Circondato dai suoi pipistrelli, è tornato Mario Monti.
Oggi era a La7, dove pontificava di Grecia. Il 26 settembre del 2011, ospite sulla stessa rete, aveva definito la Grecia «la manifestazione più concreta del successo dell'euro».
Stamattina invece si è vantato che grazie a lui in Italia non è mai
arrivata la Troika. Come menare uno e poi dirgli: oh, ti ho salvato dai
picchiatori.
Ma oltre ad andare in tivù, l'ex re del loden in questi giorni va
molto sui giornali, ai quali concede lunghe e pensose interviste.
Fatemi però difendere, per una volta, la categoria: con questa crisi
greca che non finisce mai, nelle redazioni si sta un po' raschiando il
barile con le interviste. Gli economisti sono finiti da tempo, così come
i banchieri, i contabili e le matricole dei corsi triennali on line di
gestione aziendale. Ecco perché dopo un po' si è arrivati fino a Monti.
Se non si accordano domenica, ci resta solo Sara Tommasi.
Così l'altro giorno l'ex premier si è concesso ad Aldo Cazzullo del
Corriere. Oggi a Claudio Cerasa, direttore del Foglio: quotidiano che ha
sulla Grecia la stessa linea del Bild-Zeitung, ma la esprime in modo
meno pacato.
Al Foglio, Monti ha spiegato che «il referendum greco è stato una mossa cinica e tattica».
Questa avversione alla sciocca consuetudine di consultare il popolo è
umanamente comprensibile. Anch'io, se mi facessero senatore e premier
senza passare dalle urne, considererei le medesime tutt'altro che
indispensabili. Una scarsa considerazione che si trasformerebbe in vera e
propria uggia se poi le urne mi bastonassero l'unica volta che mi
presento.
Ma non mettiamola troppo sul personale, d'accordo. L'avversione di
Monti verso il voto è invece politica. Infatti il professore spiega poco
dopo, nell'intervista, che lo stesso referendum è adesso «un precedente
che potrà essere cavalcato dalle forze populiste emergenti in Europa».
In altre parole, per contrastare gli avversari politici secondo Monti
non è che bisogna fare e/o argomentare: basta non consultare in merito i cittadini.
Poche righe dopo, temendo forse di avere di fronte un intervistatore
distratto dal caldo, Monti specifica che il suo timore si riferisce a
quanto potrà accadere il prossimo novembre, quando si voterà in Spagna e
«quelle elezioni potrebbero riservare sorprese problematiche per
l'Europa».
Podemos non lo nomina, forse per esorcizzarlo, ma a quello pensava.
Dubito tuttavia che Monti ne abbia mai studiato le proposte in tema di
Europa. Non che nel caso si convincerebbe, ma almeno saprebbe di cosa
sta parlando.
Comunque Monti ha ragione: se a novembre Podemos andasse al governo,
per i suoi amici a Bruxelles sarebbero cazzi. La Spagna non è un paese
di 10 milioni di anime, ma la quarta economia dell'eurozona. Schäuble e
Katainen farebbero un po' meno i bulli, insomma. Dev'essere uno scenario
poco gradevole, per Monti.
Alla penultima colonna, stremato, Cerasa porta Monti a parlare di
cose italiane. E l'ex premier nostrano risponde «incoraggiando» Renzi.
Il quale, «a differenza di Tsipras, ha una lucidità non comune».
Non so perché, ma ho l'impressione che domani l'elogio non verrà
ripreso né dall'Unità né dall'ufficio stampa di Palazzo Chigi. Che poi
ormai sono la stessa cosa, è vero, ma questo non c'entra.
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