Tracolli borsistici
delle dimensioni registrate ieri si verificano solo quando una fase è giunta al
termine e se ne rendono conto anche operatori o analisti che fino al giorno prima
giuravano che tutto andava per il meglio. Diamo subito i numeri per capire di
cosa parliamo: Milano –4,92%, Parigi (-3,3), Francoforte (-3), Londra (-2%),
New York -1,8 dopo una seduta costantemente sotto il 2.
Il primo responsabile
di questo scatafascio è stato individuato nel prezzo del petrolio, precipitato
sotto i 50 dollari al barile per la qualità Wti e meno di 55 per il Brent. La
metà esatta di sei mesi fa. A far precipitare il prezzo è la guerra in corso da
alcuni mesi con l'Arabia Saudita protagonista di una corsa al ribasso per far
fuori diversi concorrenti. Primi tra tutti Russia, Iran e Venezuela, che
dipendono dalle esportazioni di greggio quanto i sauditi, ma con popolazioni
molto più grandi. Una corsa che, non paradossalmente, ha spinto tutti i paesi
produttori ad aumentare al massimo possibile la produzione, per cercare di
compensare con maggiori vendite i prezzi in calo. Scelta obbligata, ancorché
suicida, sul medio periodo, perché in questo modo il prezzo precipita senza
trovare mai un “pavimento”.
Fin qui, agli Stati
Uniti, potrebbe anche andar bene, perché la crisi dei prezzi colpisce
soprattutto i suoi nemici dichiarati. Ma a spaventare i mercati finanziari c'è
l'esposizione paurosa sui “titoli spazzatura” emessi da quasi tutte le società
impegnate nell'estrazione di shale
oil o shale gas,
soprattutto in Canada e Usa. Con prezzi del greggio – e degli altri prodotti
energetici – così bassi quelle società finiscono rapidamente in passivo (si
calcola che mediamente il “punto di pareggio” per la produzione shale oscilla
tra i 60 e gli 80 dollari al barile, a seconda del tipo di giacimento
sfruttato). E se non ci sono profitti – anzi... - è impensabile che possano
essere onorati i prestiti più i generosi interessi promessi contrattualmente.
La dialettica è una
brutta bestia. La caduta del prezzo è infatti anche conseguenza della crescente
produzione di shale oil,
quella che ha ridato momentaneamente agli Stati Uniti l'indipendenza
energetica. Ma a prezzi bassi quella stessa produzione – peraltro distruttiva
per territori di grandi dimensioni e altamente inquinante le falde acquifere –
si ferma, rovinando anche quanti hanno investito allegramente nello sviluppo
del settore. A riprova, i titoli energetici sono stati ieri i peggiori su tutti
i mercati.
Ma ci ha messo del
suo, e non poco, anche la perenne incertezza sull'indirizzo di politica
economica e monetaria dell'Unione Europea, di fatto bloccata da mesi dalla
resistenza tedesca a “immissioni di liquidità” da parte della Bce che
contemplino anche acquisti di titoli di stato dei paesi “Piigs”. Addirittura,
nei giorni scorsi, la cancelleria aveva fatto trapelare attraverso Der Spiegel
che Merkel e Scaheuble consideravano ormai “non problematica” l'eventuale
uscita di Atene dall'eurozona, se il 25 gennaio Tsipras dovesse ottenere una maggioranza
e formare un governo. E dire che il programma di Syriza punta al massimo a
“ricontrattare” i termini del debito greco...
La smentita ufficiale
diramata ieri da un portavoce di Angela Merkel è così suonata troppo
“obbligata” per essere anche convincente, inducendo gli operatori di borsa a
vendere i titoli di stato considerati più rischiosi. E riecco aumentare lo
spread, anche sui titoli italiani.
Aggiungiamoci, come
tocco finale, il rialzo delle quotazioni del dollaro rispetto alle altre
monete, conseguenza del sempre promesso “quantitative easing” europeo (che
indebolisce l'euro già di suo, come perlatro nelle intenzioni della Bce e negli
auspici delle imprese continentali) e del contemporaneo – possibile, cauto,
niente affatto sicuro – rialzo dei tassi di interesse da parte statunitense.
Dinamica derivante dal tentativo di mantenere con decisione la centralità del
dollaro negli scambi internazionali e che, dialetticamente, accelera gli sforzi
(Russia, Cina ed "emergenti" in genere) per sottrarsi ai
condizionamenti della moneta Usa.
Un menu fin troppo
ricco per chi va in cerca di guadagni finanziari elevati, contando sulle
“turbolenze”. Come da manuale, stamattina gli stessi titoli guidano il
"tentativo di rimbalzo"...
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