La
politica, in Italia, è dirotta a uno sceneggiato in mano a pessimi
scrittori di battute. Gente che non regge la distanza superiore a uno
sketch. Fa sorridere, qualche volta; incazzare, sempre; pensare, mai.
Due
sottoscene si vanno sviluppando contemporaneamente, sulla destra e
sulla presunta sinistra del Pd, per arrivare alla stessa conclusione:
“il partito della nazione”.
A
destra lo strappo sembra clamoroso solo a chi crede che ci siano
“parti” differenti e non solo varianti dello stesso copione. Denis
Verdini, grande cucitore di Forza Italia fin dalle origini, massone
toscano con una lunga serie di inchieste sul groppone (su tutte spicca
il rinvio a giudizio per la loggia massonica denominata P3, l'evoluzione
post-giudiziaria della più nota P2, insieme a personaggi di spicco come
l’ex sottosegretario all'economia Nicola Cosentino, oggi in carcere per
camorra e dintorni), ha “rotto” con Berlusconi e si appresta a
confluire nel Pd o comunque a fare liste collegate o altri imbrogli a
seconda della legge elettorale con cui si andrà alle urne. Probabilmente
già l'anno prossimo. Nel frattempo gli garantirà al Senato quella
maggioranza che si va logorando giorno dopo giorno.
Il
rapporto tra i due è piuttosto antico, tanto che Verdini passa per
essere stato il vero “scopritore” del talento recitativo di Matteo
Renzi. Merito pare dei rapporti d'affari con il padre, titolare della
società di distribuzione - fallita nel 2013 - del giornale che Verdini
controllava (il Giornale della Toscana, inserto locale del più noto foglio milanese).
Che oggi il talent scout si riunisca con la sua scoperta non dovrebbe
sembrare dunque una gran sorpresa. Del resto, nel rinvio a giudizio per
la P3, a Verdini vengono contestati i reati di associazione a
delinquere finalizzata a episodi di corruzione, abuso d’ufficio e
finanziamento illecito; come corollario strumentale di un'associazione
finalizzata a “condizionare gli organi dello Stato”. Più si è vicini a
Palazzo Chigi, meglio si condiziona, no?
Sembra
molto indicativo il fatto che il loquacissimo guitto di Pontassieve –
ieri ha tonitruato contro i sindacati per lo sciopero in Alitalia e la
chiusura di Pompei – non abbia trovato il modo di pronunciare verbo su
un “apparentamento” che in altri tempi sarebbe suonata come una
provocazione. Quindi è tutto vero, specie perché Verdini ha “svelato i
suoi piani” dopo una cena con Luca Lotti, altro membro di rilevo del
“giglio magico” nominato sottosegretario alla Presidenza del Consiglio.
La
cupola di Firenze, a questo punto della storia, chiude la fase del
“marciare divisi, colpire uniti” e apre quella della falange che tutto
vuol spianare.
Fin qui tutto normale. Un po' raccapricciante, ma quasi scontato.
I
problemi ridicoli vengono come sempre dalla presunta “sinistra”. Gli ex
diessini sono in via di espulsione progressiva dal Pd. Civati, Fassina
& co. verranno prima o poi raggiunti anche da Bersani, D'Alema e
compagnia cantando. In un “partito” ridotto a comitato elettorale di
fedelissimi per loro non ci sarà mai più posto. Tantomeno in lista per
il Parlamento. È anche facile: per qualcuno si agiterà l'immenso numero
di legislature già alle spalle, per altri le critiche rivolte al caro
leader, ecc.
Questa
lenta cessione di ex nomi forti sta naturalmente eccitando gli animi
dei “tessitori di contenitori”, ovvero di tutti quei residui “macinati
fini” che possono sperare di restare nel giro delle poltrone
istituzionali solo accorpandosi stretti stretti, senza badare più di
tanto alle ragioni per cui ci si associa. Stavolta, per di più, ci
potrebbe essere anche il supporto della maggioranza Cgil, che Renzi
intende spazzare via quanto i dissidenti interni.
In linea teorica, un rassemblement che potrebbe aspirare all'8-10%, forse anche più, se si alzano i toni e c'è qualche scontro sociale importante.
Ma
con quali prospettive? Per natura, storia e convinzioni personali,
tutti costoro vogliono dar vita a una “sinistra di governo”, che non
accontenta di stare all'opposizione come (o con) i grillini. Quindi?
Quindi
non resta che l'antica pratica del berciare criticamente contro Renzi
in attesa della data elettorale, in vista della quale si farà un listone collegato al Pd per massimizzare le speranze e le poltrone.
La stessa strategia di Verdini sul lato opposto. Per arrivare allo stesso tavolo.
Ma
come! In compagnia della P3 e dei cosentiniani? Lo spauracchio
Berlusconi non c'è più. Forse quello di Salvini, al momento, non appare
altrettanto sostanzioso. Ma vedrete, più si avvicineranno le elezioni,
più comincerà il mantra “uniamoci per non far vincere i razzisti della
Lega”. Che razzisti certamente sono, e ben intrisi di fascisti, ma non
hanno nessuna possibilità di emergere oltre una certa - e minoritaria –
soglia.
L'alternativa,
per loro, è addirittura tragica: Renzi che li manda tutti a quel paese,
rifiuta di prenderli a bordo (magari come parabordo) e li lascia soli a
vedersela col quorum. Una condizione in cui soltanto un'idea
politica forte e una presenza di massa articolata può consentire, a
fatica, l'emersione al di sopra della "linea dei cespugli".
Già
completamente dimenticata la regola apparsa prepotentemente con la
vicenda greca: chiunque governi un paese farà soltanto quel cha la
Troika decide. E null'altro. A meno di non avere un credibile “piano B”,
capace di portarti fuori da quella gabbia senza restare completamente
dissanguati. Ce li vedete voi Civati e Vendola, oppure Fassina e
D'Alema, preparare “piani strategici” per vincere la guerra con la
Merkel e Draghi?
Quindi perché qualcuno dovrebbe votarli?
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