martedì 4 novembre 2014

La Cgil provi davvero a rovesciare Renzi di Giorgio Cremaschi

Sono poco più di quindici giorni che la Cgil si è rimessa a fare la Cgil e tutto il quadro politico del paese è cambiato. Renzi in particolare ha perso gli abiti del buon ragazzo che vuol cambiare le cose contro i poteri forti e comincia ad apparire col suo vero aspetto. Quello di un capo di governo reazionario nei contenuti e nella forma, che  degli interessi dei poteri forti economici e finanziari è pura espressione e per questo distrugge ciò che resta di pubblico, sociale, diritto del lavoro. Intanto smantella la Costituzione mentre si proclama alfiere della nazione protetto dalle zone rosse poliziesche e applaudito dalle claque della Confindustria.
Lo smascheramento e l’evidente difficoltà di Renzi sono prima di tutto frutto della scesa in campo contro di lui della Cgil, che ha aperto la via ad una ripresa di iniziativa della Fiom e nuovi spazi alle diffuse mobilitazioni sociali. Viene allora da pensare come saremmo più avanti se non ci fosse stata la passività precedente, che ha permesso a Monti di realizzare la più feroce riforma pensionistica d’Europa e di intaccare già l’articolo 18. Nel recente congresso della Cgil fummo una minoranza a sostenere contro le tesi di Susanna Camusso, ma anche rispetto a quelle di Landini, che Renzi ed il suo PD fossero avversari da combattere come i governi di Berlusconi. Fummo isolati, persino scherniti, ma i fatti ci hanno dato ragione. Tuttavia questo aver ragione conta poco se non produce nuovi comportamenti, nelle grandi come nelle piccole scelte. A Brescia la Cgil e la FIOM locali hanno organizzato un presidio per la visita di Renzi agli industriali, con la richiesta e l’auspicio di essere ricevute dal Presidente del consiglio. Invece sono state bellamente snobbate, ma nonostante questo hanno concentrato le critiche verso la manifestazione dei movimenti e del sindacalismo conflittuale. Questo episodio testimonia la confusione di un quadro sindacale intermedio a cui vengono a mancare i tradizionali riferimenti, ma dietro di esso stanno difficoltà di fondo di tutta la Cgil.
La prima riguarda le modalità è l’obiettivo stesso del conflitto con Renzi. Dopo le sue ultime frasi sui disegni per spaccare l’Italia, la Cgil dovrebbe essere ben consapevole che con questo governo spazi di compromesso non ne esistono. Quindi o si cede, anche senza dichiararlo, o si va avanti. E andare avanti significa porsi l’obiettivo di rovesciare il governo. Lo so non é questo compito di un sindacato. Neppure quando nel 1960 cadde il governo Tambroni la Cgil aveva messo le sue dimissioni come primo obiettivo degli scioperi di allora. Il punto non sono le dichiarazioni formali, ma la sostanza. Se Renzi è come la Thatcher allora bisogna contrastarlo fino in fondo, non cercare piccole inesistenti aperture o dialoghi immaginari, ma lottare fino a che sia evidente il fallimento della sua politica. E se la politica di un governo fallisce di fronte alla contestazione sociale, questi va a casa. Bisogna essere consapevoli di questo e comportarsi di conseguenza, poi la sinistra PD scelga dove stare e il Presidente Napolitano dica quello che vuole.
La seconda difficoltà della Cgil è sul piano degli obiettivi concreti ed immediati della propria azione. Per non perdermi in piani e programmi futuribili faccio due semplici esempi. 
Il primo è la soluzione della crisi all’Ast di Terni. Con la multinazionale tedesca la sola prospettiva è quella della chiusura della fabbrica, più o meno diluita nel tempo. La sola alternativa concreta è la nazionalizzazione, altro sul campo, che non siano saccheggi, non c’è. Landini ha accennato a questa possibilità, però essa attualmente sul tavolo non viene posta. 
Il secondo esempio sono le pensioni: si vogliono risultati immediati sul fronte delle assunzioni, si chieda la cancellazione della riforma Fornero, invece che disertare su quanto devo e essere crescenti le tutele del Jobact, che va invece solo abolito.
Il punto sta tutto qui: o si affronta la crisi con semplici pratiche non convenzionali rispetto al liberismo italiano ed europeo, oppure Renzi continuerà, quel liberismo, a interpretarlo e gestirlo. 
La terza difficoltà sta nei rapporti con le controparti, Confindustria in primo luogo. La Cgil il 10 gennaio ha firmato un accordo capestro sulla democrazia sindacale, che sostanzialmente applica il Modello Marchionne, nella speranza di stabilizzare i rapporti con le imprese. Invece Squinzi, il ciclista di riferimento di Romano Prodi, è diventato un ultrà dell’attacco ai diritti del lavoro e al sindacato. Anche qui o si rompe con la pratica passata e di ricomincia a fare il duro mestiere delle richieste e dei conflitti, oppure passano le posizioni peggiori delle imprese.
Infine bisogna decidere con chi stare, vista la costante paura dell’isolamento che in Cgil aleggia. Anche qui le scelte son dolorose quanto non rinviabili. Il quadro tradizionale di alleanze e riferimenti politici è saltato, Cisl e UIL almeno per ora restano passive se non peggio. La sola possibile alleanza immediata é allora quella con i movimenti sociali, con i precari che lottano, con i sindacati di base i movimenti civili e e ambientali come i Notav . Lì ci sono forze e culture importanti ed esperienze che, se fatte proprie e rilanciate da una organizzazione ancora grande come la Cgil, potrebbero fare la differenza. Ma certo bisogna cambiare atteggiamento, bisogna aprirsi alla contestazione, come fece la Cgil della fine degli anni 60. La prima occasione è alle porte, lo sciopero sociale precario del 14 novembre, che vedrà in lotta movimenti sociali e sindacati di base nello stesso giorno in cui la FIOM sciopera e manifesta a Milano. Può diventare il primo momento di una nuova alleanza, se non si ripetono le scelte di chiusura di Brescia.
Francamente non sono molto ottimista sul fatto che la Cgil possa realizzare il cambiamento necessario, ma aver ragione dopo la sconfitta non sarebbe una grande consolazione. La forza di Renzi finora è stata proprio nel giocare sul contrasto tra la durezza della rottura con la cgil, e la difficoltà di questa a rompere con le pratiche accomodanti del passato. Cavalcando questa contraddizione alla fine Renzi pensa di vincere, per questo sfida continuamente a essere capaci di rovesciarlo. Ci si provi sul serio e magari si diventa capaci di farlo.

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