E se ci diranno
che per rifare il mondo
c'è un mucchio di gente
da mandare a fondo
noi che abbiamo troppe volte visto ammazzare
per poi sentire dire che era un errore
noi risponderemo noi risponderemo
NO NO NO NO NO NO NO NO
La Grecia ha risposto NO, come nell’urlo drammatico di Luigi Tenco, in uno di quei testi che prepararono la rivolta giovanile del Sessantotto. E in mille cuori all’unisono l’Europa “dei buoni” ha risposto NO. No a chi voleva mandare a fondo una intera nazione, in nome dei vincoli di bilancio. No a chi voleva continuare a tenere in scacco sei milioni di cittadini e cittadine di questo piccolo grande paese. No a chi sbagliando pretende di continuare a sbagliare, e a dettare legge a tutti.
Nelle giornate di tensione che hanno preceduto il referendum, con sgangherate irruzioni in campo di autorità politiche nazionali (vedi anche il nostro Renzi) ed europee (vedi il presidente del Parlamento, il socialdemocratico tedesco Martin Schultz), mi è sovvenuto più volte Antonio Gramsci e la sua battaglia per la verità sulla Russia, a partire dal novembre 1917, quando, dopo la vittoria dei bolscevichi, dovette reiteratamente intervenire per sgomberare il campo dalle incredibili menzogne messe in circolazione su quanto accadeva in quella lontana parte del mondo. Scriveva ad esempio, in dicembre: "È la liberazione degli spiriti, è l’instaurazione di una nuova coscienza morale... È l’avvento di un ordine nuovo, che coincide con tutto ciò che i nostri maestri ci avevano insegnato".
Non è quello di Syriza l’ordine nuovo desiderato da Gramsci, certo, ma la situazione presenta interessanti analogie, specie per la imponenza dell’attacco concentrico contro il referendum (“una mossa azzardata”, secondo Renzi, che non ha fatto che adeguarsi al mainstream di Bruxelles-Berlino), cui abbiamo assistito, e quindi quando ormai esso era inarrestabile, obtorto collo, contro la possibilità che vincesse il NO. E allora ritorna di straordinaria attualità l’azione di Gramsci contro le menzogne sparse, nel 1917 e seguenti, dai "pennivendoli" della borghesia (l’espressione è sua, ed è perfettamente valida oggi), che sui loro giornali diffamavano la Rivoluzione, spargevano false notizie, eccitavano il terrore psicologico e politico esterno mentre foraggiavano e armavano il terrore militare interno. Era una battaglia, quella di Gramsci, per la verità, vero filo rosso di tutta la sua meditazione filosofica, storica e politica.
Ed è quanto abbiamo dovuto fare, nel nostro piccolo, in migliaia, ciascuno in un giornale, in un blog, sui social, con gli amici, familiari, colleghi, compagni; e in tante piazze d’Europa: condurre una campagna per la verità, contro i giganteschi apparati ideologici che costruivano menzogne, false notizie, insinuazioni. È stato un conflitto asimmetrico contro le corazzate dei grandi media, le parole degli “esperti”, le conferenze stampa dei leaders dell’Unione, tutti appiattiti sulle indicazioni della Germania; eppure si è vinta questa guerra ineguale, e davvero, senza temere la retorica (a volte è strumento fondamentale della comunicazione politica), possiamo affermare che sono i popoli ad avere vinto.
Ci hanno dipinto i greci come un popolo spendaccione, il figliolo scapestrato della famiglia europea, che aveva dilapidato centinaia di miliardi in pensioni di lusso, in stipendi e regalie; ci hanno imbottito i crani di menzogne clamorose e gravi, e ci è voluto un tardivo Massimo D’Alema a dire fuori dei denti, sia pur in zona Cesarini, che i soldi che l’Europa ha dato alla Grecia in realtà li ha dati alle banche tedesche, innanzi tutto, poi a quelle francesi, e anche un poco, infine, a quelle italiane, mentre l’ineffabile Renzi, tacchineggiando, ripeteva il suo mantra che l’Italia non è come la Grecia, che noi “abbiamo fatto le riforme, e le stiamo facendo” e dunque “non siamo in pericolo”.
In realtà è esattamente l’opposto. Noi siamo in pericolo, non malgrado le “riforme”, ma a causa di esse, che ci stanno togliendo tutte le conquiste realizzate in decenni di lotte, e che vengono chiamate con dispregio “Stato sociale”, o peggio “Stato assistenziale”¬. Siamo in pericolo perché sudditi, non più cittadini in senso pieno, ai quali viene tolto il potere di scelta in scelte istituzionali (ed elettorali) sempre più antidemocratiche all’insegna del leaderismo “decisionistico”; e che subiscono un sistema economico-sociale che accresce anno dopo anno le disuguaglianze. Siamo in pericolo perché l’Europa che blatera di pace si sta armando contro quanti reclamano giustizia, e si impegna sempre più in situazioni foriere di guerre imposte dall’alleato padrone statunitense. Siamo in pericolo perché sottoposti al diktat perennemente vessatorio della solita Germania, che ha imposto la sua moneta, e l’ha spacciata per “moneta europea”: insomma, il marco si è travestito da euro, e la Germania ha realizzato la sua Anschluss (richiamo con questo titolo il bel libro di Vladimiro Giacchè, che tutti dovrebbero leggere).
