di Gabriele Pastrello
Ancora una volta era sembrato che
l’accordo tra Ue e Grecia si potesse fare, raggiungendo così
l’obbiettivo di chiudere la battaglia iniziata con la vittoria di
Syriza nel gennaio 2015, nonostante l’obbiettivo vero delle autorità
europee sia sempre stato l’estromissione di Syriza dal governo. In
questi mesi, infatti, quasi mai la posta in gioco dello scontro ha
coinciso con le misure discusse. Bensì, da parte europea, ottenere
l’adesione alla filosofia del Memorandum. Ma questa
sottomissione al Memorandum che l’Eurogruppo voleva non c’è mai
stata.
Le «Istituzioni», via via sempre più irritate dalla tattica
negoziale di Tsipras, prima attaccarono violentemente
Varoufakis per espellerlo dalla trattativa, e poi lanciarono
l’ultimatum al governo greco dopo la riunione «segreta» dei quattro
(Commissione, Bce, Fmi e Eurogruppo).
A questa richiesta fu risposto no, con durezza, e le trattative
ricominciarono. Ma nonostante le differenze nelle misure da
adottare si riducessero, appariva chiara la volontà dell’Eurogruppo
di accettare solo una resa completa della Grecia.
E crebbero le manovre europee in Grecia per arrivare a una
sostituzione del governo di Syriza con uno di unità nazionale. A
questo Tsipras rispose col referendum, considerato dagli europei
una mossa talmente ostile da dichiarare, sia prima che subito dopo,
che il referendum rendeva impossibile la riapertura delle
trattative.
Tutti sappiamo che la trattativa si è riaperta solo per l’esito
quasi plebiscitario del referendum, e per l’intervento pesante
degli Stati Uniti. Dopo il referendum e l’evidenza dei calcoli
politici sbagliati, gli Usa hanno ricordato bruscamente agli
europei che i vincoli geostrategici non potevano essere un
optional subordinato agli obbiettivi politici intra-europei.
Rispetto a questo punto va valutata accuratamente la posta in
gioco in questo momento. Che non può che essere che la sopravvivenza
del governo di Syriza come obbiettivo assolutamente prioritario.
Evidentemente nel lato europeo sta prendendo di nuovo piede la
posizione esattamente opposta: che sia assolutamente
prioritario invece liberarsi di questo governo; e, in subordine,
se questo non fosse possibile, liberarsi della Grecia nell’euro,
precipitandola in un caos che comunque sia di monito a chiunque
volesse seguire quella via.
Solo così si spiega, infatti, la riapertura violenta dei giochi
che sembravano tacitati dall’intervento americano. Evidentemente
pesano due motivazioni entrambe vitali per la dirigenza tedesca. La
prima che questa rottura «politica» della disciplina dell’austerità
era comunque inaccettabile per il contagio che avrebbe potuto
provocare, indipendentemente dal contenuto delle misure
contenute negli accordi. Ma c’è un secondo lato, fin qui in ombra, che
sta venendo in luce. Ed è la stessa stabilità politica tedesca.
È evidente, infatti, che Schäuble sta giocando pesantemente
sulla assoluta ostilità dell’opinione pubblica tedesca nei
confronti di un qualsiasi accordo con la Grecia, che smuove strati
profondi di disprezzo verso il Sud d’Europa. L’incertezza della Merkel
nel dare corso alle richieste americane di tener conto degli aspetti
geostrategici che l’esito negativo dell’accordo implicherebbe,
pare quindi dovuto al timore che questa opinione pubblica, da lei
stessa aizzata fino al parossismo, possa reagire violentemente,
destabilizzando tutto il quadro politico tedesco.
Non sarebbe più allora il pericolo di formazioni populiste a
preoccuparla, ma che forse la stessa Csu bavarese di Schäuble possa
scendere sul piede di guerra.
Equilibri tedeschi contro equilibri europei e geostrategici
mondiali. Questa è la partita tremenda che si sta giocando. Syriza
deve morire, è l’urlo della destra tedesca, e europea.
Che chiarisce anche ai più tardi qual è la posta in gioco. Non
certo le percentuali dell’accordo. Ma il potere in Europa. Che, per la
prima volta, da Maastricht in poi, è stato messo in discussione
dalla formazione politica di un piccolo paese di grande coraggio. Chapeau.
Il manifesto,
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