mercoledì 5 settembre 2012

Le domande ci bruciano il futuro. Che arriva sempre troppo presto di Marco Sferini, www.lanternerosse.it


Come si ricostruisce una sinistra degna di questo nome? Come si rimette in piedi un rapporto di fiducia tra la gente che esprime un malcontento generale (e che si canalizza nel non-voto, nel voto di protesta a Grillo oggi e alla Lega Nord ieri) e che è, molto spesso, quella più bisognosa in termini di diritti sociali, e la parte politica che la dovrebbe realmente rappresentare?
Sono domande su cui abbiamo provato già molte volte, in tante e in tanti, a rispondere, a discutere, a scrivere e riscrivere. Non ne siamo mai veramente venuti a capo, perché ognuno di noi propone una ricetta che non va bene all’altro: Rifondazione propone il polo della sinistra di alternativa e Sel risponde “picche” e marcia verso l’alleanza col Partito Democratico. I Verdi procedono con la loro costituente ecologista e l’Italia dei Valori tracheggia, stà lì in mezzo, tra quale strale di Di Pietro contro il Quirinale e contro il PD e qualche altro magari riservato anche a sinistra quando parla, tanto per fare un esempio, di carcere, di libertà, di giustizia(lismo).
Manca un percorso di sintesi non solo di grandi programmi, ma di semplici idee da concretizzare anche domani: manca un programmino minimo, qualcosa su cui poter mettere in fila opinioni simili che possano convergere su una linea comune.
E tutto questo manca perché siamo affannati, ciascuno e tutti, a sbirciare con estrema curiosità e con altrettanta preoccupazione allo spioncino della porta dove si riuniscono le forze maggiori del Parlamento per decidere con quali regole del gioco si dovrà andare al voto questa volta.
Mi viene la nausea, lo dico per davvero e non lo scrivo per metafora, ogni volta che si parla di legge elettorale e mi viene la nausea ancora più profonda, un senso quasi meccanico di disgusto quando vedo a cosa si è ridotta la ex parte progressista della politica italiana: a giochetti squallidi con cui si allontano sempre di più i cittadini oltre che dai partiti prima di tutto dalla gestione della “res publica”. La cosa pubblica non conta niente e viene subita dai cittadini invece che vissuta.
La mortificazione della sovranità popolare è tutta in questa teatralità di bizantinismi di palazzo, seminata in mezzo a parole come “mattarellum”, “porcellum”, “proporzionale”, “maggioritario” che non significano niente perché servono solo per posizionare delle pedine in uno scacchiere dove ognuno dei soggetti presenti in Parlamento oggi spera di poter avere una minima vittoria al tavolo della spartizione bellica in gioco. Ognuno cerca di portare a casa qualcosa. E questo “ognuno”, questa singolarità ripetuta e abusata è la decretazione della fine del collettivo, del senso comune delle cose, della condivisione gestita mediante una delega a suffragio universale della vita dell’intero Paese.
E’ naturale che chi si propone di ricostruire la sinistra in questo squallido panorama, è visto come un perdente, un puro, un sognatore, un candido illuso che non tiene conto dei “giochi di potere” e che si affida ancora una volta alla buona fede di tutte e tutti per mettere in pratica una Costituzione che, lo ripeto anche in questa sede telematica, è riuscita a sopravvivere fin troppo in una società che rispecchia fin troppo bene il quadro politico di ieri e oggi. Intendendo con l’ “ieri” il passato davvero prossimo e con la quotidianità anche lo slancio verso lo striminzito orizzonte di futuro che ci attende.
Credo che non sia più tempo per ragionare su come rifare la sinistra, ma sia semmai il tempo di comportarsi socialmente e politicamente così: da nuovi progressisti, da comunisti. Checché ne dica il PD, partito di centrosinistra con mille contraddittorie anime interne, la crisi economica non è riformabile o comprimibile con provvedimenti che facciano vivacchiare il ceto medio (per il quale, proprio in questi giorni, si scopre che il livello pensionistico sarà praticamente da fame ed uguale a quello dei lavoratori delle grandi imprese che puntano tutto sulla produzione delocalizzata, defiscalizzata e decontrattualizzata sul piano nazionale che vorrebbero poter cancellare in questo autunno che arriva e che sarà tremendamente caldo) e con tutele di prammatica per i lavoratori e garanzie sempre più esemplari per l’imprenditoria, per il padronato.
