Il governo delle
larghe intese è al capolinea, travolto da un evento più grande di lui,
che purtroppo non è una rivolta popolare contro l’austerità, bensì il
crepuscolo del ventennio berlusconiano. Comunque vadano a finire le
manovre di palazzo di questi giorni, lo scenario non sarà più lo stesso.
E così, ancora una volta, il cambiamento e il movimento vengono
determinati a destra e in alto.
Non saremo certo noi a
rimpiangere questo governo, anzi. Oggi in tutta Europa le grandi
coalizioni, di nome o di fatto, rappresentano viepiù la forma tipica di
governo al tempo della crisi, la garanzia suprema di un sistema politico
chiuso a riccio e di un ordine economico e sociale sempre più diseguale
ed escludente. In altre parole, le grandi coalizioni fanno parte del
problema e non delle soluzioni.
Tuttavia, c’è poco da
esultare, perché nel frattempo in basso e a sinistra si muove ben poco,
c’è silenzio e immobilismo. Subiamo gli eventi, al massimo li
rincorriamo. E questo significa che oggi e qui i movimenti sociali e le
sinistre non determinano alcunché. Significa, anzi, che gli interessi,
le aspirazioni e le aspettative di chi la crisi la sta già pagando a
caro prezzo vengono relegati al margine dell’agenda politica,
considerati sacrificabili e prescindibili. Lavoratori e lavoratrici,
precari, studenti, disoccupati, chi si batte per la difesa del
territorio e contro le speculazioni, siamo tutti e tutte prescindibili
come soggettività, al massimo siamo un problema di ordine pubblico.
Se la partita si
gioca tutta sul lato destro del tavolo, allora, qualsiasi sarà la
composizione futura di governo e maggioranza, le priorità saranno sempre
le medesime, cioè quelle che ci hanno portati fino a qui e che ci
spingono ulteriormente nel baratro. Tanto per capirci, ora l’allarme conti pubblici consiste
nel dover recuperare 5 miliardi di euro entro fine anno e sappiamo
tutti cosa vuol dire per le nostre esauste tasche. Ebbene, ora provate
ad immaginarvi cosa succederà quando scatteranno le nuove regole europee
(approvate ovviamente in maniera bipartisan dal nostro Parlamento), che
prevedono che l’Italia debba ridurre il proprio debito al ritmo di
40-50 miliardi all’anno (fiscal compact), versare al MES 125 mld in cinque anni e fare tutto questo rispettando il pareggio di bilancio. Secondo voi, chi sarà chiamato a pagare il conto?
Insomma, se questo è
il loro autunno, il nostro qual è? Appunto, per ora tutto è alquanto
fermo, non stiamo troppo bene e occhio e croce ne conosciamo anche i
motivi. Quindi, inutile riepilogare quello che già sappiamo e cerchiamo
piuttosto di capire se ci sono le possibilità e le condizioni per
muoverci, per rimettere in campo i movimenti e la sinistra.
Tra il 12 e il 19
ottobre ci saranno alcuni appuntamenti nazionali che ci diranno qualcosa
in più sullo stato delle cose a sinistra e nei movimenti. Ma andiamo
con ordine.
Il 12 ottobre ci sarà a Roma la manifestazione nazionale per
la difesa e l’attuazione della Costituzione, lanciata dall’appello La via maestra, firmato da Rodotà, Landini, Zagrebelsky, Don Ciotti e Carlassare.
Il 18 ottobre ci sarà lo sciopero generale del sindacalismo di base.
Il 19 ottobre, sempre a Roma, ci sarà il corteo intitolato Sollevazione Generale,
lanciato da Abitare nella crisi e diverse realtà di movimento, compreso
quello No Tav con presenze dalla Val di Susa. In mezzo ci saranno
diverse iniziative a carattere territoriale, alcune legate alle scadenze
nazionali, e la mobilitazione nazionale degli studenti medi dell’11
ottobre (evento facebook per l’appuntamento milanese).
Sono tutti
appuntamenti nati quando non c’era la crisi di governo e sono tutte
iniziative che si pongono fuori e contro la logica delle larghe intese e
delle politiche d’austerità. Ma ora tutte dovranno fare i conti con il
nuovo scenario e con le responsabilità che derivano. In altre parole, in
quella settimana si deciderà, almeno in buona parte, se in questo
autunno le sinistre e i movimenti potranno essere soggetti in campo, in
grado di incidere, oppure se saranno fuori dai giochi e destinati
all’irrilevanza.
Sì, lo so, sono
iniziative diverse tra di loro. Anzi, sono per molti versi in
competizione tra di loro. E in rete è facile trovare le relative
polemiche. Ma il punto importante non mi pare questo, perché non si
tratta di capire se “vince” un’iniziativa o l’altra, bensì se le
mobilitazioni, o almeno una di esse, saranno in grado di aprire in basso
e a sinistra una spazio e un protagonismo politico. Poi, chi ha più
filo da tessere lo tesserà.
Infatti, ambedue le
scadenze rischiano di rimanere segnati dai limiti che, ahimè, pervadono
la sinistra, quella politica e quella di movimento. Il 12 ottobre è
un’ottima iniziativa, persino innovativa per le modalità di
convocazione, ma non è affatto detto che l’incipit riuscirà ad essere
più forte della palude dei ceti politici. Il 19 potrebbe rappresentare
un punto di ri-partenza sul piano nazionale per i movimenti, che
costituirebbe peraltro una boccata d’ossigeno per i movimenti ora
stretti dalla repressione, come quello No Tav, ma rischia di non
liberarsi dal fantasma del 15 ottobre di due anni fa (do you remember?).
Insomma, ottobre ci
offre delle opportunità per il nostro autunno, ma anche dei tranelli e
dei rischi. E come sempre, dipende da noi cosa ne facciamo.
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