Troppe vie di fuga
In questi ultimi mesi abbiamo assistito, sull’onda delle elezioni regionali, ad una accelerazione di fughe dal Partito democratico e ad un riposizionamento quindi più ancora al centro del medesimo.
I deputati e i militanti del PD che sono usciti non hanno ancora dato vita ad un unico percorso di costruzione di un nuovo partito: Pippo Civati ha lanciato “Possibile” in forma di associazione politica, Stefano Fassina invece ha espresso la volontà di creare un nuovo “partito della sinistra”.
Queste intenzioni si affiancano alle già presenti e manifeste intenzioni da parte di Sel su un possibile autoscioglimento e confluenza nel nuovo contenitore a guida di quella che veniva chiamata la “sinistra interna al PD”.
Non mi sembra vi siano i presupposti per la strutturazione di una forza di alternativa quando ad unirsi sono forze, persone e collettivi che fino a poco tempo fa hanno condiviso scelte di alleanze nazionali e locali a seconda dell’interesse specifico, preferendo le coalizioni con il PD piuttosto che un coraggioso esperimento di ricostruzione di una autonomia rispetto al partito di Renzi e, quindi, la conseguente formulazione di una indipendenza di scelte sia sul piano tattico che strategico.
Viviamo in una condizione di posizionamenti a macchia di leopardo, senza alcuna continuità progettuale su tutto il territorio nazionale: in Liguria si forma la Rete a sinistra, tardivamente, con evidenti lacune organizzative e senza ancora il principio di uguaglianza e rispetto reciproco tra le varie forze; in Veneto pezzi del Prc, Sel e altri dispersi dal PD si alleano comunque col PD in nome della santa causa del fare muro contro le destre leghiste. Il risultato è stato l’indebolimento del fronte di una vera sinistra di alternativa e la costruzione dell’ennesima stampella di salvataggio delle sembianze di sinistra di un PD che è sempre più destra, invece.
Manca, quindi, una linea nazionale che individui un viatico su cui camminare insieme. Del resto è molto difficile camminare fianco a fianco di chi è sempre pronto a ravvedersi e a dialogare con la forza politica da cui dovrebbe prendere le distanze.
O si decide di essere completamente alternativi al Partito democratico e, ovviamente, alle destre di vecchio stampo, oppure si sceglie di operare una desistenza elettoralistica, un appoggio esterno (ma spesso è molto interno) a quel centrosinistra che molti fingono ancora di vedere in vita e che è stato invece schiacciato dal monoblocco renziano.La recente vittoria del “no” al referendum greco ci parla di una capacità della sinistra ellenica di essere empatica sul piano non solo degli umori ma, di più, della condizione di debolezza, di estrema povertà di un popolo che Syriza ha salvato dall’abbraccio mortale delle destre neonaziste di Alba dorata e ha condotto sulla via di una giusta lotta sociale che fa tremare mezza Europa.
Syriza, dopo molto tempo, è diventata un partito unico. Noi diciamo che dobbiamo costruire la “Syriza italiana” non nel senso che dobbiamo cancellare le specificità politiche delle singole debolezze che ancora esistono a sinistra, ma nel senso che occorre riunire tutto questo in un progetto che si percepisca dall’esterno e dall’interno come una alleanza sincera. E questa sincerità nasce solamente se a fondamento della costruzione sta la scelta del campo in cui stare.
In questi ultimi mesi abbiamo assistito, sull’onda delle elezioni regionali, ad una accelerazione di fughe dal Partito democratico e ad un riposizionamento quindi più ancora al centro del medesimo.
I deputati e i militanti del PD che sono usciti non hanno ancora dato vita ad un unico percorso di costruzione di un nuovo partito: Pippo Civati ha lanciato “Possibile” in forma di associazione politica, Stefano Fassina invece ha espresso la volontà di creare un nuovo “partito della sinistra”.
Queste intenzioni si affiancano alle già presenti e manifeste intenzioni da parte di Sel su un possibile autoscioglimento e confluenza nel nuovo contenitore a guida di quella che veniva chiamata la “sinistra interna al PD”.
Non mi sembra vi siano i presupposti per la strutturazione di una forza di alternativa quando ad unirsi sono forze, persone e collettivi che fino a poco tempo fa hanno condiviso scelte di alleanze nazionali e locali a seconda dell’interesse specifico, preferendo le coalizioni con il PD piuttosto che un coraggioso esperimento di ricostruzione di una autonomia rispetto al partito di Renzi e, quindi, la conseguente formulazione di una indipendenza di scelte sia sul piano tattico che strategico.
