Nell'Unione Europea la democrazia è stata “superata”, anche
se resta come straccio retorico buono per ogni occasione. Lo abbiamo
scritto con chiarezza diverse volte, fin dall'”invasione” della Troika,
nel novembre del 2011, quando un governo nauseabondo, votato alla
truffa, fu rimosso e sostituito da un altro obbediente in toto alle
prescrizioni sovranazionali.
Non si era mai
visto, infatti, un governo nazionale mettere nero su bianco, in un
documento fatto arrivare ai giornali, l'intimazione ad
un altro governo di “rinunciare alle promesse elettorali”; ovvero di
non rispettare il mandato raccolto dai suoi cittadini. Non è un
dettaglio contabile o un vezzo intellettuale “progressista”: è il fondamento del sistema occidentale moderno, liberale, “normale”.
Questo è
avvenuto. Il governo Merkel intima al governo Tsipras di scordarsi tutto
il programma per cui è stato eletto, indicando invece le misure
che dovrebbe prendere: accettare ancora la guida della Troika (il trio
di funzionari nominato da Bce, Ue e Fmi che non ne hanno azzeccata una,
aggravando la tragedia greca), privatizzare tutto, tagliare la spesa
pubblica e l'amministrazione dello Stato, rispettare il pareggio di
bilancio e ripagare i creditori. Punto.
Chiunque sia eletto a governare un paese membro dell'Unione deve fare quello che l'Unione dice, non quel che
la popolazione chiede. Anche se si trattasse del popolo tedesco,
insomma. Su questo, di fatto, sono al momento schierati ufficialemnte
tutti i governi europei, anche quelli che più avrebbero da guadagnare da
un allentamento della stretta.
La rigidità della risposta europea
ha ragioni strategiche, oltre che economiche. Se le soluzioni proposte
dal governo Syriza per attenuare il probema del debito fossero accolte
anche soltanto in parte, ogni paese europeo con problemi simili avrebbe
molto più margine di manovra di quanto ne abbia mai sognato. I trattati e
l'”austerità” finirebbero rapidamente in soffitta; la rendita di
posizione dell'economia tedesca, anche. La costruzione soffocante
incardinata su Bruxelles-Francoforte-Berlino dovrebbe accettare di
ricontrattare altri equilibri strutturali oppure rompersi.
Per questo non c'è mediazione possibile neanche di fronte a un governo “seriamente riformista”. Per questo, al contrario, anche il moderato
“riformismo di necessità” che Syriza esprime è in queste condizioni
un'occasione di rottura che andrebbe allargata, approfondita,
moltiplicata in tutti i paesi del continente.
Lo sanno anche gli opinionisti padronali. Sia quelli poco seri che straparlano di “invisibili trame contro l'euro”, sia quelli che riconoscono le ragioni forti di uno scontro la cui posta in gioco è la sopravvivenza.
“Se disinnescano il tentativo di spallata di Syriza, i governi in carica dimostrano che anche le promesse degli altri partiti euro-scettici – radicali o populisti a seconda dei punti di vista – sono irrealistiche. Per molti leader, dalla Francia alla Finlandia, dalla Spagna alla Germania, è una questione di sopravvivenza politica dimostrare che le regole europee andranno rispettate da chiunque governi, a cominciare da Syriza”.
Abbiamo evitato fin dall'inizio
di fare i tifosi pro o contro Syriza (per capirci: non ci siamo
arruolati nella “brigata Kalimera” o con gli arcigni profeti di
sventura), perché pensiamo che il problema sia dare battaglia puntando a vincere,
non di stare sugli spalti. Battere i governi guidati dalla Troika,
rovesciare le politiche economiche, mettere al centro i bisogni della
popolazione (lavoro, casa, welfare, reddito), è faccenda complicata,
dura, di non breve durata. Perché il nemico è forte, feroce e in crisi.
Sono lontani i tempi in cui i bisogni sociali alla base delle lotte erano “deviabili” con un po' di spesa pubblica, ossia comprando consenso sociale per allontanare gli spettri rivoluzionari. Oggi proprio la riduzione
della spesa pubblica – lo spazio concreto della mediazione tra le
classi, il rubinetto della redistribuzione del reddito – è al centro
delle politiche di austerità.
Non c'è insomma spazio sistemico per il riformismo; quindi anche il semplice riformismo rischia di avere effetti involontariamente dirompenti su un sistema irrigidito dalla crisi, impossibilitato a risposte mediatorie.
L'attuale governo greco ha di fatto aperto una finestra di instabilità dentro la fortezza cupa dell'Unione Europea.
Inutile, e in fondo stupido, star qui a scommettere sulle sue
possibilità di vittoria o sulla certezza della sua sconfitta. C'è una
battaglia da fare per allargare quella crepa, specie per chi vorrebbe
andare anche oltre le intenzioni soltanto riformiste e procedere sul
terreno dello smantellamento della gabbia dell'Unione Europea
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