La manifestazione di ieri a Roma degli operai dell’Alcoa ha mostrato a quali livelli sia giunta l’esasperazione dei lavoratori e delle lavoratrici del nostro Paese.
Personalmente mi dispiace che a farsi male, come al solito, siano stati
qualche operaio e qualche poliziotto e carabiniere, lavoratori delle
forze dell’ordine, ma lavoratori anch’essi, come più volte ho sostenuto e continuerò a fare.
Non è infatti accettabile che i conti lasciati da una classe politica,
imprenditoriale e finanziaria impresentabile e incompetente siano pagati
come al solito da chi lavora. E soprattutto non è accettabile che
migliaia e migliaia di famiglie, in Sardegna, come nel resto d’Italia, siano di fronte al baratro della disoccupazione e della miseria.
La contestazione a Fassina,
che pure non è il peggiore fra i democratici, ma che paga le politiche
scandalose di un partito che ha oramai abbandonato la rappresentanza del
lavoro, dovrebbe finalmente parlare chiaro e aprire gli occhi a quanti
continuano a sostenere in buona fede il governo Monti.
Dopo
aver portato l’acqua con le orecchie al capitale finanziario, che pure a
parole ha criticato dalla tribuna del festival nazionale Pd, il buon Bersani si appresta a essere liquidato e sostituito da un Renzi
qualsiasi, che costituisce uno dei cavallini, più o meno di razza, che
le caste dominanti si apprestano a lanciare sulla scena politica. Si
continua così la tradizione degli utili idioti, che nel nostro Paese
risale perlomeno fino a Togliatti, il quale almeno aveva tutt’altra classe e qualche risultato lo portava a casa.
Ma
queste, in fin dei conti, sono questioni secondarie. Quello che conta è
che il prezzo della crisi si vuole ancora una volta farlo pagare alla
classe operaia e alla stragrande maggioranza del popolo italiano, e
nessuno può negare che questa sia la direzione in cui, con coerenza ed
efficacia, si è mosso fin dall’inizio il governo Monti, forte
dell’appoggio di Napolitano e di ABC.
Al tempo stesso stupisce il cinismo e il disinteresse dei cosiddetti tecnici nei confronti della struttura industriale
del nostro Paese. Abbiamo o no bisogno di alluminio, acciaio, energia e
tante altre cose? E perché continuare nell’illusione che il capitale
multinazionale debba per forza essere interessato a salvare la
situazione? Perché sottostare ai diktat dei predatori stranieri e nostrani (a partire da Marchionne)?
L’unica soluzione, come correttamente indicato da Paolo Ferrero, è, in assenza di alternative praticabili che consistano nell’identificazione di soggetti credibili disposti a investire, la nazionalizzazione di tutti i settori strategici,
a partire da Alcoa, Carbosulcis e Ilva. Si tratta insomma di invertire
il percorso disgraziato iniziato circa vent’anni fa con le dismissioni, i
cui risultati assolutamente catastrofici sono sotto gli occhi di tutti e
che oggi questo governo vorrebbe purtuttavia riprendere e portare alle
estreme conseguenze.
Certo occorrono investimenti per salvare ed estendere l’ccupazione, garantendo al tempo stesso l’ambiente e la salute.
Questo ovviamente richiede la messa in discussione profonda dei dogmi ideologici che presiedono attualmente alle politiche europee
e dei corposi interessi di classe che li sottendono. Ma questo è oggi
più che mai necessario per uscire dalla crisi e andare avanti. O
qualcuno si illude che bastino i pannicelli caldi del signor Draghi?
Sono
assolutamente convinto che è vero l’opposto di quanto affermato
recentemente da Monti, il quale ha tendenziosamente affermato che non è
pompando soldi pubblici che si otterrà la ripresa. Infatti la storia ha
sufficientemente dimostrato che senza uno sforzo degli organismi
pubblici e una direzione precisa l’economia da sola né si autoregola né
si rilancia. Ciò è stato anche teorizzato dagli economisti più avveduti e
intelligenti, da Lord Keynes agli odierni Stiglitz, Krugman, Roubini.
Vorrei aggiungere che l’intervento pubblico si rivela particolarmente necessario laddove sia necessario trovare la giusta composizione fra interessi collettivi solo apparentemente in conflitto come, nel caso dell’Ilva,
quello alla salute e quello al lavoro. La soluzione è infatti a portata
di mano, facendo come in Germania e altrove, e cioè introducendo
effettive salvaguardie ambientali e sanitarie al livello del processo
produttivo. Il che ovviamente ha un certo costo che deve essere
sostenuto dalle finanze pubbliche, espropriando una classe
imprenditoriale che ha dimostrato di non essere assolutamente
all’altezza e continua a prendere in giro i lavoratori, la città di
Taranto e la stessa magistratura.
Baggianate ideologiche, dirà
qualcuno. Nossignori, non avete capito che state seduti sopra un vulcano
e che questa nostra povera società italiana è destinata ad esplodere o,
peggio ancora, a soffocare lentamente implodendo, processo del resto
già cominciato da alcuni anni a questa parte. Nessuno si illuda di
poterne uscire indenne. Così si distrugge un intero Paese.
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