Viviamo in una condizione di posizionamenti a macchia di leopardo, senza alcuna continuità progettuale su tutto il territorio nazionale: in Liguria si forma la Rete a sinistra, tardivamente, con evidenti lacune organizzative e senza ancora il principio di uguaglianza e rispetto reciproco tra le varie forze; in Veneto pezzi del Prc, Sel e altri dispersi dal PD si alleano comunque col PD in nome della santa causa del fare muro contro le destre leghiste. Il risultato è stato l’indebolimento del fronte di una vera sinistra di alternativa e la costruzione dell’ennesima stampella di salvataggio delle sembianze di sinistra di un PD che è sempre più destra, invece.
Manca, quindi, una linea nazionale che individui un viatico su cui camminare insieme. Del resto è molto difficile camminare fianco a fianco di chi è sempre pronto a ravvedersi e a dialogare con la forza politica da cui dovrebbe prendere le distanze.
O si decide di essere completamente alternativi al Partito democratico e, ovviamente, alle destre di vecchio stampo, oppure si sceglie di operare una desistenza elettoralistica, un appoggio esterno (ma spesso è molto interno) a quel centrosinistra che molti fingono ancora di vedere in vita e che è stato invece schiacciato dal monoblocco renziano.La recente vittoria del “no” al referendum greco ci parla di una capacità della sinistra ellenica di essere empatica sul piano non solo degli umori ma, di più, della condizione di debolezza, di estrema povertà di un popolo che Syriza ha salvato dall’abbraccio mortale delle destre neonaziste di Alba dorata e ha condotto sulla via di una giusta lotta sociale che fa tremare mezza Europa.
Syriza, dopo molto tempo, è diventata un partito unico. Noi diciamo che dobbiamo costruire la “Syriza italiana” non nel senso che dobbiamo cancellare le specificità politiche delle singole debolezze che ancora esistono a sinistra, ma nel senso che occorre riunire tutto questo in un progetto che si percepisca dall’esterno e dall’interno come una alleanza sincera. E questa sincerità nasce solamente se a fondamento della costruzione sta la scelta del campo in cui stare.
L’eterna rincorsa del centrosinistra
Non si può percorrere un sentiero comune se si è indecisi sull’esistenza del centrosinistra e se bisogna ancora supportarlo “da sinistra” per cambiarne la direzione…Queste indecisioni, questi tentennamenti non fanno altro che regalare a Matteo Renzi e al PD nuove possibilità di ricatto verso la sinistra di alternativa e consolidano un potere che invece potrebbe essere indebolito o, quanto meno, molto incrinato.
Ma per avere una chiara definizione delle proprie identità serve riconoscere in sé stessi cosa si era e cosa si è oggi: francamente è molto difficile poter definire Sel e Possibile. Socialisti? Socialisti di sinistra?
Le definizioni non sono mere etichette che vengono poste sull’abito di chi fa parte di quei partiti, sono programmi.I veri programmi, infatti, non sono scritti nei loro massimi traguardi nelle pagine che si discutono ai tavoli delle trattative. I veri programmi sono l’essenza di noi stessi, ciò che emana dalla nostra cultura e che, quindi, vogliamo politicamente e socialmente per un mondo che, tutte e tutti, diciamo di voler cambiare.Ma le parole ci ingannano: spesso chi invoca un cambiamento non va oltre questa definizione. E sappiamo bene che, almeno negli ultimi decenni, molte parole sono state usate proprio da chi ne rappresentava l’esatto opposto. Due esempi lampanti sono i due maggiori partiti italiani (o ex tali…): Popolo della libertà? Tutto era tranno che libertario. Forse libertino e liberista, ma libertario non di certo.
Partito democratico? Tutto è tranne che “democratico”: Matteo Renzi ha preso in mano la creatura che aveva unito socialdemocratici e cattolici di sinistra e ne ha fatto un partito monodiretto da lui medesimo, posizionando i suoi fedelissimi nei gangli nevralgici sia nazionali che locali per gestire politicamente un potere al servizio dell’economia e della grande finanza.
Non si può percorrere un sentiero comune se si è indecisi sull’esistenza del centrosinistra e se bisogna ancora supportarlo “da sinistra” per cambiarne la direzione…Queste indecisioni, questi tentennamenti non fanno altro che regalare a Matteo Renzi e al PD nuove possibilità di ricatto verso la sinistra di alternativa e consolidano un potere che invece potrebbe essere indebolito o, quanto meno, molto incrinato.
Ma per avere una chiara definizione delle proprie identità serve riconoscere in sé stessi cosa si era e cosa si è oggi: francamente è molto difficile poter definire Sel e Possibile. Socialisti? Socialisti di sinistra?
