domenica 4 gennaio 2015

Fenomenologia di Vendola e della base di SeL di Roberto Fuschi, Esseblog

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Leaderism
Leaderismo e ambiguità. Quando penso al percorso politico di Vendola mi vengono in mente solo queste due parole, le quali possono esprimere nel migliore dei modi le due fasi del Vendola politico nazionale.
Da pugliese ho avuto modo di conoscere Vendola per mezzo dei media durante le primarie del centro sinistra per le Regionali del 2005. Avevo 16 anni e mi ricordo il faccione di Nichi su manifesti con sfondo bianco e scritte nere che lo descrivevano come “Sovversivo”, “Pericoloso”, “Estremista” e “Diverso”. Ricordo che lo davano per perdente, rispetto a Boccia, sostenuto da Margherita e dai dirigenti che avrebbero poi aderito all’attuale Partito Democratico. Al contrario Vendola era un dirigente di Rifondazione, braccio destro di Bertinotti e parlamentare dal 1992 ed infine omosessuale. Nella mia Puglia bigotta tutti lo davano per sconfitto, rispetto al grande e potente Fitto, ma si sbagliavano. Vendola riuscì a vincere sia alle primarie (grazie ai voti degli elettori di centro destra) sia alle regionali, con un risultato sorprendente tale da trovarselo il giorno dopo su tutte le televisioni, come se fosse un alieno. In un certo senso era un alieno. Omosessuale dichiarato, vince nella terra che ha creato democristiani doc, a partire da Aldo Moro fino a Buttiglione e via dicendo. Tutti i riflettori erano puntati sulla mia regione e venne analizzata come un esperimento: un comunista omosessuale a capo di un governo regionale. Insomma, un evento singolare.
Ma Vendola venne colpito da manie di protagonismo e a tutti i costi non voleva perdere questa occasione di mostrarsi ad un pubblico più vasto, puntando a quello nazionale. E quale strumento, se non il partito a cui era iscritto, poteva dargli quella visibilità tale da poter essere considerato il leader indiscusso della sinistra?
Stiamo nel 2008, cade il governo Prodi e Napolitano indice le elezioni. Rifondazione, non condividendo più il percorso fallimentare dell’Unione, decide di creare un cartello elettorale che racchiudeva tutti i partiti a sinistra del neo nato Partito Democratico. Questo cartello, che prese il nome di Sinistra Arcobaleno, doveva riuscire a prendere più del 4% dei punti percentuale per poter accedere al parlamento, come prevedeva la legge elettorale, denominata Porcellum dall’autore stesso Calderoli, ora dichiarata incostituzionale. La Sinistra Arcobaleno non riuscì a superare la soglia di sbarramento, fermandosi al 3,08% alla Camera e al 3,21% al Senato. Sconfitta durissima, di cui ancora si pagano le conseguenze, ma frutto di due anni fallimentari di governo di centro sinistra, di cui Rifondazione ebbe un ruolo di primo piano.
Vendola, non volendo rimanere settario e poco incisivo nella via politica nazionale, al VII congresso di Rifondazione, tenuto a Chianciano nel 2009, presentò una mozione che prevedeva lo scioglimento di Rifondazione e la sua trasformazione in un partito di governo che dovesse essere da stampella al Partito Democratico (si, sono di parte ma il succo del discorso è questo).
Democraticamente in quel congresso viene sconfitto e, non contento del risultato, decide di uscirsene, creando un partito a sua immagine e somiglianza: il famoso Sinistra Ecologia e Libertà. Non mi voglio soffermare sulla storia di SEL e dei cambiamenti che ha subito nei vari anni, ma voglio sottolineare come la caparbietà di Vendola abbia portato alla distruzione di un partito, quale Rifondazione, già allora in difficili condizioni, il tutto per creare un altro contenitore che non aggiungeva nulla al panorama della sinistra italiana, se non un trampolino di lancio solo per Vendola, il quale lo ha sfruttato fino all’osso negli anni successivi, senza mai avere una minima soddisfazione, a partire dalle primarie per la coalizione Italia Bene Comune, fino alle stesse elezioni politiche, che hanno visto il suo partito in parlamento, ma tradito dai suoi stessi alleati.
