando negli anni Set­tanta chie­de­vamo che l’1% degli utili di impresa non andasse al nostro sala­rio, ma a costruire ser­vizi sociali? Non chie­de­vamo asili e mense non solo per i lavo­ra­tori, ma per tutti i cit­ta­dini? Non era quello un punto di vista gene­rale? Il pro­blema è che abbiamo smesso di farlo, non che qual­cuno voglia farlo oggi». E ora, sì: «Alcuni mi dicono: ma tu così vuoi fare poli­tica! E io rispondo: sì, voglio fare politica!».
Frase che nel suo con­te­sto si com­prende meglio. Quindi Lan­dini riporta quell’esempio a oggi: «A Pomi­gliano metà lavo­rano e metà no. Allora con Libera abbiamo creato un fondo, che si ali­menta con gli straor­di­nari di chi lavora ma anche con altre dona­zioni, e potrà ser­vire a chi non rie­sce a pagare le bol­lette, a chi rischia lo sfratto».
La «coa­li­zione sociale» esce dai can­celli delle fab­bri­che e va a incon­trare i pro­blemi delle fasce deboli, ovun­que esse siano, che lavo­rino o no. L’esegesi ci porta poi al set­tem­bre scorso: «Nel docu­mento che pro­prio qui, da Cer­via, lan­ciava la mani­fe­sta­zione del 25 otto­bre con la Cgil, scri­ve­vamo che la coa­li­zione sociale ‘uni­fica le lotte per il lavoro e i diritti sociali, ed è fatta di lavo­ra­tori, stu­denti, pre­cari, disoc­cu­pati, migranti’».
Per con­cre­tiz­zare Lan­dini non cita la clas­sica tuta blu. «L’altra sera all’Autogrill la ragazza che ci ha ser­vito il caffè mi ha spie­gato che è un inge­gnere elet­tro­nico, e che lavora per 700 euro, con un con­tratto che scade tra 14 giorni. Se non me lo rin­no­vano, mi ha detto, vado all’estero». Un’assistente per gli anziani, rac­conta poi, «prima ha rifiu­tato lavori per 3,5 euro l’ora, poi per 3. Ma alla fine, quando l’hanno chia­mata per 2,5, non ce l’ha fatta: ‘Devo accet­tare — mi ha detto — ho una figlia pic­cola e il marito in cassa’. Ecco, que­ste per­sone qui, come le rappresento?».
Ci pen­serà, appunto, la coa­li­zione sociale. Che legherà diverse figure, di lavo­ra­tori e non, movi­menti, asso­cia­zioni, lo stesso sin­da­cato. E che un giorno potrebbe avere uno sbocco poli­tico, per­ché no, come Syriza o Pode­mos, ma per ora Lan­dini glissa: «I poli­tici fanno i poli­tici, e magari si con­fron­te­ranno con le mobi­li­ta­zioni che ven­gono dal basso». Lo spa­zio c’è, per­ché «nono­stante il genio di Firenze e Grillo, l’astensionismo aumenta».
Quindi si parte da «cose molto sin­da­cali»: «Il nuovo Sta­tuto dei lavo­ra­tori, un refe­ren­dum per abro­gare il Jobs Act, le rac­colte di firme per gli appalti e per can­cel­lare il pareg­gio di bilan­cio in Costi­tu­zione». Ma poi la lotta si allarga, e allora chissà: «Ci bat­te­remo con altri per la difesa dei diritti, per la casa, la salute, la lega­lità, per rein­ve­stire i beni con­fi­scati alle mafie».
di Antonio Sciotto, Il Manifesto

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