Sono poco più di quindici giorni che la Cgil si è rimessa a fare la
Cgil e tutto il quadro politico del paese è cambiato. Renzi in
particolare ha perso gli abiti del buon ragazzo che vuol cambiare le
cose contro i poteri forti e comincia ad apparire col suo vero aspetto. Quello
di un capo di governo reazionario nei contenuti e nella forma, che
degli interessi dei poteri forti economici e finanziari è pura
espressione e per questo distrugge ciò che resta di pubblico, sociale,
diritto del lavoro. Intanto smantella la Costituzione mentre si proclama
alfiere della nazione protetto dalle zone rosse poliziesche e
applaudito dalle claque della Confindustria.
Lo smascheramento e l’evidente difficoltà di Renzi sono prima di
tutto frutto della scesa in campo contro di lui della Cgil, che ha
aperto la via ad una ripresa di iniziativa della Fiom e nuovi spazi alle
diffuse mobilitazioni sociali. Viene allora da pensare come saremmo più
avanti se non ci fosse stata la passività precedente, che ha permesso a
Monti di realizzare la più feroce riforma pensionistica d’Europa e di
intaccare già l’articolo 18. Nel recente congresso della Cgil fummo una
minoranza a sostenere contro le tesi di Susanna Camusso, ma anche
rispetto a quelle di Landini, che Renzi ed il suo PD fossero avversari
da combattere come i governi di Berlusconi. Fummo isolati, persino
scherniti, ma i fatti ci hanno dato ragione. Tuttavia questo aver
ragione conta poco se non produce nuovi comportamenti, nelle grandi come
nelle piccole scelte. A Brescia la Cgil e la FIOM locali hanno
organizzato un presidio per la visita di Renzi agli industriali, con la
richiesta e l’auspicio di essere ricevute dal Presidente del consiglio.
Invece sono state bellamente snobbate, ma nonostante questo hanno
concentrato le critiche verso la manifestazione dei movimenti e del
sindacalismo conflittuale. Questo episodio testimonia la confusione di
un quadro sindacale intermedio a cui vengono a mancare i tradizionali
riferimenti, ma dietro di esso stanno difficoltà di fondo di tutta la
Cgil.
La prima riguarda le modalità è l’obiettivo stesso del conflitto con
Renzi. Dopo le sue ultime frasi sui disegni per spaccare l’Italia, la
Cgil dovrebbe essere ben consapevole che con questo governo spazi di
compromesso non ne esistono. Quindi o si cede, anche senza dichiararlo, o
si va avanti. E andare avanti significa porsi l’obiettivo di rovesciare
il governo. Lo so non é questo compito di un sindacato. Neppure quando
nel 1960 cadde il governo Tambroni la Cgil aveva messo le sue dimissioni
come primo obiettivo degli scioperi di allora. Il punto non sono le
dichiarazioni formali, ma la sostanza. Se Renzi è come la Thatcher
allora bisogna contrastarlo fino in fondo, non cercare piccole
inesistenti aperture o dialoghi immaginari, ma lottare fino a che sia
evidente il fallimento della sua politica. E se la politica di un
governo fallisce di fronte alla contestazione sociale, questi va a casa.
Bisogna essere consapevoli di questo e comportarsi di conseguenza, poi
la sinistra PD scelga dove stare e il Presidente Napolitano dica quello
che vuole.
La seconda difficoltà della Cgil è sul piano degli obiettivi concreti
ed immediati della propria azione. Per non perdermi in piani e
programmi futuribili faccio due semplici esempi.
Il primo è la soluzione
della crisi all’Ast di Terni. Con la multinazionale tedesca la sola
prospettiva è quella della chiusura della fabbrica, più o meno diluita
nel tempo. La sola alternativa concreta è la nazionalizzazione, altro
sul campo, che non siano saccheggi, non c’è. Landini ha accennato a
questa possibilità, però essa attualmente sul tavolo non viene posta.
Il
secondo esempio sono le pensioni: si vogliono risultati immediati sul
fronte delle assunzioni, si chieda la cancellazione della riforma
Fornero, invece che disertare su quanto devo e essere crescenti le
tutele del Jobact, che va invece solo abolito.
Il punto sta tutto qui: o si affronta la crisi con semplici pratiche
non convenzionali rispetto al liberismo italiano ed europeo, oppure
Renzi continuerà, quel liberismo, a interpretarlo e gestirlo.
La terza
difficoltà sta nei rapporti con le controparti, Confindustria in primo
luogo. La Cgil il 10 gennaio ha firmato un accordo capestro sulla
democrazia sindacale, che sostanzialmente applica il Modello
Marchionne, nella speranza di stabilizzare i rapporti con le imprese.
Invece Squinzi, il ciclista di riferimento di Romano Prodi, è diventato
un ultrà dell’attacco ai diritti del lavoro e al sindacato. Anche qui o
si rompe con la pratica passata e di ricomincia a fare il duro mestiere
delle richieste e dei conflitti, oppure passano le posizioni peggiori
delle imprese.
Infine bisogna decidere con chi stare, vista la costante paura
dell’isolamento che in Cgil aleggia. Anche qui le scelte son dolorose
quanto non rinviabili. Il quadro tradizionale di alleanze e riferimenti
politici è saltato, Cisl e UIL almeno per ora restano passive se non
peggio. La sola possibile alleanza immediata é allora quella con i
movimenti sociali, con i precari che lottano, con i sindacati di base i
movimenti civili e e ambientali come i Notav . Lì ci sono forze e
culture importanti ed esperienze che, se fatte proprie e rilanciate da
una organizzazione ancora grande come la Cgil, potrebbero fare la
differenza. Ma certo bisogna cambiare atteggiamento, bisogna aprirsi
alla contestazione, come fece la Cgil della fine degli anni 60. La prima
occasione è alle porte, lo sciopero sociale precario del 14 novembre,
che vedrà in lotta movimenti sociali e sindacati di base nello stesso
giorno in cui la FIOM sciopera e manifesta a Milano. Può diventare il
primo momento di una nuova alleanza, se non si ripetono le scelte di
chiusura di Brescia.
Francamente non sono molto ottimista sul fatto che la Cgil possa
realizzare il cambiamento necessario, ma aver ragione dopo la sconfitta
non sarebbe una grande consolazione. La forza di Renzi finora è stata
proprio nel giocare sul contrasto tra la durezza della rottura con la
cgil, e la difficoltà di questa a rompere con le pratiche accomodanti
del passato. Cavalcando questa contraddizione alla fine Renzi pensa di
vincere, per questo sfida continuamente a essere capaci di rovesciarlo.
Ci si provi sul serio e magari si diventa capaci di farlo.
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