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Dopo una mattinata al Senato - nel bel mezzo di una giornata che si
annunciava storica, scandita da rumors, ipotesi, pallottolieri, con
decine di cronisti impegnati a cogliere anche una smorfia dei senatori
in Aula per capire cosa sarebbe successo - ecco che arriva il colpo di scena.
L'aria era drammatica, certo, drammaturgica; anche un Cicchitto,
un Alfano, in queste ore risultavano elevati al rango di protagonisti,
di personaggi in cerca d'autore, stretti tra i nuovi scrupoli e la
fedeltà di sempre.
Poi arriva Silvio. Ci pensa, ci ripensa, cambia idea, ipotizza,
tentenna, alla fine decide: fiducia al governo Letta. Le pagine dei
giornali di riferimento, ancora fresche di inchiostro, d'un colpo
appaiono surreali: in cinque giorni appena, Silvio ha detto tutto e il
contrario di tutto: sabato il suo problema era l'Imu, ora si torna al
via, "sono per la pacificazione" dice.
E ora? si chiedono tutti. Il Pd ha il cerino in mano, il Pdl è spaccato, le cancellerie estere sono sbalordite.
Eppure solo una cosa è chiara oggi: Berlusconi ormai non ha più alcuna credibilità,
neanche quella di un Sansone che muore con tutti i filistei: l'ha
sfangata per un giorno ancora, ma politicamente non è più in grado di
esprimere nulla.
Il falco tra i falchi Daniele Capezzone, nel 2006, quando era ancora
un radicale, coniò una definizione perfetta di "Silvio" (lo ricorda il
blogger nonleggerlo con un tweet). Berlusconi, disse Capezzone, "è la Wanna Marchi della politica italiana".
Mai paragone fu più azzeccato. Mai metafora fu più attuale. In mezzo, come al solito, ci siamo tutti noi.
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