mercoledì 15 luglio 2015

La resa o l'attesa? Una sconfitta che apre al futuro



La questione si pone con forza dopo la sconfitta europea di Tsipras: lotta per far uscire il neoliberismo dall'Europa, con solidarietà e cooperazione tra paesi diversi.

di Paolo Bartolini.

Come essere in vena di paradossi in un momento così tragico per la Grecia e per l'Europa tutta? Alexis Tsipras ha dovuto capitolare, i creditori europei hanno imposto la loro legge (quella del più forte e del più miope) e oggi in Grecia Syriza vive una drammatica frattura.
In questi giorni, dopo l'entusiasmo del referendum vinto dal NO, la sconfitta di Tsipras sembra aver autorizzato molti a voltare faccia al premier greco, a dipingerlo come un vigliacco e un opportunista.
I meccanismi proiettivi sono così, purtroppo, oscillano tra il bianco e il nero, tra il tutto e il niente, senza cogliere i colori intermedi di uno spettro decisamente complesso.
Ebbene, non abbiamo difficoltà ad ammetterlo: il piano B al quale pensava Yanis Varoufakis forse avrebbe onorato fino in fondo il voto democratico del 5 luglio. Eppure, chi volesse conservare insieme alla calma un po' di onestà intellettuale ammetterebbe che Tsipras non si è fatto mai portatore della possibilità di una "grexit". Qui i tragitti della coerenza arrivano ad un punto di divaricazione che infrange le pretese lineari causa-effetto per entrare nel campo delle scelte vere (quelle che puoi anche sbagliare, perché dipendono dalla libertà e da fattori multipli). In altre parole, è stato più coerente Tsipras con i suoi elettori o Varoufakis? A ben vedere, se consideriamo le premesse, entrambi hanno le loro ragioni per giustificare due linee di azione tanto diverse.
E nessuno può sapere, ad oggi, se il piano Varoufakis avrebbe potuto evitare alla Grecia umiliazioni altrettanto amare quanto quelle a cui stiamo assistendo.
Sospeso il giudizio, quindi, torniamo al paradosso espresso nel nostro titolo. Quella di Tsipras è certamente una sconfitta, non prendiamoci in giro. Ma una sconfitta che non cancella i meriti precedenti del suo Governo. La questione dei debiti sovrani è finalmente approdata sui tavoli della politica, e alla razionalità disincarnata del calcolo economico si sono sostituiti i più densi e concreti rapporti di forza. È a questo livello che si è giocata la sconfitta di Tsipras, che da solo contro tutti non ha potuto contare su alleanze europee mirate alla rinegoziazione del debito e alla messa in discussione delle misure di austerità.
Noi continuiamo a credere che l'obiettivo comune, per chi abbia capito che i problemi del mondo si giocano sul piano transnazionale e su dimensioni geopolitiche di larga scala, sia quello di creare un fronte di lotta finalizzato a far uscire il neoliberismo dall'Europa, creando le condizioni per ristabilire rapporti di solidarietà e cooperazione tra paesi diversi.
L'attesa di Podemos, e di altre forze 'eurocritiche' che speriamo democratiche nei fatti e non solo nei proclami, si fa adesso più forte proprio perché la battaglia di Tsipras è stata perduta.
Con rapporti di forza diversi (immaginiamo forze diverse dal PPE e dal PSE che vincano in più Stati) lo spazio giuridico oggi usurpato dall'Unione Europea non sarebbe affatto "irriformabile", nonostante questo messaggio provenga come un mantra dai fedeli della Troika e dalla galassia dei no-euro sovranisti (tale consonanza di vedute dovrebbe far riflettere).
Aggiungiamo inoltre che l'asso nella manica di una possibile uscita dall'euro, il cosiddetto 'piano B', avrebbe allora un altro peso nella negoziazione tra Stati. Ecco perché, a nostro avviso, l'eredità di Syriza va raccolta e trasformata, così come va onorata la stagione di dignità riaperta dallo stesso Tsipras.

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