Servo lo Stato da 26 anni soltanto grazie a un prudente
disincanto che mi permette ancora di sopravvivere tra le pieghe di quel
medesimo nulla costituito per lo più da ingiustizie, bugie, miserie
umane, silenzi, paure, sofferenze.
Oggi intendo rompere quel silenzio cui si è condannati quasi
contrattualmente da regolamenti di servizio che impongono e mitizzano
l’obbedire tacendo, perché le parole pronunciate dal Segretario
nazionale del Sap all’esito della pronuncia di assoluzione non restino
consegnate anch’esse al fenomeno di cui sopra.
Il diritto di parola consentito al Segretario nazionale del Sap gli
ha permesso di esprimere ”La piena soddisfazione per l’assoluzione di
tutti gli imputati ” con una disinvoltura che abitualmente può trovare
applicazione esclusivamente in uno stadio dove l’unica forma di dolore
può derivare abitualmente da un goal mancato e non già dalla morte
violenta di un giovane celebrata in un’aula di Giustizia.
“Bisogna
finirla in questo Paese di scaricare sui servitori dello Stato la
responsabilità dei singoli, di chi abusa di alcol e droghe, di chi vive
al limite della legalità. Se uno ha disprezzo della condizione di
salute, se uno conduce una vita dissoluta, ne paga le conseguenze”.
Queste parole, in un contesto democratico che ne apprezzasse il loro
peso, sortirebbero reazioni, conseguenze, interrogativi e dibattiti sul
loro senso, sull’utilità e gli effetti di questa allegra scampagnata
lessicale sul dolore di una famiglia nonché una minima inchiesta
semantica sul concetto di vita dissoluta e al limite della legalità.
Sarebbe da attendersi dal Segretario la spiegazione su quanto realmente
produca paura in questo Paese e se l’abuso di alcol e droghe sia causa
di morte per lesioni e se vi sia qualcosa di più dissoluto di un diritto
calpestato.
Andrebbe preteso che ci chiarisse se quelle parole siano
rappresentative di tutto l’universo della Polizia o invece siano la
personale interpretazione di un dramma o la recensione di un abominio. E
ancora gli andrebbe richiesto se il silenzio seguito alle sue parole
sia l’indicatore di un Paese dove domina sul diritto l’incertezza, sulla
complessità della vita l’omologazione, sui drammi umani l’assenza di
indignazione e l’ignavia.
Per questo chiedo scusa alla famiglia Cucchi per questo oltraggio
infinito, per questa deriva che non può rappresentare la totalità degli
appartenenti alle forze di polizia neppure quelli a cui per regolamento è
precluso il diritto di indignarsi e di affrancarsi dalla convivenza col
divieto di opinione .
Nel dubbio, semplicemente nel dubbio.
* Francesco Nicito, agente della Questura di Bologna
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