La crisi economica è crisi di sistema e non può essere separata dal capitalismo che l’ha prodotta. Già ci trovavamo in una condizione di introduzione di politiche confindustriali fondate sul “basso salario” come paradigma del sindacato dei padroni. Senza una unitaria opposizione dei sindacati dei lavoratori, questa crisi dei bassi salari (come bene ci ha spiegato tante volte il professor Emiliano Brancaccio) ha allargato le maglie affinché la crisi vera e propria venisse assorbita nel nostro Paese come logica conseguenza dei fatti.
La globalizzazione, dunque, ci avrebbe costretto a subire politiche monetarie continentali così rigorose per adeguarci ai parametri stabiliti dalla governance europea e dalla Banca Centrale oggi diretta da Mario Draghi.
In realtà la BCE non è altro che la succursale del Fondo Monetario Internazionale in Europa e, a sua volta, detta la linea di politica economica ad ogni governo del Vecchio Continente. L’indipendenza nazionale è quindi crollata sotto il peso di banche, banchieri e speculatori. I paesi “poveri” e in rischio di bancarotta non riceveranno più prestiti; ammesso che non si impegnino a politiche di rigore. Ed ecco il “caso greco”.
Syriza ha dato una risposta a questa crisi e ha coalizzato soggetti sia di sinistra comunista che non, e ha dichiarato che tutto questo era inaccettabile per la gente che vive del suo lavoro e che non ha rendite finanziarie e profitti da impresa. Syriza, ci dicono molte e molti, è quindi un modello per tutti noi, perché ha raggiunto percentuali così alte nelle votazioni da rappresentare davvero una alternativa sociale per la Grecia.
Così si è ampliato il consenso in Francia per il Front de Gauche di Melenchon, mentre in Germania la Linke sta attraversando un periodo di crisi di consensi. Il populismo sbarca anche oltralpe e il “Piraten Partei” fa incetta di voti soprattutto tra le giovani generazioni.
Siamo stati troppo a lungo a contemplare questi successi e questi esperimenti. Anche se è vero che dovevamo studiare i movimenti sociali, la nuova proposta politica anche a livello continentale.
I tempi ora stringono perché ci avviciniamo al voto del 2013 e ancora non sappiamo quale sarà la legge elettorale con cui ci troveremo a fare i conti e ancora non sappiamo i confini dei perimetri delle coalizioni.
Sappiamo che, al momento, siamo molto soli, molto poco considerati, censurati dalle forze politiche che si sentono dominanti, da quelle emergenti e da quelle che cercano di sopravvivere ai trambusti del terremoto che è in atto.
Siamo quindi davanti a noi stessi, ad uno specchio che ci parla e ci dice che non c’è più davvero tempo da perdere. Eppure, lo si deve dire, a me sembra che non abbiamo mai mancato di dire la nostra, di proporre, di fare appelli all’unità, ad una unità costruttiva, federativa, che esalti le singole specificità invece di censurarle in nome di una nuova formazione, di un nuovo partito.
In estrema sintesi dobbiamo dare forza a Rifondazione Comunista: è l’ultima speranza a sinistra, la possibilità che esiste per aggregare in una coalizione le altre forze che oggi sono contrarie alle politiche di Mario Monti e della BCE. Non è questa una affermazione spocchiosa, ma riconoscerete tutte e tutti che solo Rifondazione Comunista è ancora una forza politica in grado di essere un punto aggregante, un centro non di attrazione e nemmeno di direzione, ma di condivisione mutualistica delle posizioni sociali e politiche che servono per ricostruire una sinistra che, una volta per tutte, metta nero su bianco e incida nei cranii della gente che, come bene hanno scritto i compagni e le compagne dell’Irpinia in un manifesto che andrebbe stampato e diffuso in tutta Italia: la destra mai! Il Centrosinistra ha fallito, e resta solo una risposta a questa politica giocata nello squallore dei conticini di palazzo e a questa economia dissanguante e depauperante all’ennesima potenza. Restano quelle persone di sinistra, quelle comuniste e quei comunisti che non un capriccio elettoralistico, ma la necessità delle cose deve rimettere in campo.

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