La crisi greca e noi. La
protesta indifferenziata di quello che ora viene chiamato "il basso"
che si contrappone all'"alto", per usare un concetto che oggi va di
moda, non basta. E infatti, fin'ora, il 99%, sebbene sia una così grande
maggioranza di sofferenti, non vince. Occorre di più
Tutti si ricordano la famosa frase pronunciata da Ramsey
McDonald, primo presidente del consiglio di un governo laburista
in Gran Bretagna nel 1931, nel pieno dell’altra grande crisi
economica mondiale: «Credevo che il peggio fosse stare
all’opposizione senza il potere di cambiare le cose, ora mi sono
accorto che è peggio ancora stare al governo e non aver ugualmente
potere». Pochi ricordano forse quello che avvenne dopo, quando
McDonald decise di rompere con il proprio partito le cui
rivendicazioni non era in grado di soddisfare e di dar vita ad un
pessimo governo di unità nazionale.
Ebbene, nella tristissima serata che tutti abbiamo trascorso ieri
notte attaccati alla televisione per seguire quanto accadeva ad
Atene, su piazza Sintagma e dentro il palazzo del Parlamento che vi
si affaccia, abbiamo, almeno molti di noi, tirato un sospiro di
sollievo: non solo — lo sapevamo già prima — Tsipras non è Ramsey
McDonald, anche se ha dovuto sperimentare una analoga impotenza —
ma, quel che più conta, la rottura con il suo partito non è avvenuta.
Sia i 40 deputati di Syriza che hanno votato contro il
memorandum, sia i 109 membri del Comitato centrale che hanno
espresso analoga opposizione, hanno ribadito che questo non
comporta sfiducia nei confronti del governo. Un’altra bella prova
della maturità di Siryza. Se questa unità reggerà anche nelle
difficilissime settimane che ci aspettano, il peggio potrà forse
essere evitato.
La scelta del che fare a fronte di un ricatto tanto arrogante da non
esser stato nemmeno immaginato è stata per Atene molto ardua, ed
è comprensibile che abbia sollevato un confronto così acceso, anzi
drammatico. Tsipras, come sappiamo, ha respinto l’ipotesi di
un’uscita dall’eurozona, e ha scelto di correre i rischi dell’accordo
leonino che gli è stato imposto per guadagnare tempo — e mantenere
una collocazione di governo — due fattori che aiutano ad
affrontare una situazione molto difficile, ma meno difficile di
quella che si sarebbe creata, subito, ove le banche fossero rimaste
chiuse senza liquido, stipendi non pagabili, blocco dei servizi
pubblici, importazioni impossibili in un paese che senza comprare
all’estero il carburante per i propri pescherecci non è in grado
nemmeno di pescare il proprio pesce.
Difficile e pericolosa: quando una crisi diventa così grave può
accadere di tutto. Da parte dell’avversario, ma anche — la storia ce
lo insegna — per le tentazioni autoritarie cui si potrebbe cedere
per controllare le inevitabili proteste.
Adesso, se non ci saranno lacerazioni nel corpo di Syriza, sarà
possibile lavorare per ridurre al minimo, e comunque per
distribuire più equamente il peso delle misure imposte. Contando
anche sull’estrema confusione che regna nel campo delle
“istituzioni” UE: che non sono Maciste, ma una leadership sempre
più confusa e sempre meno credibile. Basti pensare alla
esilarante uscita del Fondo monetario, che dopo aver partecipato
ai negoziati con la ineffabile signora Lagarde, manda adesso a dire
che quell’accordo è ridicolo, non potrà mai esser realizzato, perchè
la Grecia non potrà mai pagare un debito che negli anni, dopo le
amorevoli cure dei dottori di Bruxelles, è passato dal 127 % del
PIL all’inizio della crisi al 176 % di oggi, al prevedibile 200 % nel
prossimo futuro.
Degli 82 miliardi che ora sono stati concessi ad Atene solo il 35 %
andrà all’economia reale, il resto a ripagare debiti già contratti e a
rifinanziare le banche, così come del resto è accaduto dal 2010,
quando dei 226,7 miliardi elargiti allora ne andò solo l’11,7%.
Anche sul piano politico va ben sottolineato che da questa
vicenda la leadership europea è uscita malissimo. Anche in
Germania: basta scorrere la stampa tedesca più autorevole per
sapere con quanta asprezza viene giudicato l’operato del proprio
governo: ” Il governo tedesco ha distrutto in un weekend sette decenni
di diplomazia” — ha scritto il settimanale Spiegel e la
autorevolissima Suddeutsche Zeitung ha titolato:“La
signora Merkel ‚il nuovo nemico dell’Europa”. Per non parlare di come
in queste settimane si siano moltiplicate le voci, anche
istituzionali, di chi dice che bisogna andarsene dall’UE.