Noi popoli d’Europa siamo in pericolo perché l’Unione Europea è fallita, clamorosamente, e se non si vorrà prendere atto del risultato greco, e dei segnali che da tanta parte del Continente giungono incessanti, questo fallimento avrà conseguenze pesanti per tutti: a meno che, cogliendo la palla al balzo, si compia un gesto di coraggio, da parte di Italia, Francia, Spagna, Portogallo, che, accanto alla Grecia, diano vita a una Unione Mediterranea, che avvii un dialogo intenso e proficuo con le genti del Nordafrica, e del Medio Oriente, disinnescando così altri conflitti, e forse mettendo fine alla risposta disperata del terrorismo.
Ma non accadrà, naturalmente. Come difficilmente accadrà che i capi e capetti dell’Unione prendano atto e cambino rotta, perché Iddio acceca coloro che vuole perdere: anche se la loro cecità rischia di portare centinaia di milioni di europei ed europee nel baratro.
Eppure oggi godiamoci questa vittoria, che è una sconfitta per gli zombies di Bruxelles, e i loro pappagalleschi emuli nazionali. Una vittoria dei greci, ma anche degli europei, contro la vergognosa campagna di menzogne che ha cercato, invano, di condizionare il voto del 5 luglio in Grecia, dove tra mille difficoltà interne ed esterne un governo coraggioso sta lottando per restituire libertà, dignità e speranza a un popolo intero, un popolo assediato, in gabbia, ricattato in ogni modo, e tentare di mandare un messaggio a tutti i popoli d'Europa, dicendo loro: un'altra Unione è possibile, non quella delle banche e dei comitati d'affari, non quella degli gnomi (in ogni senso) della finanza, non quella delle minacciose sigle che in segrete e in accessibili stanze decidono i destini di tutti.
Perciò Tsipras e Varoufakis fanno paura. Perciò ogni "democratico sincero" – come si diceva un tempo – deve sentire come sua la loro lotta. E smascherare, con ogni mezzo, le scempiaggini, le insinuazioni, le volgarità che tutti i media, cartacei e audiovisivi, italiani ed europei, stanno usando per screditare il governo e il popolo della nostra Madre Grecia, anche ora che il referendum, stravinto, è archiviato (Sento ora le dichiarazioni dell’“economista democratico”, area PD, Giacomo Vaciago: un’agghiacciante sequela di sarcasmi contro i greci, del tipo: “Hanno voluto fare da sé. Hanno insultato la Germania. Hanno irritato i creditori… Voglio proprio vedere se qualcuno presterà più denaro ai greci… Vediamo ora come se la cavano”).
Il referendum del 5 di luglio 2015, in definitiva, è stato assai più che un sì o un no alle imposizioni della "Troika" (presentato falsamente come un no o un sì all'Euro, e anche in queste prime ore dopo i risultati, si insiste su tale linea): a dispetto di quanti hanno, tanto per cambiare, parlato di “populismo”, è stata lanciata una sfida sulle possibilità stesse di una democrazia autentica. Essa ci giunge, oggi, dalla patria della parola e del concetto ("democrazia": governo o potere del popolo); l'espressione di una concezione alta e nobile della politica, ma, anche, infine, un richiamo al rispetto, alla gratitudine, e all'ammirazione che dobbiamo all'Ellade. La terra che ha regalato all'Europa le sue basi culturali principali, i suoi fondamenti filosofici, gran parte del bagaglio linguistico, e molto altro, a cominciare, addirittura, dal nome.
Oggi Atene è la Pietrogrado (richiamando ancora Gramsci che lotta per la verità sulla Russia rivoluzionaria) su cui si gioca il futuro di centinaia di milioni di cittadini e cittadine d'Europa. La "mossa azzardata" è stata per il governo greco una mossa giusta, data la situazione, anzi una mossa obbligata. Se Parigi valeva bene una messa, Atene val bene le nostre barricate. Difendendo il governo (e il popolo) greco, noi non solo difendiamo il nostro presente, ma possiamo tentare di pensare a un futuro, altrimenti, se le cose non cambieranno, neppure più ipotizzabile. Perché sopravvivere, sempre più faticosamente e tristemente, in miseria e in servitù, senza speranza di cambiare le cose, non è vita.
Avanti, perciò, compagni e compagne dell'Ellade! Avete vinto la prima battaglia, ne avete altre da condurre. A noi spetta il compito di starvi vicini, in ogni modo possibile. Chissà, domani toccherà a noi stare sulla barricata e contare sul vostro sostegno. Intanto, oggi, grazie per la speranza che ci avete regalato.
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