Caro Tsipras, il problema è la Bce
di Manfredi De Leo
La piccola Grecia ha vinto una battaglia importante, di quelle che lasciano il segno e che danno speranza. Ma pur sempre una battaglia, non certo la guerra di cui parlava, con cognizione di causa, il ministro delle finanze ellenico Varoufakis. Così, mentre in piazza Syntagma sventolano le bandiere rosse, già si intravedono i primi movimenti avversi nelle cancellerie europee, e nei grigi uffici di Bruxelles e Francoforte la reazione inizia a riorganizzarsi.
Gli spazi di manovra del governo Tsipras si assottigliano ora dopo ora, principalmente a causa dei vincoli monetari che la BCE impone al sistema finanziario ellenico: la liquidità a disposizione degli istituti di credito, necessaria per l’ordinario funzionamento dell’economia, rischia di terminare presto, mentre pende sulla testa del governo greco la spada di Damocle del rifinanziamento del debito pubblico in scadenza.
A ben vedere, fu proprio la BCE a mettere in atto la prima vera reazione politica all’elezione del governo Tsipras, a pochi giorni dal suo insediamento, negando alle banche elleniche la possibilità – garantita durante i governi precedenti – di ottenere liquidità in cambio di titoli pubblici greci. In questa maniera, il sistema finanziario ellenico perse un discreto grado di autonomia nella gestione della liquidità, e fu costretta a reperire il denaro dall’ultimo canale rimasto attivo, l’ELA.
Come suggerisce il nome, l’Emergency Liquidity Assistance può rappresentare solamente un riparo temporaneo per il sistema finanziario, perché garantisce un ammontare predeterminato di liquidità, e dunque mal si presta a gestire la stabilità finanziaria nel medio e lungo termine. L’ELA dipende direttamente dalla BCE, che decide durata e dimensione del programma di assistenza.
Insomma, fin dall’insediamento del governo Tsipras, la BCE ha deciso di tirare le redini del sistema finanziario greco, facendo pesare nei negoziati tutta la sua autorità. E nelle scorse settimane, quando Tsipras ha fatto saltare i piani della troika indicendo il referendum, la BCE prima ha negato, insieme agli altri creditori, la tranche da 7,2 miliardi di euro del prestito accordato alla Grecia, impedendogli così di ripagare la rata dovuta al FMI, e poi ha deciso di alzare ulteriormente il grado di pressione esercitato sulla pelle dell’economia greca con una mossa astuta: ha esteso i termini del programma ELA di qualche giorno, in modo da consentire lo svolgimento del referendum (e nella speranza che i greci si facessero vincere dalla paura), ma non ha aumentato la quantità di denaro cui il sistema finanziario poteva attingere.
Questa decisione ha costretto il governo greco ad imporre i controlli sui movimenti di capitali, il tetto ai prelievi dai bancomat e la chiusura delle banche, contribuendo ampiamente al clima di terrore che ha gravato sul referendum. Tuttavia, i greci non hanno chinato il capo. Ma quanto ancora può la piccola economica ellenica resistere alla stretta monetaria che le viene imposta dall’architettura istituzionale europea? Entro questo contesto, le prossime mosse del governo Tsipras saranno decisive: o si faranno saltare i meccanismi perversi che hanno messo in ginocchio la Grecia, oppure l’austerità tornerà rapidamente a dominare la vita economica e sociale di quel paese, e dell’Europa tutta.
Per ironia della sorte, in questa drammatica situazione il consiglio più utile per il governo Tsipras potrebbe provenire proprio da un tedesco. Quello giusto, ovviamente. Nella sua analisi delle vicende della Comune di Parigi, Karl Marx non mancò di osservare che i comunardi avevano commesso un errore che si rivelò fatale per l’eroica impresa. Dopo i primi fondamentali successi, con il governo Thiers in fuga dalla città, i comunardi rinunciarono alla presa della banca centrale, quella Banca di Francia che governava il sistema finanziario del paese. Si raggiunse un compromesso per il quale l’autorità monetaria sarebbe rimasta sotto l’influenza del governo Thiers, ma avrebbe al tempo stesso garantito liquidità alla Comune.
Secondo Marx, quel compromesso fu il preludio della fine – tragica – della Comune di Parigi. Infatti, la Banca di Francia iniziò gradualmente a ridimensionare i prestiti concessi alla Comune, spingendo rapidamente Parigi al collasso proprio mentre il governo Thiers poteva contare su tutta la liquidità necessaria ad organizzare la repressione. Per Marx, dunque, la Comune doveva mettere le mani sulla banca centrale. Senza il governo della moneta, il sistema economico può tramutarsi in una trappola da cui non si esce vivi, esattamente come sta avvenendo oggi in Grecia.
Come mettere a frutto la saggezza di Marx oggi? Forse sperando che il governo Tsipras non si limiti a contrattare condizioni meno onerose ed una piccola ristrutturazione del debito, perché queste operazioni di facciata, che pure lenirebbero le sofferenze del popolo greco, non intaccherebbero la radice del problema. Per non ripetere l’errore dei comunardi, il governo Tsipras dovrebbe mettere in discussione la posizione della BCE, una banca centrale che ha trasformato la politica monetaria nel principale strumento di affermazione di quel disegno politico che chiamiamo austerità. Questa volta, sì, sarebbe proprio il caso di dar retta ad un tedesco. Whatever it takes.
