giovedì 3 ottobre 2013

Niente soldi europei per le grandi opere. Chi paga ora la Tav? di Claudio Conti, Contropiano.org

Niente soldi europei per le grandi opere. Chi paga ora la Tav?

Libera informazione? Ma mi faccia il piacere... Silenzio totale sulla recente decisione dell'Unione Europea - condivisa senza obiezioni dal governo italiano - di non finanziare più "gran di opere infrastrutturali". Una decisione di politica industriale persino interessante, nel buio delle solite iniziative continentali, perché cambia drasticamente le priorità rispetto al passato. Avanti con "innovazione tecnologica, superamento del digital divide, sostegno alle piccole e medie imprese, sviluppo sostenibile e sostegno all'occupazione", basta con buchi nelle montagne che non servono più a molto. L'ideologia non c'entra: la rete infrastrutturale europea è ormai molto innervata, richiede semmai manutenzione e aggiornamento, non iperfetazione ulteriore. Al contrario, c'è necessità di sviluppare quel che serve già ora come il pane, ma sancor più servirà in futuro.
E' un cambiamento di rotta, che impegna i finanziamenti comunitari in direzione opposta alle Tav inutili di casa nostra e lascia scoperto il governo italiano, che per un verso va tagliando la spesa pubblica anche nei settori più delicati, per l'altro ha deciso di fare della Tav in Val Susa un test del proprio "decisionismo" con i deboli e genuflessione con gli "amici degli amici". E dire che il "tunnel geognostico" da fare in tutta fretta, superando ogni opposizione popolare, era stato motivato con la "necessità di non perdere i fondi europei"...
Nessuna paura, non si può perdere quello che non c'è. Il problema che resta è dunque: chi paga la Tav? Non l'Unione Europea, non - pro rata - la Francia, che ha rinviato ogni decisione al 2030 (!). Resta solo lo Stato italiano, ridotto a erogatore di soldi freschi per una compagnia di giro di "costruttori" incapaci di "stare sul mercato" e bisognosi di commesse pubbliche.
Che il governo taccia sul punto, mentre fa la faccia feroce con il movimento No Tav, ha una sua logica fetente. Che la Procura di Torino si inventi fattispecie di reato molto più gravi di quelle eventualmenteverificatesi nel corso della Resistenza della Valle, è già molto più grave. Ma che "i guardiani" della stampa evitino con cura di spiegare al paese che la situazione attuale è radicalmente diversa da quella in cui venne immaginata la tratta ad alta velocità Torino-Lione (parte del "corridoio Lisbona-Kiev", cancellato dai programmi già da anni), è decisamente segno di una corruzione capillare.
Del resto, basta guardare i pacchetti azionari di controllo dei principali media per scoprire che "i costruttori dall'italiana" vi hanno un grandissimo peso.
La posizione più scomoda è però quella del miglior giornale italiano, tecnicamente parlando: IlSole24Ore. Nella sua parte generalista e "politica" si comporta come un soldatino pro-Tav, senza se e senza ma. Nelle sue pagine "specialistiche", dedicate a quelle informazioni che le aziende devono avere per valutare i propri business plan, spiega invece con grande chiarezza che le "grandi opere" non sono più un "obiettivo europeo". Si dimentica solo di citare la Tav, ma deve essersi trattato di un attimo di distrazione....
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Niente cantieri con i fondi Ue, grandi opere escluse dai 56 miliardi in arrivo

di Giorgio Santilli
Per la prima volta non ci saranno risorse per le grandi infrastrutture mentre la priorità andrà a innovazione tecnologica, superamento del digital divide, sostegno alle piccole e medie imprese, sviluppo sostenibile e sostegno all'occupazione.
È cominciata, con linee direttive innovative, ma in ritardo, la partita della distribuzione dei nuovi fondi Ue 2014-2020: 28 miliardi di fondi comunitari cui andrebbero aggiunti 28 miliardi di cofinanziamenti nazionali. Non è ancora stabilito che sarà così, ma in passato il cofinanziamento italiano è sempre stato al 50%, e questa è la proposta del ministro alla Coesione territoriale, Carlo Trigilia, e di tutti gli attori impegnati al processo decisionale, a partire da Regioni e parti sociali.

