Il
vento s’è portato via tutte le sciocchezze dette e scritte per
motivare, quattro anni fa, l’intervento Nato in Libia. La
disinformazione, le chiacchiere anti-pacifiste dei guerrieri da
salotto, l’enfasi nazionalistica e pseudo-umanitaria che spingeva
l’allora opposizione di centro-sinistra a premere su Berlusconi per
far la guerra al suo ex-amico Gheddafi. E oggi la stessa retorica
bellicista prorompe dalle parole di due ministri come Gentiloni
e Pinotti. Con la differenza che il bersaglio non è più un
dittatore indebolito e destinato prevedibilmente a fare una
fine orrenda, ma un nemico in larga parte sconosciuto e che appare
ubiquo e capace di mobilitare alleati in mezzo mondo, dal Maghreb
all’Iraq.
Naturalmente, per quanto le parole dei
due ministri siano state avventate, è impossibile che si siano
inventate di sana pianta. È quindi probabile che il nostro governo
stia già lavorando per un intervento armato che allontani
i tagliagole dalle coste della Libia. Questa volta a soffiare sul
fuoco c’è anche Berlusconi, che mira, con la scusa dell’interesse
nazionale, a mettere in difficoltà Renzi e a far dimenticare le
sue responsabilità nel 2011.
E allora è necessario ricordare ai
nostri ministri con l’elmetto alcune ovvietà. L’Isis è un’invenzione
dell’Arabia saudita e della Turchia, in funzione anti-Assad, e degli
Stati Uniti, che inizialmente l’hanno appoggiato, per accorgersi poi
che era infinitamente più pericoloso del dittatore siriano. Le
armi destinate a un’imbelle opposizione laica e filo-occidentale
finivano nelle mani dei qaedisti e soprattutto dell’Isis che li ha
soppiantati. Lo stesso è successo in Iraq dove il Califfato è ormai
la principale espressione della rivolta sunnita contro il governo
corrotto e inetto sostenuto dagli occidentali. E qualcosa del
genere avviene nella Libia attuale, risultato dell’intervento Nato. Dei
due governi attestati a Tripoli e Tobruk, il primo è vicino alle
posizioni dell’Isis e il secondo resiste solo perché sostenuto
dall’Egitto.
In altri termini, la Libia è già nelle
mani del Califfo. Questo è il risultato del genio strategico di
Sarkozy e Cameron, per non parlare di Obama, e da noi dell’ignavia di
Berlusconi e dell’incompetenza del Pd. Ma il punto è che una guerra
in Libia è insensata e condurrebbe a disastri inimmaginabili.
I bombardamenti coinvolgerebbero inevitabilmente i civili,
aumentando il risentimento contro gli occidentali, mentre un
intervento a terra esporrebbe le truppe Nato a rischi che nessun
governo oggi vuol correre. Ecco allora la geniale proposta di
affidarsi ad Algeria ed Egitto, o magari al Ciad o al Niger, cioè
a far combattere quelli lì, arabi e africani, in nostro nome. Un’idea
veramente brillante che, oltre al suo significato neo-colonialista,
ha il decisivo difetto di esporre i paesi confinanti con la Libia,
con tutte le loro gatte da pelare, a contraccolpi interni
imprevedibili e letali.
E allora? Ebbene, i disastri in Siria,
Iraq e Libia sono il risultato di strategie neo-coloniali di lungo
periodo, avviate subito dopo il 1989 e perseguite con stolido
accanimento dai neo-cons americani e dai loro emuli europei.
Pensare di capovolgere il quadro con qualche bombardamento sotto
il parasole Onu è proprio degno del nostro governo. Ma è l’intera
Europa che sa solo sbagliare, accanendosi contro la Grecia
e aprendo un fronte contro Putin, come è già avvenuto con l’Iran
e poi, la Siria e la Libia.
La strada per liberare Tripoli e le
altre città costiere dall’Isis non passa da Sigonella, ma da un
ripensamento strategico di cui però le cancellerie occidentali
sembrano proprio incapaci.
ALESSANDRO DAL LAGO
da il manifesto
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