La doppia morale è sempre stata una costante delle classi
dirigenti europee. Almeno da quando i governi e le rivoluzioni liberali
alla fine del 1700 proclamarono i diritti umani, escludendo però da essi
gli schiavi d'oltremare e gran parte del mondo del lavoro.
Questa Europa dalla doppia morale collassò esattamente cento anni fa
con la prima guerra mondiale. Dopo venti anni di massacri il continente
che uscì dalla sconfitta del fascismo sembrò proprio voler cambiare
strada. La competizione tra est comunista ed ovest democratico liberale
fu anche sulla realizzazione dell'eguaglianza sociale e sulla estensione
dei diritti. Si sviluppò così lo stato sociale, quella che tuttora a me
pare la più grande conquista collettiva della storia dell'umanità. Il
crollo del socialismo reale assieme alla svolta liberista nella politica
economica mondiale, hanno messo in discussione in Europa la sostanza di
fondo di quella conquista e hanno imposto una regressione di cui ogni
giorno che passa misuriamo estensione e portata.
È così tornata a governare la doppia morale, i diritti sociali e del
lavoro sono diventati costi e le libertà materiali si fermano alla
soglia della libertà di mercato. I nobili princìpi che sono a caposaldo
della costruzione della Unione Europea sono diventati strumenti delle
politiche di austerità e rigore. Chi ha concepito quel disastro
economico e sociale che si è rivelato l'Euro lo ha spesso giustificato
spiegando che la moneta unica avrebbe dovuto essere il primo passo per
una Europa unita, giusta e solidale. Ora questi buoni principi vengono
proclamati per giustificare la continuità dell'Euro, dei patti fiscali e
dei memorandum che lo sostengono.
In pochi anni cinquanta milioni di cittadini europei sono sprofondati
in una povertà vicina a quella del vecchio terzo mondo. Il livello
della disoccupazione è superiore a quello degli anni trenta del secolo
scorso, la concentrazione della ricchezza e la diseguaglianza sociale,
ci dicono diverse ricerche, stanno tornando a cento anni fa. E forse per
questo la moderna Europa sta restaurando i suoi più antichi linguaggi
della politica.
Era dall'estate del 1914 che non risuonava così nettamente la parola
ultimatum nella diplomazia continentale. Allora fu l'Austria-Ungheria ad
usarla nei confronti della piccola Serbia, oggi è tutta la UE a
rivolgerla alla piccola Grecia.
Come tutti sanno al centro dell'aut aut
rivolto da tutta Europa al governo greco non sta la questione del
debito. Che esso sia inesigibile e che sia interesse degli stessi
creditori dilazionarlo e persino abbuonarlo è economicamente scontato.
Se ci fosse una manleva sul debito greco le borse festeggerebbero. Il
punto è che questo non può avvenire mettendo in discussione le politiche
di austerità sociale. La privatizzazione della sanità, della scuola,
delle stato sociale e dei beni comuni, i licenziamenti di massa, il
taglio brutale dei salari la disoccupazione strutturale, tutto questo
deve continuare. La Grecia potrà avere altri soldi solo alla condizione
di continuare quelle politiche economiche che l'hanno portata al
collasso.
Come un barone medico della letteratura, che preferisce veder
diffondersi una epidemia piuttosto che cambiare la cura, l'Europa esige
la continuazione dell'austerità guidata dalla Troika . Al governo greco
son concessi piccoli margini di facciata, ma la sostanza è ubbidire
all'ultimatum.
Piegarsi o perire, questo il linguaggio antico della guerra che si
costituzionalizza nell'Europa dell'austerità. Parole di guerra che
sempre più fanno scivolare i conflitti economici in situazione belliche
vere e proprie.
In Ucraina l'Europa rinnega il principio di autodeterminazione dei
popoli, nel nome del quale ha bombardato Belgrado nel 1999 per dare
indipendenza al Kosovo. E verso la Libia tornano le cannoniere, oggi si
chiamano droni, senza che ci sia alcuna critica per venti anni di guerre
umanitarie che son solo riuscite ad allevare e alimentare mostruosità.
L'ipocrisia domina una Europa ove ci si proclama "Charlie" dopo il
massacro di Parigi, ma poi si condannano le vignette che ritraggono come
nazista il ministro delle finanze della Germania.
L'Europa dei diritti
umani non riesce a salvare chi muore di freddo nei barconi del
Mediterraneo, quando con il costo di un paio di F35 si potrebbe
tranquillamente farlo per anni.
Chi governa questo continente oggi usa come primo strumento di
consenso la paura . L'Europa imperialistica dell'800 si vantava di avere
una missione imperiale nel mondo, il fardello civilizzatore dell'uomo
bianco, scriveva Kipling, imponeva l'obbedienza agli altri popoli. Era
orribile, ma oggi questa Europa delle banche chiede a tutto il mondo di
salvare sé stessa e minaccia i propri popoli con la paura di perdere
tutto se non saranno obbedienti.
Questa Europa non è più un punto di riferimento, ma un ostacolo alla
ripresa del progresso della umanità. Questa Europa gretta e ipocrita
ispira una vergogna che potrà cessare solo quando i suoi popoli, come
hanno già fatto nel corso della storia, la rovesceranno dai suoi troni.
Fino ad allora mi vergognerò di essere europeo.
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