La piccola Grecia ha vinto una battaglia importante, di quelle che lasciano il segno e che danno speranza. Ma pur sempre una battaglia, non certo la guerra di cui parlava, con cognizione di causa, il ministro delle finanze ellenico Varoufakis. Così, mentre in piazza Syntagma sventolano le bandiere rosse, già si intravedono i primi movimenti avversi nelle cancellerie europee, e nei grigi uffici di Bruxelles e Francoforte la reazione inizia a riorganizzarsi.
Gli spazi di manovra del governo Tsipras si assottigliano ora dopo ora, principalmente a causa dei vincoli monetari che la BCE impone al sistema finanziario ellenico: la liquidità a disposizione degli istituti di credito, necessaria per l’ordinario funzionamento dell’economia, rischia di terminare presto, mentre pende sulla testa del governo greco la spada di Damocle del rifinanziamento del debito pubblico in scadenza.
A ben vedere, fu proprio la BCE a mettere in atto la prima vera reazione politica all’elezione del governo Tsipras, a pochi giorni dal suo insediamento, negando alle banche elleniche la possibilità – garantita durante i governi precedenti – di ottenere liquidità in cambio di titoli pubblici greci. In questa maniera, il sistema finanziario ellenico perse un discreto grado di autonomia nella gestione della liquidità, e fu costretta a reperire il denaro dall’ultimo canale rimasto attivo, l’ELA.
Come suggerisce il nome, l’Emergency Liquidity Assistance può rappresentare solamente un riparo temporaneo per il sistema finanziario, perché garantisce un ammontare predeterminato di liquidità, e dunque mal si presta a gestire la stabilità finanziaria nel medio e lungo termine. L’ELA dipende direttamente dalla BCE, che decide durata e dimensione del programma di assistenza.
Insomma, fin dall’insediamento del governo Tsipras, la BCE ha deciso di tirare le redini del sistema finanziario greco, facendo pesare nei negoziati tutta la sua autorità. E nelle scorse settimane, quando Tsipras ha fatto saltare i piani della troika indicendo il referendum, la BCE prima ha negato, insieme agli altri creditori, la tranche da 7,2 miliardi di euro del prestito accordato alla Grecia, impedendogli così di ripagare la rata dovuta al FMI, e poi ha deciso di alzare ulteriormente il grado di pressione esercitato sulla pelle dell’economia greca con una mossa astuta: ha esteso i termini del programma ELA di qualche giorno, in modo da consentire lo svolgimento del referendum (e nella speranza che i greci si facessero vincere dalla paura), ma non ha aumentato la quantità di denaro cui il sistema finanziario poteva attingere.
Questa decisione ha costretto il governo greco ad imporre i controlli sui movimenti di capitali, il tetto ai prelievi dai bancomat e la chiusura delle banche, contribuendo ampiamente al clima di terrore che ha gravato sul referendum. Tuttavia, i greci non hanno chinato il capo. Ma quanto ancora può la piccola economica ellenica resistere alla stretta monetaria che le viene imposta dall’architettura istituzionale europea? Entro questo contesto, le prossime mosse del governo Tsipras saranno decisive: o si faranno saltare i meccanismi perversi che hanno messo in ginocchio la Grecia, oppure l’austerità tornerà rapidamente a dominare la vita economica e sociale di quel paese, e dell’Europa tutta.
Per ironia della sorte, in questa drammatica situazione il consiglio più utile per il governo Tsipras potrebbe provenire proprio da un tedesco. Quello giusto, ovviamente. Nella sua analisi delle vicende della Comune di Parigi, Karl Marx non mancò di osservare che i comunardi avevano commesso un errore che si rivelò fatale per l’eroica impresa. Dopo i primi fondamentali successi, con il governo Thiers in fuga dalla città, i comunardi rinunciarono alla presa della banca centrale, quella Banca di Francia che governava il sistema finanziario del paese. Si raggiunse un compromesso per il quale l’autorità monetaria sarebbe rimasta sotto l’influenza del governo Thiers, ma avrebbe al tempo stesso garantito liquidità alla Comune.
Secondo Marx, quel compromesso fu il preludio della fine – tragica – della Comune di Parigi. Infatti, la Banca di Francia iniziò gradualmente a ridimensionare i prestiti concessi alla Comune, spingendo rapidamente Parigi al collasso proprio mentre il governo Thiers poteva contare su tutta la liquidità necessaria ad organizzare la repressione. Per Marx, dunque, la Comune doveva mettere le mani sulla banca centrale. Senza il governo della moneta, il sistema economico può tramutarsi in una trappola da cui non si esce vivi, esattamente come sta avvenendo oggi in Grecia.
Come mettere a frutto la saggezza di Marx oggi? Forse sperando che il governo Tsipras non si limiti a contrattare condizioni meno onerose ed una piccola ristrutturazione del debito, perché queste operazioni di facciata, che pure lenirebbero le sofferenze del popolo greco, non intaccherebbero la radice del problema. Per non ripetere l’errore dei comunardi, il governo Tsipras dovrebbe mettere in discussione la posizione della BCE, una banca centrale che ha trasformato la politica monetaria nel principale strumento di affermazione di quel disegno politico che chiamiamo austerità. Questa volta, sì, sarebbe proprio il caso di dar retta ad un tedesco. Whatever it takes.
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