PERUGIA - “Purtroppo, certi luoghi comuni
propagati con insistenza riescono, alla lunga, a far breccia nel comune sentire
delle persone. Si sedimentano e vanno a costruire convinzioni che sono lontane
dalla verità delle cose, ma che poi sono difficili da scardinare”. Con queste
parole Franca Gasparri, coordinatrice dell'Inca regionale dell'Umbria, torna
sulla campagna mediatica sui falsi invalidi, che - anche a seguito di una
puntata della trasmissione “La vita in diretta” - ha riportato la nostra
regione nell'occhio del ciclone.
E per
rispondere ai luoghi comuni, l'Inca, il patronato della Cgil, vuole portare
esempi concreti, storie reali di persone che devono confrontarsi con gli
effetti di questa campagna volta ad indebolire diritti e tutele delle persone
più bisognose. Quella che si può leggere qui sotto è soltanto una delle tante.
Rosella ha
soltanto 52 anni; è una ex dipendente pubblica del comune di Perugia; ha
lavorato per anni come cuoca in una mensa scolastica; poi, dopo il primo
infarto, è stata trasferita all'ufficio concorsi. La sua carriera si interrompe
nel 2005 all'età di 45 anni, quando le diagnosticano l'occlusione di un'arteria
cerebrale che la costringe a lasciare il lavoro. Gli svenimenti cui è soggetta,
provocati dalla malattia, le impediscono di svolgere anche la più ordinaria
attività sedentaria. I 24 anni di lavoro trascorsi valgono per lo Stato
italiano una pensione di 547 euro mensili.
Non
percepisce nessun'altra prestazione sociale e non pensa neppure di chiederle,
nonostante al momento delle dimissioni l'Inps le riconosce il 75 per cento di
invalidità. Pensa di farcela da sola, ma la sua malattia non le dà tregua.
Successivamente, i medici le spiegano che quei sintomi sono i prodromi di una
patologia ancora più importante, non ancora conclamata. Nel giro di qualche
anno, infatti, le sue condizioni di salute si aggravano e, solo di fronte
all'inevitabile ricorso alla sedia a rotelle, Rosella decide che è arrivato il
momento di chiedere qualcosa alla pubblica amministrazione, presso la quale ha
prestato servizio per tanti anni.
Nel 2010,
infatti, i medici dopo un'accurata indagine le diagnosticano una forma
aggressiva di sclerosi multipla: non riesce a stare in piedi, tanto meno
camminare. Subisce numerosi ricoveri, l'ultimo dei quali al centro di
riabilitazione Santa Lucia di Roma, dove resta 3 mesi. Le cure, però, non hanno
successo e Rosella attualmente vive incatenata 24 ore su 24 sulla sedia a
rotelle. Non c'è nulla da fare e il suo calvario continua con numerosi
controlli sanitari e interventi chirurgici in vari ospedali. Si sente una cavia
ed è questa la ragione, insieme alle precarie condizioni economiche in cui
versa, che la convince ad avviare la procedura per il riconoscimento
dell'invalidità civile e dell'indennità di accompagnamento. Questo succede nel
giugno 2010.
Dopo quattro
mesi e mezzo di attesa, viene visitata dai medici dell'Asl il 16 novembre 2011,
ma l'esito non cambia, nonostante il visibilissimo stato di non
autosufficienza: per la commissione esaminatrice non c'è stato un aggravamento
della malattia e quel 75 per cento di invalidità riconosciuto al momento del
pensionamento viene semplicemente confermato. Durante la visita, due medici la
sottopongono a verifiche tali che diventano delle vere prove di umiliazione.
Con l'aiuto del figlio, cercano di metterla in piedi e dopo diversi inutili
tentativi, con freddezza e indifferenza la liquidano dicendole che per quanto
riguarda la sua richiesta le faranno sapere. La risposta arriva con una lettera
che porta la data del 18 gennaio 2012: l'Inps rigetta la domanda di indennità di
accompagnamento.
Rosella vive
sola in una casa in affitto che gli costa 350 euro al mese, dopo essere stata
costretta a vendere l'abitazione di proprietà. Nell'abitazione in cui vive non
può neppure fare qualche modifica alla struttura che le renda un po' meno
faticoso muoversi: le barriere architettoniche sono tante e insormontabili. Ad
aiutarla c'è soltanto il figlio di 22 anni, in cerca di lavoro come tanti
giovani, che dedica tutto il suo tempo per restituirle, almeno in parte, la
dignità esistenziale perduta che lo Stato italiano si ostina a negarle.
In tutti
questi anni Rosella ha potuto contare sugli aiuti degli assistenti sociali.
Anche l'acquisto delle medicine è diventato un problema. Pur potendo contare
sulla totale esenzione dal pagamento dei ticket sanitari, i medici le
prescrivono farmaci aggiuntivi costosi che, essendo collocati nella fascia C,
sono totalmente a suo carico. E gli importi non sono trascurabili: ogni 15
giorni, dovrebbe sborsare circa 120 euro. Rosella finora ha preferito farne a
meno perché, tolte le spese dell'affitto, non gli resta molto altro da
spendere. Ha solo la forza di dire “sono arrabbiatissima perché non mi
permettono di vivere”.
L'Inca di
Perugia ha istruito un ricorso d'urgenza. “Chissà se questa volta i burocrati
dell'Inps riusciranno a capire che riconoscere un diritto ad una persona
fragile come Rosella, non è come partecipare alla gara degli zelanti sceriffi
impegnati a stanare il numero più alto di falsi invalidi - afferma Franca
Gasparri, coordinatrice dell'Inca Umbria - C'è da chiedersi se sia giusto che
faccia più notizia l'aver scovato il finto cieco che guida una macchina,
piuttosto che l'amara solitudine di ex dipendente pubblica, dimenticata dallo
Stato italiano-datore di lavoro”.
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