L’esito disastroso del cosiddetto accordo sulla Grecia è un decisivo
punto di svolta. L’eroica resistenza di Alexis Tsipras ha messo a nudo
il reale stato dell’Unione europea, ormai sul punto dell’implosione e
divenuta col tempo un’oligarchia tecnocratica a guida tedesca e incapace
di praticare solidarietà fra stati e inclusione dei popoli.
Il referendum del 5 luglio e l’umiliazione inflitta alla Grecia sette
giorni dopo sono eventi che lasciano il segno. Hanno fatto capire che
il deficit democratico, nell’Unione, è strutturale e che l’ideologia
neoliberale è vissuta ormai con afflato dogmatico e quindi non
modificabile.
Alexis Tsipras ha subito una dura sconfitta per due principali
ragioni: l’isolamento politico-geografico e la mancanza di una strategia
alternativa al memorandum. Tsipras ha lottato a Bruxelles da solo
contro 18 stati allineati sui diktat tedeschi e si è trovato nella
condizione d’essere un pericoloso esempio da schiacciare, capo di un
governo eretico, di sinistra, eletto (e confermato il 5 luglio)
sull’onda di un programma di rigetto delle politiche di austerità
imposte dalla Troika. L’umiliazione inflitta a Tsipras è un monito agli
elettori di altri paesi: l’Eurogruppo non tollera divergenze.
Quanto al secondo punto, l’ex ministro Yanis Varoufakis ha detto in
questi giorni che un Piano B c’era ma che Tsipras lo ha scartato,
consegnandosi a una trattativa impossibile. Pare che il primo ministro
abbia reputato inattuabile quel piano, che includeva l’introduzione di
una moneta virtuale ma che non era stato preparato a dovere e quindi
avrebbe messo il paese di fronte a gigantesche difficoltà, con il
default, la chiusura delle banche, l’isolamento internazionale, il
rischio di non riuscire a garantire i necessari approvvigionamenti di
energia e cibo (la Grecia non è un paese autosufficiente). Il Piano B
andava preparato prima e meglio: questo si può rimproverare a Syriza,
più che il no di Tsipras all’idea di Varoufakis.
Ora che un nuovo memorandum è stato sottoscritto comincia una nuova
fase: per la Grecia, per il resto d’Europa come per Syriza e le sinistre
del continente. Tsipras sembra deciso a rimanere al suo posto, per non
cedere del tutto al “golpe”, ma il suo progetto – cioè uscire
dall’austerity restando nell’euro – si è rivelato inattuabile. E’
un’evidenza che vale per Syriza e per le sinistre europee. In questa
fase storica, come dice Schauble, c’è una perfetta coincidenza fra la
moneta unica e le politiche di austerity e occorre prenderne atto.
L’unica strategia possibile, in simile contesto, passa attraverso la
costruzione di un Piano B che tenga conto dei limiti che hanno portato
Tsipras alla sconfitta. L’uscita dalla camicia di forza dell’euro
dev’essere prevista e preparata, senza cadere nella tentazione
dell’isolamento e senza imitare la vulgata anti euro delle destre
nazionalista. Occorre pensare, piuttosto, a un’uscita concordata e
possibilmente cooperativa dalla moneta, attraverso un’unione di quei
paesi che l’avvento dell’euro ha messo ai margini dell’economia europea.
Va quindi costruito un fronte mediterraneo – Grecia, Spagna, Italia –
che guardi a paesi come il Portogallo e in prospettiva la stessa
Francia, in modo che il baricentro dell’Europa si sposti verso Sud.
L’Unione europea sta morendo nel Mediterraneo – ad Atene e a Ventimiglia
– e dal Mediterraneo potrà rinascere . E’ una costruzione che dovrebbe
cominciare subito, attraverso un aggiornamento delle strategie di quei
movimenti e di quelle forze politiche che si sono riconosciute in questi
mesi nella leadership di Tsipras. Oggi la natura oligarchica e
a-democratica dell’euro e delle strutture europee di governo è sotto gli
occhi di tutti e fra i cittadini d’Europa è in corso un radicale e
vasto cambiamento di opinione, che andrebbe colto e messo a frutto.
L’uscita dall’euro non può essere più un tabù ma comporta il varo di
una moneta complementare, che inizialmente può essere virtuale ma che
dovrà poi diventare cartacea; la ricerca di alleanze internazionali che
assicurino gli approvvigionamenti; un enorme sforzo di informazione per
garantire la coesione interna; un’azione forte di reindirizzamento
dell’economia verso i consumi interni, a cominciare da quelli di base,
ossia il cibo e l’energia.
Il governo Tsipras, se resisterà, dovrà affrontare enormi difficoltà
per mantenere in vita l’economia greca, pur sapendo che il nuovo
memorandum non dà un futuro al paese. Nel frattempo dovrà aggiornare la
sua strategia e scommettere sulla crescita in altri paesi di una “nuova
visione” comune. L’europeismo democratico è stato sfrattato dall’Unione e
potrà tornarci solo se saprà reiventarsi.
E’ un’impresa titanica, ma fa intravedere un futuro.
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