domenica 18 marzo 2012

PROFITTO, PROFITTATORI E SERVI



Per la Volkswagen, la multinazionale tedesca dell’automobile, si avvicina l’obiettivo dei 10 milioni di veicoli  prodotti e il primato mondiale nelle vendite. Nel quartier generale di Wolfsburg, dove la casa automobilistica ha annunciato un utile 2011 in crescita da 6,83 a 15,8 miliardi di euro, ricavi saliti del 25,6% a 159 miliardi di euro, la produzione di veicoli è giunta su scala mondiale a quota 8,49 milioni di unità (+15,5%) e le vendite sono cresciute del 14,9% a 8,36 milioni di veicoli. I compensi del board sono raddoppiati a 70,586 milioni di euro (contro i 36,671 milioni dell’anno precedente), ed i risultati ottenuti hanno fruttato per il manager numero uno, Martin Winterkorn, un compenso da 17,456 milioni di euro (con 11 milioni di bonus). All’ingrasso anche gli altri 7 supermanager del Cda: Francisco Javier Garcia Sanz (7,703 milioni di euro), Jochem Heizmann (7,211), Christian Klingler (7,754), Michael Macht (7,283), Horst Neumann (7,652), Hans Dieter Pötsch (8,125), Rupert Stadler (7,759). L’utile netto per il 2011 per il gruppo Volkswagen è stato di 15,8 miliardi di euro e a beneficiare di questo brillante risultato non saranno solo gli azionisti, ma anche i dipendenti.
Il board della Volkswagen ha infatti deciso che a ognuno dei circa 90 mila lavoratori tedeschi che hanno un rapporto di lavoro inquadrato da un contratto collettivo, per il 2011 venga liquidato un bonus di 7.500 euro, pari a meno di un millesimo di quello di Winterkorn. Il dividendo per gli azionisti crescerà da 2,20 euro a 3 euro per azione. Per l’anno 2010, quando i profitti furono un pò meno della metà rispetto al 2011, il premio pro capite fu di 4.200 euro. Peraltro in Germania altri congrui riconoscimenti economici alle maestranze per l’anno scorso erano già stati decisi nelle scorse settimane dalla Daimler (4,100 euro a ognuno dei suoi 125 mila dipendenti), mentre 7.600 euro è il premio spettante agli 8.500 addetti della Porsche. «Il gruppo -ha detto Winterkorn- è già il numero uno in Europa, in Cina e in Sud  America» e negli Usa il marchio principale «ha registrato il miglior  febbraio degli ultimi 40 anni, con un incremento del 42%». 
E’ un successone la Volkswagen guidata dall’amministratore delegato Martin Winterkorn. Un successo che è quasi un miracolo, perché negli anni scorsi il gruppo tedesco è riuscito a delocalizzare la produzione, dal Messico alla Cina via Slovacchia, senza tagliare un posto di lavoro in Germania. E i lavoratori, quelli dei sei stabilimenti Volkswagen, sono al centro di un sistema di welfare, dentro e fuori la fabbrica, che da noi, per molti aspetti, è ormai un lontano ricordo. Per non parlare degli stipendi. La paga base di un operaio si aggira, al netto di tasse e contributi, sui 2. 700 euro, ma con qualche ora di straordinario è facile arrivare a quota 3 mila. In altre parole, a Wolfsburg il lavoro alla catena di montaggio è pagato all’incirca il doppio rispetto a Mirafiori o nelle altre fabbriche Fiat. Qui in Sassonia, nell’impianto da 51 mila dipendenti compresi gli amministrativi e un esercito di ricercatori, tutto si muove esattamente nella direzione opposta a quella indicata da Sergio Marchionne alla Fiat. È il mondo alla rovescia rispetto al verbo della fabbrica normalizzata e obbediente predicato dal numero uno del Lingotto.
Qui il sindacato è forte, fortissimo. La IG Metall, a cui è iscritto il 95 per cento circa degli operai di Wolfsburg, partecipa a ogni singola scelta aziendale: dalle grandi strategie fino all’assunzione a tempo indeterminato di un giovane apprendista. C’è il consiglio di fabbrica: 65 delegati in rappresentanza di tutti i reparti. E poi, al vertice del gruppo, il sindacato nomina la metà dei 20 membri del consiglio di sorveglianza, l’organo di controllo sulla gestione. Regolazione minuziosa di ogni aspetto della vita aziendale contro deregulation. Condivisione invece di verticismo autoritario. 
Mentre Marchionne si rifiutava di condividere con il sindacato perfino le grandi linee del fantomatico piano di investimenti “Fabbrica Italia”, i vertici del gruppo di Wolfsburg hanno negoziato con la IG Metall una serie di importanti novità contrattuali. Sintetizzando al massimo, si può dire che la scelta dei dipendenti è stata quella di concedere maggiore flessibilità, per esempio su orari e salario, in cambio della tutela assoluta del posto di lavoro.
Proprio in questi giorni sta cominciando la trattativa per il nuovo contratto aziendale. A Wolfsburg, su una parete del quartier generale del sindacato lampeggia un numero, il 6, 5 per cento. Questo è l’aumento in busta paga chiesto dalla IG Metall.

