Angela Merkel entrando nella sala dove si è tenuta la seduta decisiva per l'accordo fra la Grecia e la Ue ha dichiarato che "Trust has been lost". La fiducia è andata perduta? Sì ma nei confronti dell'Europa più che della Grecia, Tutti nel mondo, a cominciare dagli americani che hanno i loro interessi geopolitici in quella zona del Mar Egeo, sono stupefatti di come la "trattativa" con il paese ellenico è stata portata avanti, soprattutto tenendo conto della relativa esiguità del debito in discussione: 360 miliardi di euro. Pensate che le Borse un lunedì fa ne hanno bruciati 270 solo al mancato annuncio di un accordo che pareva già raggiunto.
La verità è che le questioni economiche c'entrano poco in questa partita, anzi in questa prima guerra di interdipendenza europea. L'aspetto decisivo è sempre stato quello politico. Le elite europee non possono tollerare che si diffonda il messaggio che è possibile condurre politiche economiche anticicliche che fuoriescano dalle regole del neoliberismo e dell'austerità europea a marca tedesca. Questo è il vero contagio temuto. Per cui prima si è cercato di rovesciare Tsipras creandogli vuoto attorno; quindi si sono manipolate le norme dei trattati facendo credere che una Grexit per cinque anni fosse possibile con l'attuale ordinamento europeo; poi, una volta che questo tentativo di golpe bianco è fallito grazie al referendum greco, si cerca di imporre ad Atene un cambiamento di maggioranza, reimbarcando al governo i resti di quei partiti che sono stati complici delle politiche di austerità che hanno affamato il paese e incrementato il debito.
Nello stesso tempo, come apprendiamo da una intervista di Varoufakis al Guardian, lo stato greco non era in condizione di mettere rapidamente a punto tutte le misure necessarie per una uscita regolata e non distruttiva dalla moneta unica. L'uscita dall'euro era quindi, dal fronte greco, una minaccia spuntata. La Grexit era quindi interamente nelle mani altrui, in particolare quelle tedesche.
Ora la parola spetta ai parlamenti nazionali. Sarà decisivo il voto del Parlamento greco. Come per tutti gli accordi questo presenta punti critici, ad esempio sulle pensioni, sul mercato del lavoro, sulle privatizzazioni. E' quindi fisiologico che una parte di Syriza non sia d'accordo. Vedremo se questo la spingerà a votare contro in Parlamento, lasciando Tsipras senza maggioranza. In questo caso il giovane leader greco o forma un governo di unità nazionale o chiede di andare alle elezioni anticipate, come in fondo gli suggerisce Paul Krugman.
L'accordo in sé è un compromesso che sconta un clima pesante e l'isolamento della Grecia. Tuttavia Tsipras può giustamente dire di avere trattato per tutto il popolo greco. Ha rinunciato a qualche misura sociale che gli stava a cuore per salvaguardare le possibilità di sviluppo futuro per il paese. Infatti ottiene in cambio un finanziamento triennale tra 82 e 86 mld di euro che potranno permettere investimenti all'interno tali da compensare largamente i fattori recessivi derivanti dagli elementi negativi del compromesso. Nello stesso tempo ha salvato le leggi sociali già attuate; ha mantenuto il fondo di garanzia in patria; ha soprattutto posto il tema di una ristrutturazione del debito ellenico.
L'accordo quindi implicitamente riconosce la insostenibilità del debito greco e delle sue attuali forme di pagamento. E' un punto importante, quello per il quale sia Tsipras che Varoufakis si erano battuti fin dall'inizio.
L'accordo quindi implicitamente riconosce la insostenibilità del debito greco e delle sue attuali forme di pagamento. E' un punto importante, quello per il quale sia Tsipras che Varoufakis si erano battuti fin dall'inizio.
Questa vicenda ci dimostra che l'attuale governance dell'Europa è del tutto inadatta a condurre avanti il processo di unità europea. L'idea di un'Europa tedesca - neanche più franco-tedesca come agli inizi - confligge con il principio di un'Europa federale, solidale e fattore di pace nel mondo, che erano gli ideali del manifesto di Ventotene di più di settanta anni fa. Come è noto i trattati anche nella forma attuale prevedono che i paesi in surplus dal punto di vista del rapporto esportazioni - importazioni li riducano per non creare dislivelli stabili ed eccessivi fra i vari paesi europei. La Germania è almeno da sei anni che viola tali limiti, senza che nessuno obietti alcunché.
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