Adesso SEL è il partito dell’opposizione telecomandata, spaccata ed è il partito con più ambiguità in assoluto.
Per esempio, prendo in considerazione le elezioni europee.
Alla vigilia delle europee, la base di SEL decide di sostenere la coalizione del GUE- Sinistra Europea con a capo il leader della sinistra greca, Alexis Tsipras, contro la volontà di Vendola, il quale avrebbe appoggiato volentieri il candidato dello PSE, Schulz, anche per definire un equilibrio con il Partito Democratico attivando la linea politica del “nemici in parlamento, amici fuori” pur di non scomparire dalla scena politica. Proprio in virtù di questa linea e della decisione di appoggiare il leader greco, Vendola inaugura la posizione del partito in vista delle europee con una dichiarazione della massima ambiguità: “Con Tsipras ma non contro Schulz”.
Fortunatamente la Lista Tsipras riesce a superare la soglia del 4% e ad eleggere tre rappresentanti. Ed è qui che scoppia la polemica.
Barbara Spinelli, eletta in due circoscrizioni, come aveva più volte ripetuto in campagna elettorale, pensa se dimettersi o meno dai seggi per far passare i primi non eletti. Nella circoscrizione Sud la prima dei non eletti è Eleonora Forenza, iscritta a Rifondazione. Nella circoscrizione di Centro il primo è Marco Furfaro di SEL, il quale aveva dichiarato che, una volta seduto nel parlamento europeo, non avrebbe mantenuto il seggio nel GUE ma avrebbe aderito del PSE e giustamente la Spinelli sceglie di non dimettersi per poter evitare il dilagare di spaccature al movimento che, nella fattispecie, riguardano solo SEL.
Se il leaderismo è frutto del delirio di onnipotenza di Vendola, accecato dalla brama di potere e di fama, l’ambiguità, derivata da scelte politiche poco chiare e da dichiarazioni infelici, è frutto del manifestarsi della vera natura di un partito nato male e che morirà peggio. Frutto non di una idea comune e collettiva, ma di una convinzione (che dal 2008 va avanti tra tutti i partiti politici in maniera trasversale) malsana secondo la quale “senza un leader forte non si è nessuno.
Vendola ha distrutto un partito, creatone uno proprio, per mezzo del quale ha cercato in tutti i modi di autodeterminarsi, senza costruire una solida e valida alternativa.
Leaderismo e ambiguità mi portano a sostenere la tesi secondo la quale SEL è un partito che ha fallito dal punto di vista politico fin dalla nascita e dal punto di vista di contenuti con una mancanza di una linea che si dica coerente.
Ma se alla testa vi sono questi problemi, la base allora come si comporta? Sostengo che la base non è totalmente differente a queste dinamiche. Certo, politicamente i “sellini” sono duri e puri, ma sotto sotto nascondono dei vizi che sono difficili da sradicare ma facilissimi da riconoscere. Vi faccio un esempio.
Riferendomi sempre alle elezioni europee, nella lista Tsipras vi erano candidati che sostenevano di essere “indipendenti” e “non-iscritti-a-partiti”, per poi vedere che la pagina facebook di SEL nazionale pubblicava i loro stati, condividendone le idee.
Questo esempio può essere banale e privo di fondamento, ma trovo diffuso il vizio, tra le fila della “base” di SEL, secondo il quale essere iscritti a partiti non fa bene, non sarebbe visto di buon occhio e in un certo senso manifestano una sorta di vergogna, come se essere iscritti a partiti adesso è sintomo di colpevolezza. Insomma, vivono in una condizione ossimorica dalla quale se ne può uscire in due modi: o entrando nel PD e quindi rinnegando il proprio passato (vedi Migliore) o ritirandosi dalla vita politica e dedicarsi al “freelance”.
L’ambiguità politica, quindi, non è solo insita nei capi di questa organizzazione, ma anche nella base, composta da aspiranti leader territoriali o nazionali che siano, che sfruttano il partito o le associazioni territoriali per poter fare carriera politica, ma fino ad ora, con scarso successo. E meno male.

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