Di incidenti sul lavoro ne avvengono a migliaia, con un
proporzionale e altissimo numero di vittime. Quello avvenuto tre giorni
fa nello stabilimento Volkswagen di Baunatal, nell’Assia, a pochi km da Francoforte, ha però una potenza simbolica difficilmente sottovalutabile.
La dinamica è stata ricostruita abbastanza faciilmente. Il giovane
operaio deceduto è entrato in una specie di gabbia per fare la normale
manutenzione di un robot "di posizione", di quelli che spostano carichi
pesanti con un braccio meccanico, da un punto ad un altro. Non era stato
evidentemente disattivato, perché il braccio ha afferrato il 22enne
manutentore e lo ha schiacciato contro una parete metallica.
Con ineffabile faccia tosta l'azienda ha stabilito che si è trattato
di un "errore umano". Resta da stabilire di chi, come vedremo tra un
attimo.
Perché questa morte sul lavoro assume un valore simbolico - senza esagerazioni - addirittura epocale?
Bisogna sapere che - per pura coincidenza - nello scorso ottobre il
capo del personale della Volkswagen, Horst Neumann, aveva affascinato
dei giornalisti spiegando che, all'interno degli stabilimenti tedeschi
del gruppo, "Nei prossimi 15 anni andranno in pensione 32mila persone;
non verranno rimpiazzate". Ma non cesserà la produzione di atomobili in
quelle fabbriche. Semplicemente, al loro posto saranno "assunti" dei
robot. Più evoluti e "sensibili" di quel bruto che ha stroncato un
operaio, capaci di operazioni sofisticate in fase di montaggio dei
pezzi.
Un robot fa lo stesso lavoro, con maggiore precisione, a velocità
superiore, non si stanca, non protesta, non sciopera. Al massimo si
rompe, ma questo accade assai più spesso all'essere umano. Soprattutto
costa meno. “Nell’industria automobilistica tedesca il costo del lavoro è
superiore ai 40 euro all’ora, nell’Europa dell’est sono 11, in Cina
10”, aggiunge Neumann. “Oggi il costo di un sostituto meccanico per
lavori di routine in fabbrica si aggira intorno ai cinque euro. E con la
nuova generazione di robot diventerà presumibilmente ancora più
economico. Dobbiamo essere in grado di sfruttare questo vantaggio
economico”.
La tendenza è tracciata con esemplare chiarezza. Aggiungiamo, di
nostro, che l'automobile è la merce pivot dello sviluppo capitalistico
novecentesco, il prodotto più importante anche simbolicamente, attorno
al quale gira un complesso di attività che ha garantito occupazione,
benessere, ricchezza, consumismo obbligato, libertà di movimento,
rapidità negli spostamenti, immaginario letterario e cinematografico...
L'industria dell'automobile, da qui a qualche anno, sarà quasi
completamente robotizzata. La manodopera ancora necessaria sarà limitata
appunto ai "manutentori", qualche ingegnere per controllare la
funzionalità del sistema, poche decine di carrellisti per alimentare
ogni segmento della catena automatizzata, ecc.
Lo stesso naturalmente avverrà per decine di altre merci destinata al
mercato di massa, fabbricabili quindi in milioni di unità. Dunque
l'occupazione di massa non sarà più garantita dalla produzione di massa.
E non si vede nessun ambito produttivo di valore dove invece potrebbero servire milioni di esseri umani "liberati" dal lavoro in fabbrica.
Non ci addentriamo in analisi troppo complesse da fare in un solo
articolo e rimandiamo volentieri all'ultimo numero della versione
cartacea di Contropiano.
La tecnologia al servizio della produzione è da sempre il principale
strumento di "riduzione del costo del lavoro", nel senso che elimina
quote crescenti di addetti alla produzione. Ma la robottizzazione,
tendenzialmente universale, della produzione ci mette davanti agli occhi
un limite mai intravisto prima - se non dalla teoria marxiana: il
lavoro umano necessario a produrre merci si
riduce a ben poca cosa in proporzione alla massa di merci prodotta. In
soldoni: poca occupazione, tanti disoccupati, molte merci, pochi
acquirenti solvibili.
Dal punto di vista del movimento operaio, non è un problema nuovo. Ma
non aveva mai assunto tanta evidenza pratica. Qui non può tornare il
fantasma di Ned Ludd, il "distruttore" di macchine. E' infatti ridicolo,
da "cultura Amish", pensare di poter fermare, o anche solo frenare, lo
sviluppo tecnologico; e per questa via "garantire occupazione". E' un
ragionamento da schiavi salariati che vogliono rimanere tali.
Nella triangolazione profitto-tecnologia-lavoratori c'è un solo
elemento che merita di essere eliminato. Non è difficile vedere quale...
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