L’amico e compagno Jacopo Venier, da Libera tv,
mi rivolge la richiesta di chiarire cosa intendo fare dopo il No Monti
Day, anche sul piano elettorale. Rivolge la stessa domanda a Niki
Vendola che si candida alle primarie del centro sinistra.
In realtà oggi sembra ci siano molte posizioni in campo, per cui
sento il dovere prima di tutto di ridurre le tante differenze a quella
che per me è la sostanza.
Io penso che scelte come quella di Vendola siano alternative alla
piazza e alle istanze del No Monti Day. Quella manifestazione ha chiesto
prima di tutto una rottura con le politiche economiche e sociali di
Monti. Che a loro volta sono la continuità e la radicalizzazione delle
politiche liberiste che governano l’Italia e l’Europa da trenta anni.
Monti è il vero Gattopardo della politica italiana. Egli rappresenta
la continuità e l’autodifesa di una classe dirigente e di un potere
economico che ci hanno precipitato in questa crisi, ma viene presentato
come il nuovo: cambiare tutto per non cambiare niente.
Il Pd è l’architrave di questo gattopardismo, che non a caso si è
alternato per venti anni con il governo della destra berlusconiana e
leghista senza lasciare traccia. Il ventennio passato è stato definito
come berlusconiano, ma il centro sinistra e i governi tecnici han
governato per più anni del padrone di Mediaset.
Né si vedono novità o rotture con il passato. Il documento di intenti
che sottoscrivono tutti i candidati alle primarie del centro sinistra
dice chiaramente che tutti gli impegni europei assunti da Monti verranno
mantenuti. Col sì al fiscal compact e all’obbligo costituzionale di
pareggio di bilancio e con gli allegati piani di stabilità e di
privatizzazione non c’è una sola delle controriforme sociali di Monti
che potrà essere messa in discussione. Andare oltre Monti? Coniugare
crescita e austerità, rigore ed equità? Formulette democristiane che in
concreto non vogliono dire nulla.
Il centro sinistra, chiunque lo diriga, andrà avanti sulla via
tracciata da Monti e non a caso si pensa di farne il successore di
Napolitano.
Quella di Vendola e di chiunque intenda essere la sinistra del centro
sinistra, non ho ancora capito cosa pensano al riguardo De Magistris e
Landini, mi sembra una politica morta sul nascere, perché la crisi ha
messo in mora tutte le vecchie politiche riformiste e tutte le sempre
fallite politiche del meno peggio. Un riformista ben più deciso, se non
altro per storia nazionale, il presidente francese Hollande, è in caduta
verticale di consensi. Nonostante abbia mantenuto la pensione a 60 anni
e l’orario settimanale a 35, i morsi della crisi distruggono il suo
consenso perché anche egli è costretto ad applicare le politiche
liberiste di austerità. Con le quali non c’è accomodamento possibile, o
si rompe o si obbedisce.
L’Italia è messa male anche perché l’avanzare della crisi accentua le
diversità territoriali. Stiamo tutti sempre peggio, ma intere regioni
del Mezzogiorno stanno già come la Grecia. E il governo Monti pensa di
affrontare la disoccupazione aumentando gli orari e la flessibilità di
chi già lavora, in piena sintonia con Marchionne di cui critica solo gli
eccessi controproducenti, ma non la sostanza.
In sintesi il centrosinistra da Casini a Vendola non può che essere
la continuità con Monti. La sua unica ragione di consenso sta nel
costituire una diversità rispetto alla destra oggi in disfacimento, ma
tutta assieme questa alternanza costituisce poco più di un terzo del
corpo elettorale.
Il movimento fondato da Grillo esprime una rottura con la classe
politica che ha governato il paese in questi venti anni. Ma più passa il
tempo più è evidente la difficoltà del movimento ad assumere posizioni
chiare che non siano quelle contro la casta.
Ho seguito sulla rete il dibattito che si è aperto tra i 5 stelle di
Roma sul No Monti Day. C’erano tre posizioni, chi voleva venire perché
condivideva la piattaforma della manifestazione, chi pur condividendola
sosteneva che il movimento non si deve mischiare con altri e chi invece
diceva che l’avversario è la casta, non Monti che ha salvato il paese.
Penso che il movimento 5 stelle non voglia scegliere tra queste diverse
posizioni perché assieme gli portano oggi il massimo dei voti. Ma così
si condanna in breve a una crisi di efficacia politica di cui già si
vedono paure e segnali.
In questo quadro la piazza del 27 ottobre ha rappresentato una forza
diversa, che non ha paura della chiarezza. Il punto di vista comune è
anticapitalista, non solo per il rifiuto dei costi sociali della crisi,
ma perché questo è accompagnato dalla richiesta di rottura con Monti e i
patti europei e da quella di politiche alternative a quelle di mercato
oggi dominanti. Il No Monti Day riavvicina l’Italia all’Europa in lotta,
ove queste posizioni sono in veloce crescita. La piattaforma non è
ancora definita con la dovuta precisione, ma i suoi indirizzi di fondo
sono chiari e possono essere sviluppati solo in uno spazio politico
autonomo.
Quello che vogliamo è già accaduto nell’America Latina, ove i popoli
hanno costruito una nuova classe dirigente, che ha rotto con la
sudditanza agli Stati Uniti e alle politiche del fondo monetario
internazionale. Quelle politiche che via Bce e governi, in primis quello
tedesco, vengono imposte oggi ai popoli europei.
La piazza del 27 ottobre, a differenza di altre forze, non può quindi
illudersi che la svolta sia dietro l’angolo. C’è una rottura profonda
da compiere ed una classe dirigente liberista da mandare a casa. Ma
questa prospettiva ha oggi molta più concretezza di quello che può
apparire. Come dice Monti l’Italia ha bisogno di soluzioni radicali, non
di moderatismo. E se si vuole difendere e sviluppare il meglio
dell’Europa nata dalla sconfitta del fascismo, la democrazia avanzata e
lo stato sociale, la sola soluzione è la radicale rottura con i poteri e
i meccanismi della globalizzazione capitalistica.
Questo impone a noi qui ed ora di organizzarci in una alleanza che
non serva solo a portare le persone in corteo, ma che produca programmi e
continuità d’azione.
Sia sul piano sociale e sindacale, ove tante lotte e movimenti si
vanno organizzando e il collateralismo di Cgil Cisl Uil al centro
sinistra e quindi a Monti mostra la sua crescente impotenza e ripropone
la necessità di un rilancio unitario di un sindacalismo conflittuale e
di classe.
Sia sul piano politico, ove il No Monti Day ha mostrato che esiste
una forza di massa che non si riconosce né nel centro sinistra, né nei 5
stelle.
Tutti dovranno scegliere nei prossimi tempi con chi stare, non ci
sono oggi in Italia altre forze rispetto a queste tre oggi realmente in
campo.
Per consolidare l’alleanza del 27 ottobre ci sono però due condizioni
di fondo. La prima è che si definiscano e diffondano a breve i punti di
una piattaforma sociale ed economica alternativa al riformismo montiano
in tutte le sue versioni. La seconda è che le forze e le persone che
hanno costruito il No Monti Day siano consapevoli che contano davvero
solo stando assieme.
Sono condizioni semplici, ma niente affatto scontate se si ha
presente la storia di questi anni. Sarà la risposta a queste due
domande, che deve essere collettiva e non di un persona sola, a chiarire
se questa forza riuscirà ad organizzarsi prima delle, ma soprattutto
ben oltre le elezioni.
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