La miseria della politica economicaLa resurrezione del keynesismo è più che dubbiadi Robert Kurz
Quanto
più chiara appare la caduta della situazione globale di deficit, tanto
più forti diventano gli appelli a favore di un programma statale di
congiuntura, a partire dal sapiente economista Bofinger, passando per il
ministro dell'economia Glos e per i sindacati, fino a ben dentro lo
spettro politico della sinistra. Proprio davanti al ritorno della
stagflazione degli anni 1970, si riesumano varianti di ricette
keynesiane, che allora fallirono e spinsero le élite capitalistiche alla
fuga verso la "rivoluzione neoliberista". Ora tornano gli stessi
problemi, ad un livello più elevato di globalizzazione. E' più che
dubbio che l'evidente bancarotta della dottrina neoliberista possa
portare alla risurrezione del keynesismo.
Tutti i
programmi congiunturali sono limitati allo spazio dello Stato-Nazione.
Tuttavia, ormai non esiste più congiuntura nazionale. Quello che viene
ancora statisticamente riferito come tale, è da molto tempo parte
integrante di una congiuntura mondiale integrata, orientata
all'esportazione a senso unico, il cui punto di fuga è il "miracolo del
consumo" degli Stati Uniti, sostenuto dal deficit. Quando questo scarico
finisce, cosa che ora è imminente, c'è da aspettarsi un effetto domino
negativo su tutto l'insieme collegato dell'economia mondiale. Il declino
congiunturale in tutta l'Unione Europea, in Europa Orientale ed in
parte anche dell'Asia, è solo l'inizio di questo sviluppo. In queste
condizioni, i programmi nazionali di congiuntura potrebbero, nella
migliore delle ipotesi, ottenere il famoso effetto della goccia d'acqua
nell'oceano. Simultaneamente ritorna, come durante la stagflazione degli
anni 70, il dilemma della politica monetaria, in quatto dilemma della
politica congiunturale. Le banche emittenti devono alzare i tassi di
interesse per eliminare l'inflazione; dall'altro lato devono abbassare i
tassi, per stabilizzare la congiuntura che le sommerge. Le iniezioni
statali, per mezzo del debito, come prevede la ricetta keynesiana,
aggravano tale dilemma. Poiché una crescente domanda di credito da parte
dello Stato spinge in alto il tasso di interesse sul mercato,
aumentando il costo degli investimenti ed aggravando il potenziale
inflazionistico.
Inoltre, le munizioni del
keynesismo sono state ormai tutte sparate. Poiché il neoliberismo era
più keynesiano di quanto si volesse far credere. Gli interventi statali
sono solo andati in un senso differente, non più destinati ai programmi
sociali, investimenti nell'istruzione e nelle infrastrutture. Da un lato
c'era il keynesismo degli armamenti, a partire dal presidente Reagan,
che ricondusse nel "porto sicuro" degli Stati Uniti il capitale
monetario globale eccedente. Dall'altro lato, le orge di
deregolamentazione e privatizzazione aprirono la strada alla "inflazione
degli assets" dell'economia delle bolle finanziarie, con cui venne
alimentata la congiuntura mondiale. Con la crisi finanziaria globale e
con l'aumento dell'inflazione ugualmente globale arrivava alla fine
questa crescita globale basata sul deficit. Per evitare la "fusione
nucleare" del sistema finanziario, gli Stati hanno dovuto contribuire
con ingenti somme per il risanamento dei bilanci delle banche; e questo
processo non è ancora arrivato alla fine. Il keynesismo dell'armamento,
delle bolle finanziarie e del risanamento ha già esaurito tutte le
possibilità dello Stato, prima che potesse essere preso in
considerazione qualsiasi programma di appoggio alla congiuntura.
Il
mainstream sempre più neoliberista degli economisti esige, invece di un
programma di congiuntura, più "riforme dell'economia di mercato",
soprattutto la deregolamentazione del mercato del lavoro. Salta agli
occhi la mancanza di logica di quest'argomento rispetto alla
congiuntura. Già l'Agenda 2010, in vigore, ha fatto sì che i supposti
"successi nell'occupazione" da parte dell'amministrazione coercitiva
statale, attraverso bassi salari ed aumento del tempo di lavoro,
andassero di pari passo con il prosciugamento del consumo interno. La
fine della congiuntura dell'esportazione si ripercuoterà anche sui
precari posti di lavoro fittizi sorti alla sua ombra. Sarebbe di grande
attualità, esigere non la delega ai poteri miracolosi dello Stato, ma
una resistenza sociale senza esitazioni per un drastico aumento dei
salari e delle prestazioni sociali del programma Hartz-IV, indegni degli
esseri umani, in nome degli interessi vitali. Questo criterio, però,
sembra non svolgere più alcun ruolo, quando i sindacati e la sinistra
ormai si limitano a funzionare come forza di manutenzione davanti al
letto de capitalismo ammalato di mancanza di capacità funzionali, e come
forza di trattamento dell'immaginazione circa il disordine vigente. Il
dilemma strutturale del capitale mondiale nei limiti della
globalizzazione "finanziariamente indotta" richiama ancora una volta
l'attenzione verso la mancanza di un'alternativa sociale.
- Robert Kurz - Pubblicato su "Freitag" del 29/8/2008 -
fonte: EXIT!
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