Il Dipartimento per le politiche di sviluppo (Dps), il braccio operativo delle politiche di coesione guidato da Sabina De Luca, si è incaricato di mettere su carta la profonda rivoluzione che era stata annunciata ad agosto da Trigilia. Le grandi opere non saranno più finanziate dai fondi Ue, come è sempre stato nei precedenti cicli (compreso l'attuale): il compito spetterà alle risorse nazionali, in particolare al Fondo coesione sviluppo (l'ex Fas) che dovrebbe superare le ambiguità del passato (soprattutto con Tremonti all'Economia) ed essere «specializzato» in infrastrutture. Lo sforzo comunitario, viceversa, sarà concentrato sulle infrastrutture immateriali, sul sostegno alle Pmi, sulla sostenibilità.

Il Dps ha messo a punto una prima simulazione e le tendenze preannunciate da Trigilia emergono con nettezza: 26.419 milioni (46,8%) vanno ai quattro obiettivi (1-4) che premiano innovazione tecnologica, digital divide, sostegno alle Pmi e riconversione dell'economia verso la sostenibilità; 19.068 milioni (33,8%) ai tre obiettivi che promuovono l'occupazione, combattono la povertà, finanziano investimenti in formazione; 7.906 milioni (14%) alla tutela ambientale, alla prevenzione dei rischi ambientali e alla promozione di sistemi di trasporto sostenibili; 977 milioni (1,7%) all'efficientamento della pubblica amministrazione; 2.044 milioni (3,6%), infine, vanno all'assistenza tecnica.

La simulazione è stata inviata dal Dps alla Conferenza Stato-Regioni che sta discutendo le linee programmatiche da portare a Bruxelles. Il punto di approdo dovrà essere l'accordo di partenariato fra Stato, Regioni e Commissione europea che, in realtà, si sarebbe dovuto già presentare a Bruxelles entro il termine del 30 settembre. Manca, a monte, prima ancora di condividere una posizione sulla ripartizione delle risorse, un'intesa politica generale fra esecutivo e governatori.

L'ostacolo principale nel confronto sembra, al momento, la proposta del Governo di prevedere - in nome di un maggior coordinamento dell'azione nazionale - programmi nazionali affiancati a quelli regionali. I Pon (piani operativi nazionali) sono una prassi consolidata per le Regioni in ritardo del Sud, ma non sono mai stati sperimentati nel centro-nord. E su questo punto l'opposizione regionale è molto dura.

Il Governo da una parte ricorda alle Regioni che il Centro-Nord avrà il 40% di risorse in più rispetto al ciclo 2007-2013 e, dall'altra, spiega che a giustificare queste risorse aggiuntive ci sono parametri e fenomeni (disoccupazione o dispersione scolastica) in crescita che si possono combattere meglio con politiche nazionali e strumenti gestiti dal livello centrale.
La simulazione del Dps - che assume appunto il cofinanziamento nazionale del 50% - fotografa la ripartizione delle risorse non solo fra gli 11 obiettivi ma anche fra i due Fondi (39.644 milioni al Fondo europeo di sviluppo regionale, 17.940 milioni al Fondo sociale europeo) e fra tipologie di Regioni. Alle Regioni meno sviluppate andranno 40.471 milioni, alle Regioni più sviluppate 13.945 milioni, alle Regioni in transizione 1.998 milioni, alla «cooperazione territoriale» 1.170 milioni.

Il ritardo nella definizione dell'accordo di partenariato Stato-Regioni-Ue non è una bella notizia. Anche il nuovo ciclo di fondi strutturali europei comincia al rallentatore mentre ci sono ancora da spendere entro fine 2015 30 miliardi del vecchio ciclo 2007-2013. Quelli sì, destinati in gran parte a grandi infrastrutture.


da IlSole24Ore
http://www.ediliziaeterritorio.ilsole24ore.com/art/infrastrutture24/2013-10-01/niente-cantieri-fondi-grandi-091924.php?uuid=AbkTtJhI

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