Quelli del PD sono tutti contenti perché hanno vinto la battaglia del Quirinale, mortificato Berlusconi e Alfano, fanno campagna acquisti a due soldi, che la sindrome scimpanzé (l'espressione non è mia, ma del Professor Panebianco, prendetevela con lui...) dilaga in Parlamento più dell'influenza. Certo, tutte le ciambelle non vengono col buco, si sa. E quindi Berlusconi di traverso è seccante, perché faceva tanto comodo averlo dalla propria parte per tenere a bada i riottosi di casa propria, e magari anche gli sherpa del governo (NCD e SC), e in Parlamento si vedono tristi spettacoli con bracci di ferro tra maggioranza (dove, come detto, ci sono diversi mal di pancia) e opposizione, con insulti e anche qualche schiaffo che vola.
Tutto questo per le riforme, battaglie campali del Premier, laddove, si da il caso, l'emergenza italica resta quella economica.
Ma lì la demagogia renziana fa più cilecca, perché si scontra con dati che non vengono dagli avversari, che potrebbero essere tacciati di mentire, ma da fonti neutrali, come l'Istat, il Censis, la commissione europea.
Davide Giacalone ne elenca alcuni. Chissà se li conoscono gli esponenti piddini che dicono che in Italia ora "si sta meglio".
Cresciamo meno della metà dell’eurozona, non riuscendo a
riassorbire la disoccupazione. Ciò dovrebbe imporre, a tutti, il tema di
cosa fare per rimediare. Invece si cerca su chi scaricare la colpa,
agevolati dal fatto che al governo hanno appena provato a prendersi il
merito di dati e previsioni di pura fantasia.
Nelle scorse settimane abbiamo letto di previsioni di crescita del
prodotto interno lordo, per l’anno in corso, del 2,1%. Alcuni, più
prudenti, supponevano un +1,6. Domandavamo: da dove arriva questa manna?
Rispondevano: dal calo del petrolio e dalle politiche espansive della
Banca centrale europea. Più le meravigliose riforme già fatte e che solo
chi si picca di leggere i documenti non riesce a vedere. Ora arriva la
previsione della Commissione europea: l’Italia dovrebbe crescere dello
0,6%. Dopo tre anni di recessione. L’intera zona dell’euro, noi
compresi, è data in crescita dell’1,3%. Considerato che in quella media
ci siamo noi, ed è già più del doppio della nostra, risulta evidente che
gli altri crescono allargando il distacco. Le cose non andranno meglio
nel 2016, perché è vero che noi dovremmo crescere dell’1,3, ma l’area è
previso che faccia +1,9. Lo svantaggio relativo diminuisce solo dello
0,1, mentre quello assoluto cresce.
Tale crescita, inoltre, non è il frutto delle riforme che facciamo
all’interno, ma del trascinamento che subiamo dall’esterno, tanto è vero
che un’eventuale flessione della domanda globale è segnalata come
possibile causa di problemi nei nostri conti. Sono le esportazioni a
funzionare, prevedendosi un saldo attivo del 2,6 fra importazioni ed
esportazioni. Ciò vuol dire che a tirare la carretta ci sono le aziende
che esportano, agevolate da null’altro che dal deprezzamento dell’euro.
Cioè da quel che non dipende da scelte politiche compiute all’interno
dei nostri confini. Occhio a quel che segue.
Nelle stime fatte a novembre si prevedeva una crescita del nostro pil
dello 0,6. Esattamente quella che si prevede ancora oggi. Ma si pensava
che quella crescita avrebbe portato al 12,6% la disoccupazione, nel
corso del 2015. Posto che il 2014 si era chiuso con la disoccupazione al
12,9. Ora, invece, si corregge la previsione, peggiorandola: dovremmo
chiudere l’anno con il 12,8% dei disoccupati. Ovvero quelli che abbiamo
oggi. Ma non ci era stato raccontato che solo a gennaio si erano creati
100mila posti di lavoro? Peccato fossero 94mila e compensassero a
malapena gli occupati persi da ottobre. Nel 2016 dovremmo trovarci con
il 12,6% di disoccupati, quindi con un calo dello 0,2. Nessuno,
intellettualmente onesto, può sostenere che sia colpa di questo governo,
visto che scontiamo una lunga e devastante perdita di competitività e
crescita dei costi interni. Però nessuno, intellettualmente onesto, può
continuare a vendere la balla che le riforme denominate all’inglese sono
in grado di mettere al lavoro i disoccupati in vernacolo. L’Italia
arranca e scivola anche perché al gran clamore delle polemiche seguono
risultati striminziti e contraddittori. E veniamo ai conti pubblici,
dove si trova la polpetta avvelenata, fin qui nascosta agli italiani.
Qui la Commissione si fa prudente, perché i conti italiani devono
ancora essere rivisti. Fin qui siamo alla fede rispetto a quel che dice
il nostro governo. E sentite che dice: nel 2014 il deficit è stato al 3%
(che il cielo ci assista e che non si trovi nulla a farlo crescere);
nel 2015 sarà del 2,6; nel 2016 del 2. Come si ottiene questo risultato?
Mediante l’aumento del gettito fiscale. Avete letto bene. E io lo leggo
nelle carte europee: perché aumenta la pressione fiscale. Laddove ci
era stato detto che sarebbe diminuita nell’anno in corso. La verità è
che rispetto ai conti a sua volta fatti dal governo italiano c’è una
imponente novità, ovvero la Bce che fa scendere significativamente il
costo del debito pubblico. Bravissimi, ma com’è, allora, che tale
meravigliosa cosa non produce da sola, senza tasse, la discesa del
deficit? Risposta: perché non sono capaci d’imbrigliare la spesa
pubblica. Vedi al capitolo Cottarelli e secretazione dei suoi lavori.
Saldo finale: debito pubblico che cresce al 133% del pil quest’anno e si
spera scenda (si fa per dire) al 131,9 il prossimo.
Torno da dove sono partito: dobbiamo chiederci cosa fare per
disincagliare l’Italia, posto che il motore produttivo funziona, come
dimostrano le esportazioni. Rispondiamo: abbattimento del debito,
mediante dismissioni; tagli della spesa corrente; tagli alla pressione
fiscale; smantellamento della pressione burocratica. I dettagli
illustrati molte volte. Ma, prima di tutto, piantiamola di prenderci per
i fondelli fa soli. Operazione impossibile per la fisica, ma praticata
dai parolai.
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