Tsipras ha invece deciso di non abbandonare il campo di
battaglia. Poteva decidere di lasciar perdere e cedere a chi
suggeriva di imboccare la strada di uno sbriciolamento che avrebbe
in realtà lasciato ancor più privi di forza rispetto alla finanza
globale i singoli paesi.
Può darsi che per ottenere questa diversa Europa sia necessario
ricorrere anche a questa scelta, ma assurdo è pensare che dia più
forza, ad Atene ma anche a tutti noi, che la Grecia, la più debole,
imbocchi questa strada da sola. Grexit, oggi, diventerebbe solo la
patetica vicenda di un piccolo paese marginale, la vittoria, per
l’appunto, di Scheubele.
Altra cosa è che a mettere in discussione l’eurozona sia uno
schieramento più forte, almeno i paesi mediterranei, sulla base di
un chiaro progetto di lotta e di reciproca solidarietà. Questo
fronte oggi non c’è e noi italiani possiamo solo vergognarci perchè
il nostro presidente del Consiglio, che avrebbe potuto, e dovuto,
avere un ruolo di primo piano da svolgere in questa situazione, ha
messo, pauroso, la testa sotto la sabbia.
Tocca anche a noi costruire un piano B, ma non solo per la Grecia.
Torna in primo piano il famoso concetto di “rapporti di forza”, un
termine che sembra sparito dal vocabolario della sinistra,
sicchè quanto accade ad Atene c’è chi lo rappresenta come l’antico
dilemma fra riforme o rivoluzione. Quasi che sia possibile –scrive
con la tradizionale vocazione al richiamo teorico tedesco Blokupy
su “Neues Deutschland” — considerare la Grecia come un secolo fa
la Russia: l ‘anello più debole del capitalismo da cui si sarebbe
potuti partire. Lenin, del resto, quando disse questa frase, non
sapeva che la rivoluzione tedesca sarebbe fallita.
Oggi, comunque, noi sappiamo che di un processo rivoluzionario
capace di sostenere la rottura eventuale della Grecia in Europa non
c’è nemmeno l’odore. Non è rivoluzionario sbattere comunque la
testa contro il muro senza valutare se si rompe la testa o si
sbriciola il muro. Preservare la testa non è un atto di viltà, ma di
intelligenza. Almeno se si intende combattere ancora e non solo
costruire un monumento ai martiri.
“La gente protesta, scende in strada” — ci dicono anche nostri connazionali che sono in Grecia.“Nei bar si dice che Tsipras ha tradito.” E’ comprensibile, ma per questo per vincere ci vogliono i partiti e non i bar: proprio nei momenti drammatici è indispensabile un soggetto consapevole, unito da una comune cultura politica, da un rapporto vero con le rispettive comunità, e non un agglomerato emotivo.
“La gente protesta, scende in strada” — ci dicono anche nostri connazionali che sono in Grecia.“Nei bar si dice che Tsipras ha tradito.” E’ comprensibile, ma per questo per vincere ci vogliono i partiti e non i bar: proprio nei momenti drammatici è indispensabile un soggetto consapevole, unito da una comune cultura politica, da un rapporto vero con le rispettive comunità, e non un agglomerato emotivo.
Per costruire l’egemonia necessaria ad affrontare situazioni
complesse, con lotte mirate e non solo con la moltiplicazione delle
proteste.
E’ vero che lasciare solo alla politica — partiti e istituzioni —
il potere di decidere può esser pericoloso, e lo è stato tante volte
in passato. Per questo sono utili movimenti e forme dirette di
espressione della società civile e speriamo che ce ne siano in Greci
a pungolare, anche contestandole, le decisioni che
verranno prese.
Ma la protesta indifferenziata di quello che ora viene chiamato
“il basso” che si contrappone all’”alto”, per usare un concetto che
oggi va di moda, non basta. E infatti, fin’ora, il 99%, sebbene sia una
così grande maggioranza di sofferenti, non vince. Occorre di più.
Io la penso così. Ma sono molto confortata nel riscontrare che la
grande maggioranza di coloro che stanno cercando di costruire in
Italia un nuovo soggetto politico unitario la pensa in modo
analogo. A qualchecosa la lunga storia della nostra sinistra —
primo fra tutti il “genoma Gramsci” — ci è pur servita !
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