PROFITTATORI 

Fiat, compensi milionari ai vertici

Sergio Marchionne ha ricevuto da Fiat nel 2011 per il suo ruolo di amministratore delegato un compenso fisso complessivo 2.450.200 euro. E' quanto emerge dalla relazione sulla remunerazione pubblicata sul sito della società torinese in vista della prossima assemblea del 4 aprile. Quanto alle altre cariche apicali - si legge su Dow Jones New - il presidente John Elkann ha ricevuto un compenso di 1.344.700 euro, mentre il consigliere e presidente di Ferrari Luca Cordero di Montezemolo ha 5.552.000 euro.
Dalla relazione emerge inoltre che Marchionne risultava detenere alla fine dell'esercizio 2011, 16.920.000 stock-options, di cui 10.670.000 relative al piano del 26 luglio 2004 esercitabili entro gennaio 2016 al prezzo unitario di 6,583 euro e 6.250.000 del piano del 3 novembre 2006 esercitabili entro novembre 2014 al prezzo di 13,37 euro.

L'amministratore delegato risulta titolare al 31 dicembre 2011 di 240.000 azioni Fiat, di cui nessuna acquistata nel corso dell'anno. Montezemolo detiene invece 127.172 azioni e il consigliere Gian Maria Gross-Pietro 3.300.

A Marchionne sono state inoltre assegnate 4 mln di stock-grant Fiat Spa e altrettante di Fiat Industrial contabilizzate con un fair value di 12.014.300 euro e 85.627 azioni Chrysler Deferred Phantom dal valore di 469.400 euro.

«Le notizie sui compensi dei vertici del gruppo Fiat e, in particolare, dell'ad sono stupefacenti. Si discute in queste ore di cancellare l'indennità di mobilità di 700 euro al mese per una persona che dopo 40 anni di lavoro diventa "esubero" e si considera normale un compenso che tra parte fissa, parte variabile e stock option arriva a decine e decine di milioni di euro all'anno». A dirlo è Stefano Fassina, responsabile economia e lavoro del Pd.

«Si insiste a descrivere gli operai con 1100 euro al mese e qualche residuo argine contro i licenziamenti facili come "iper-garantiti" per togliergli potere negoziale e retribuzione facendo finta di dare ai precari. Invece, quanti ricevono compensi milionari, in un'azienda che continua a perdere quote di mercato per carenza di investimenti e modelli innovativi, - sottolinea Fassina - diventano i cantori del tempo "dopo-Cristo". Questa celebrata modernità è, in realtà, regressione alla fine dell'800. Soltanto la promozione della dignità della persona che lavora può portarci fuori dal tunnel morale ed economico nel quale siano finiti
.  

A Pomigliano, per fare un esempio, nel 2012, i lavoratori FIAT riceveranno un premio straordinario di 600 euro in cambio di un regime lavorativo su 18 turni (tre al giorno su una settimana lavorativa di sei) con una settimana di sei giorni lavorativi e la successiva di quattro, in fabbrica al sabato e 120 ore di straordinario, 40 in più delle 80 attuali per lanciare la nuova Panda. Naturalmente meno pause.
Nelle norme per contenere l’assenteismo, la clausola di responsabilità in base alla quale chi non rispetta gli accordi verrà sanzionato in termini di contributi e permessi sindacali. Il nuovo contratto collettivo di primo livello, in vigore dal 1 gennaio 2012, per un anno, che sostituisce quello nazionale dei metalmeccanici, in tutti gli stabilimenti italiani del Gruppo Fiat, coinvolge complessivamente 86 mila lavoratori che a seguito dell’intesa tra la Fiat, ed i camerieri della Fim, Uilm, Fismic, Ugl e Associazione quadri, beneficeranno di un incremento salariale medio del 5,2% sulla paga base. In tema di organizzazione del lavoro, quando uno stabilimento, in applicazione del modello Wcm, World class manifacturing, raggiunge il livello «silver» ai lavoratori viene riconosciuto un premio 200 euro in più, che sale a 500 quando lo stabilimento raggiunge il livello «gold». Un meccanismo di incentivazione che tende ad aumentare la produttività complessiva degli schiavi. Contento Marchionne, contenta tutta la borghesia industriale.

SERVI

Monti: «Fiat investa dove crede»

Dopo aver incontrato Marchionne a Palazzo Chigi, il premier ha affermato che la Fiat ha diritto di investire dove meglio crede. Il presidente del consiglio Mario Monti lo ha detto dal palco di Confindustria a Milano. «Forse darebbe soddisfazione a un politico vecchia maniera - ha spiegato a proposito dell'incontro di ieri con Sergio Marchionne - dire che io ho insistito perché la Fiat concentri i suoi investimenti. Ho fatto anche questo, ma chi gestisce la Fiat ha il diritto e il dovere di scegliere per i suoi investimenti le localizzazioni più convenienti. Non ha nessun dovere di ricordarsi solo dell'Italia». Puntuale il commento di Susanna Camusso: «Penso che come abbiamo detto tante volte il governo dovrebbe provare a capire cosa vuole fare davvero Fiat e non mi sembra che dalle cose dette da Monti siamo in questa condizione».
Monti, Fiat ha diritto di investire dove crede: IL VIDEO
Il premier ha citato, tra gli applausi degli industriali, l'impedimento, l'approdo di acquirenti stranieri negli anni 80 «nella presunzione di proteggere gli interessi a breve termine». «È stato improprio inoltre nel caso di Fiat ma anche di molte imprese italiane che lo Stato - ha sottolineato - intervenisse con i soldi del contribuente per tranquillizzare le proprietà e i lavoratori e questo è avvenuto tantissime volte per la Fiat e questo è quello che io devo impedire come premier e come ministro dell'Economia».
«Tre cose sono importanti per un'azienda come quella ma anche per ognuna delle aziende italiane - ha continuato Monti - produttività, flessibilità ma forse la prima è il rispetto e quindi il paese può molto esigere ma deve anche rispettare e non si può pensare che in un Paese e in uno solo a causa della propria radice storica una impresa deve essere oggetto di permanente scrutinio investigativo». 

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