Le definizioni non sono mere etichette che vengono poste sull’abito di chi fa parte di quei partiti, sono programmi.I veri programmi, infatti, non sono scritti nei loro massimi traguardi nelle pagine che si discutono ai tavoli delle trattative. I veri programmi sono l’essenza di noi stessi, ciò che emana dalla nostra cultura e che, quindi, vogliamo politicamente e socialmente per un mondo che, tutte e tutti, diciamo di voler cambiare.Ma le parole ci ingannano: spesso chi invoca un cambiamento non va oltre questa definizione. E sappiamo bene che, almeno negli ultimi decenni, molte parole sono state usate proprio da chi ne rappresentava l’esatto opposto. Due esempi lampanti sono i due maggiori partiti italiani (o ex tali…): Popolo della libertà? Tutto era tranno che libertario. Forse libertino e liberista, ma libertario non di certo.
Partito democratico? Tutto è tranne che “democratico”: Matteo Renzi ha preso in mano la creatura che aveva unito socialdemocratici e cattolici di sinistra e ne ha fatto un partito monodiretto da lui medesimo, posizionando i suoi fedelissimi nei gangli nevralgici sia nazionali che locali per gestire politicamente un potere al servizio dell’economia e della grande finanza.
Un salto di qualità
Lo scatto di coraggio che le donne e gli uomini di sinistra devono avere è abbandonare proprio la parola “sinistra” come unica definizione di sè stessi: non basta, non è sufficiente e non garantisce nulla.
Essere di sinistra è un concetto talmente lato e interpretabile che ci porta da Renato Brunetta (socialista lombardiano… e qui possiamo dire: povero Riccardo Lombardi…) fino a noi di Rifondazione Comunista.Anche negli anni precedenti a Tangentopoli le divisioni a sinistra erano molte, ma erano chiare: comunisti, socialisti, demoproletari, socialdemocratici…
Oggi va di moda l’ “essere di sinistra”, senza aggettivi, modernamente così.
Senza una cultura che sappia interpretare le vicende quotidiane e di lungo periodo con una tavola interpretativa che si rifaccia ad analisi ben precise, non corrisponde a nessuna certezza o verità e nemmeno a nessun senso compiuto il dirsi o essere “di sinistra”.
Una “Syriza italiana” che sceglie di essere solo “di sinistra” avrà poca speranza, poca vita. Ma se la scelta, invece, è tra l’essere indistintamente “di sinistra” e l’essere, ad esempio, anticapitalisti e antiliberisti, è un deciso e forte passo in avanti per un agire politico netto, chiaro, che marca confini precisi con le altre formazioni politiche e che aiuta la gente, il popolo a riposizionarsi su modelli che sono stati troppo repentinamente liquidati come scarti delle “ideologie” che, a detta di questi sapienti, sarebbe tutte morte.
Anche questa è, in fondo, una ideologia: quella della “morte delle ideologie” stesse. Ed è falsa: è soltanto un costrutto mentale creato ad arte da chi ha sparigliato le carte, anche con il beneplacito di una certa sinistra che ancora oggi – non si sa se in buona o cattiva fede – fa fatica ad uscire dal limbo delle ambiguità.
Lo scatto di coraggio che le donne e gli uomini di sinistra devono avere è abbandonare proprio la parola “sinistra” come unica definizione di sè stessi: non basta, non è sufficiente e non garantisce nulla.
Essere di sinistra è un concetto talmente lato e interpretabile che ci porta da Renato Brunetta (socialista lombardiano… e qui possiamo dire: povero Riccardo Lombardi…) fino a noi di Rifondazione Comunista.Anche negli anni precedenti a Tangentopoli le divisioni a sinistra erano molte, ma erano chiare: comunisti, socialisti, demoproletari, socialdemocratici…
Oggi va di moda l’ “essere di sinistra”, senza aggettivi, modernamente così.
Senza una cultura che sappia interpretare le vicende quotidiane e di lungo periodo con una tavola interpretativa che si rifaccia ad analisi ben precise, non corrisponde a nessuna certezza o verità e nemmeno a nessun senso compiuto il dirsi o essere “di sinistra”.
Una “Syriza italiana” che sceglie di essere solo “di sinistra” avrà poca speranza, poca vita. Ma se la scelta, invece, è tra l’essere indistintamente “di sinistra” e l’essere, ad esempio, anticapitalisti e antiliberisti, è un deciso e forte passo in avanti per un agire politico netto, chiaro, che marca confini precisi con le altre formazioni politiche e che aiuta la gente, il popolo a riposizionarsi su modelli che sono stati troppo repentinamente liquidati come scarti delle “ideologie” che, a detta di questi sapienti, sarebbe tutte morte.
Anche questa è, in fondo, una ideologia: quella della “morte delle ideologie” stesse. Ed è falsa: è soltanto un costrutto mentale creato ad arte da chi ha sparigliato le carte, anche con il beneplacito di una certa sinistra che ancora oggi – non si sa se in buona o cattiva fede – fa fatica ad uscire dal limbo delle ambiguità.
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