Il presidente del Consiglio ieri ha
ammesso che il Governo ha contribuito ad aggravare la situazione
economica. Con queste parole: «Si dice che con le nostre decisioni
abbiamo contribuito ad aggravare la congiuntura. Certo, solo uno stolto
può pensare che sia possibile incidere in elementi strutturali che
pesano da decenni senza provocare nel breve periodo un rallentamento
dovuto al calo della domanda. Solo in questo modo si può avere la
speranza di avere più in là un risanamento» per una crescita duratura.
Non è una gaffe: è la vulgata
neoliberista dell’austerità espansiva. Soffriamo oggi un po’ più del
dovuto per conquistarci domani un radioso percorso di crescita.
A pensarci bene, è un po’ uno schema cristiano: penitenza oggi, salvezza domani.
Suona bene. Anche da un punto di vista
morale: perbacco, le cose bisogna guadagnarsele col sudore della
fronte! Peccato che in questo caso sia completamente sbagliato. E chi ce
lo dice sono proprio i mitici “mercati”.
George Magnus, senior economic adviser
del colosso finanziario svizzero UBS: in Europa «la focalizzazione
esclusiva su misure di austerità a discapito della crescita sostenibile…
sta mettendo a repentaglio la sua stessa possibilità di sopravvivenza».
E «se non prestiamo attenzione alla crescita nel breve termine», allora
sì che saremo tutti travolti dalla “trappola del debito”. Per il
semplice motivo che nel rapporto debito/pil ogni intervento sul
numeratore (il debito) sarà vanificato dal calo del denominatore (il
pil).
E Mohamed El-Erian, CEO di Pimco, il 30
agosto scorso ha affermato che occorre «una attenta combinazione di
riforme fiscali di medio termine con stimoli immediati» all’economia.
Patrick Artus, ufficio studi di Natixis,
è ancora più duro: «la richiesta di una riduzione rapida dei deficit di
bilancio preoccupa gli investitori a causa dei suoi effetti sulla
crescita e perché non garantisce la solvibilità degli Stati». Non solo:
«in realtà, gli investitori non stanno chiedendo una drastica riduzione
dei deficit pubblici, ma un piano credibile di medio-termine per ridurre
il debito, che non distrugga la crescita nel breve termine e che sia
combinato con politiche rivolte a stimolare la crescita nel lungo
termine».
Ma cosa succede invece se si spinge l’acceleratore sull’austerity? Quello che sta succedendo in Italia e in altri paesi europei:
- calo dei redditi, della domanda e dell’attività produttiva;
- accentuazione della dinamica divergente tra le economie dell’eurozona;
- peggioramento del rapporto debito/pil;
- inefficacia delle stesse politiche di austerity sul piano fiscale: perché il calo delle entrate neutralizza (o peggio) i risparmi fiscali ottenuti a suon di tagli.
Niente di nuovo: Richard Koo di Nomura
ha dimostrato che le due strette fiscali tentate in Giappone nel 1997 e
nel 2001 hanno indebolito l’economia, ridotto le entrate fiscali e
aumentato il deficit di qualcosa come 103 trilioni di yen.
Ma veniamo all’Italia “virtuosa” di Monti. I dati Eurostat parlano chiaro:
• il Pil italiano nell’agosto 2011 era
di 0,3 punti sotto la media europea, un anno dopo (dopo 5 manovre
correttive di bilancio) era invece distante ben 2,1 punti rispetto agli
altri paesi.
• Il debito pubblico era al 120 per cento del Pil, un anno dopo al 123% (e a fine 2013 sarà 125,8% del Pil)
• L’inflazione era al 2,1 ed è salita al 3,6%.
• La produzione industriale ha continuato a scendere, e ora è ai livelli del 1987 (!)
• La disoccupazione ha toccato il record del 10,8 % (un anno fa era l’8,1%)
Oggi Monti ha affermato che lo Statuto
dei lavoratori ha «determinato un’insufficiente creazione di posti di
lavoro», diminuendo di fatto la disponibilità di posti di
lavoro. Possiamo tranquillizzare il prof. Monti: da questo punto di
vista il suo governo è decisamente imbattibile.
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