L’Europa monetaria, unita solo dall’euro e dominata dalla
teologia dell’austerità, non funziona proprio. Sono in molti ad
affermarlo e non è un caso che la Gran Bretagna abbia voluto
conservare la sterlina pur aderendo all’Unione europea nei
confronti della quale manifesta dissensi crescenti. E, in
generale, non dobbiamo dimenticare che siamo in una fase di
continui cambiamenti, tali da indurre Guido Rossi a scrivere (Il Sole 24 Ore, 19 luglio) un editoriale dal titolo «Quei Trattati superati che creano disordine».
Ma torniamo alla Grecia, la cui crisi strutturale non è stata
affatto risolta con i prestiti e le dilazioni di pagamento del
debito, ma solo rinviata e nemmeno a lungo termine e non sarà
agevole una ripetizione dei prestiti. I punti sono due:
- Tutti i paesi che hanno accettato l’euro sono in condizioni molto diverse e peggiori di quelle della Germania, che si conferma dominante nel circolo dell’euro;
- Manca, anzi è rifiutata, una politica economica diretta a equilibrare i rapporti di forza all’interno della comunità: tutti abbiamo l’ euro, ma ci sono quelli che ne hanno tanti e li fanno crescere e quelli che ne hanno pochi e li vedono diminuire continuamente.
Di questa situazione noi italiani abbiamo una certa competenza:
anche quando usavamo tutti la lira il Mezzogiorno era un disastro e,
con l’aiuto di Gramsci, scoprimmo la “questione meridionale”, che
oggi si ripropone a scala europea. E così mi ha colpito, e persuaso,
il grande titolo del supplemento di la Repubblica del 20 luglio: «Mezzogiorno, la Grecia d’Italia».
Nella nostra unità nazionale fin da principio a dominare fu la
moneta, cioè la lira, e così si aprì la questione meridionale, con la
miseria e l’emigrazione. In alcune regioni del Mezzogiorno si stava
meglio ai tempi del regno di Napoli con i Borbone piuttosto che dopo
con l’unità d’Italia e i Savoia.
La crisi della Grecia sarà lunga e dura e ci saranno – già lo si
vede – altri paesi investiti dalla crisi prodotta dall’attuale unione
monetaria e soltanto monetaria. Si tratta – già ci sono gli annunci
– dei paesi mediterranei: la Spagna, dove si voterà questo autunno
e dove sta crescendo il partito Podemos, abbastanza simile a Syriza
e poi il Portogallo e anche l’Italia – è sotto gli occhi di tutti –
non sta tanto bene.
Il futuro – allo stato attuale – è di crescita della
disoccupazione e di deficit di bilancio. Insomma il percorso della
Grecia – ancora per niente concluso – dovrebbe illuminarci. Siamo –
ne sono convinto – all’apertura di un questione meridionale che
provocherebbe una crisi ben più grave di quella che si è aperta con
la Grecia che conta meno di dieci milioni di abitanti e un Pil pari al
2 per cento di quello europeo. Una crisi assai più difficile da
affrontare con una unione solo monetaria, non politica e neppure
economica.
La previsione più facile, e negativa, è che salti tutto
provocando un disordine ingovernabile. Tra non molto tempo la
crisi greca si riaprirà e investirà, assai più’ duramente che oggi,
anche i paesi mediterranei: l’Europa sarà in una crisi più grave ed
estesa di quella che ha investito la Grecia e anche la Germania avrà
più di un problema. A questo punto mi pare utile citare un passo
dell’ottimo articolo di Luciana Castellina (il manifesto,
17 luglio): «Altra cosa – scrive Luciana – è che a mettere in
discussione l’eurozona sia uno schieramento più forte, almeno i paesi
mediterranei, sulla base di un chiaro progetto di lotta e di
reciproca solidarietà. Questo fronte oggi non c’è e noi italiani
possiamo vergognarci perché il nostro presidente del consiglio
avrebbe potuto e dovuto avere un ruolo di primo piano da svolgere in
questa situazione, ha messo, pauroso, la testa sotto la sabbia.
Tocca anche a noi costruire un piano B, ma non solo per la Grecia».
Quello che non ha fatto e non ha pensato il nostro attuale
presidente del consiglio lo possono e lo debbono fare i nostri
politici di sinistra.
Riunirsi, prendere contatto con le personalità di sinistra di Portogallo, Spagna, Grecia e anche Italia per affrontare l’attuale questione meridionale europea.
E’ lo sforzo che hanno fatto in questi mesi i gruppi e i partiti
che stanno cercando di dar vita ad un nuovo soggetto di sinistra nel
nostro paese, consapevoli che occorre oramai operare a livello
europeo e non solo nazionale stabilendo rapporti o rendendoli
meno formali.
Lo ha già fatto la Fiom con i sindacati metalmeccanici del sud Europa.
In questo senso si muovono anche Strauss-Kahn, Fitoussi,
e Varoufakis con il sostegno del premio Nobel Stiglitz e anche
James Galbraith per una formazione di sinistra a livello europeo.
E’ urgente e positivo, e per noi italiani che sulla questione
meridionale abbiamo avuto la lezione di Gramsci, ancora più
pressante.
Non si può continuare a stare immobili e subire. Questo è un appello. E per questo ho scelto le colonne del manifesto per lanciarlo.
L’Unione europea è da realizzare, ma non può essere solo
monetaria: non solo è insufficiente ma anche dannosa. Deve essere
un’unione politica e quindi democratica cioè tale da prendere in
considerazione le differenze economiche e sociali tra i vari
paesi. Un’unione non è una sommatoria acritica di differenze.
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