lunedì 5 gennaio 2015

Immigrati: costi e numeri (quelli veri) di Girolamo De Michele, Carmillaonline.com

scusate seIgnora pure i numeri, ma non sperare che loro si scordino di te
(Eric-Emmanuel Schmitt, Il visitatore)
Gli immigrati sono un lusso?
Lo so, sembra squallido misurare col bilancino del pizzicagnolo cose come la vita, la dignità, la fratellanza: ma questo è il mondo in cui viviamo, tanto vale farsene una ragione. Partiamo dai costi, dunque.
Secondo il Dossier Statistico Immigrazione 2014, la più autorevole fonte di dati sul fenomeno delle migrazioni, il costo complessivo della presenza dei migranti in Italia è, al 2012, di 12,6mld € (+0.7 rispetto all’anno precedente), così ripartiti:
Sanità
3,7
Scuola
3,5
Servizi sociali
0,6
Casa
0,4
Giustizia
1,8
Ministero degli Interni
1,0
Trasferimenti economici
1,6
Totale uscite 2012
12,6
Totale uscite 2011
11,9
Si dà però il caso che gli immigrati, come tutti gli altri esseri umani, oltre a vivere e consumare lavorino, producano, paghino tasse, imposte. Insomma, oltre a respirare, sanguinare, ridere, vivono e producono reddito.
Nel 2012 i benefici economici, ossia le entrate per l’Erario, sono stati di 16,5mld€ (+3,2 rispetto all’anno precedente), così ripartiti:
Gettito Irpef
4,9
Imposta sui consumi
1,4
Imposta sugli oli minerali
0,84
Lotto e lotterie
0,21
Tasse e permessi
0,25
Totale gettito fiscale
7,6
Contributi previdenziali
8,9
Totale entrate 2012
16,5
Totale entrate 2011
13,3
La differenza tra entrate e uscite è dunque +4,6mld (+3,2 rispetto all’anno precedente) [Fonte: Dossier Statistico Immigrazione 2014].
Ma questi dati sono parziali: ci sono infatti altre entrate da aggiungere.
A. Entrate di fatto – Intanto, bisognerebbe considerare che alcune delle voci di spesa (ad es. quella sull’istruzione, che con 3,5mld è la seconda in ordine di importanza) a loro volta sono costituite in parte da stipendi, dunque posti di lavoro (per italiani), e di conseguenza ulteriori versamenti fiscali (tasse e imposte indirette sui consumi).
B. I fondi UE – Alle entrate bisogna aggiungere i fondi che l’Unione Europea versa all’Italia in misura proporzionale al numero di migranti: perché, a dispetto della propaganda, l’UE ha versato all’Italia, nel quadriennio 2007-2011, 236mln (così ripartiti: 112 dal fondo per il controllo delle frontiere, 25 dal fondo per i rimpatri, 22 dal fondo per i rifugiati, 77 per il fondo per l’integrazione).
C. I versamenti contributivi – Consideriamo i contributi previdenziali, che sono in crescita (+1,9mln rispetto al 2011). Data l’età media dei lavoratori migranti (più bassa di quella dei lavoratori italiani), i loro versamenti contribuiranno per molti anni al pagamento delle pensioni degli italiani. Come si legge nella ricerca del CNEL e del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali Il ruolo degli immigrati nel mercato del lavoro italiano (2012), «la differenza tra i benefici sociali ricevuti e le imposte pagate rispettivamente per le due popolazioni [gli immigrati e gli autoctoni] non mostra un maggior ricorso al welfare da parte degli immigrati. Ciò risulta particolarmente evidente qualora si considerino i benefici legati all’anzianità: in questo caso, infatti, i dati evidenziano un trasferimento netto di risorse dagli immigrati agli italiani» [p. 11, corsivi miei]. Ma soprattutto, una parte di questi contributi non si trasformerà in pensione. I migranti, infatti, matureranno al 65mo anno d’età una pensione proporzionale ai contributi versati, a condizione che abbiano raggiunto i 20 anni di contribuzione. Nel caso il migrante faccia ritorno al paese d’origine, i contributi non potranno seguirlo (per effetto della legge 189/2002), ma resteranno in Italia. Se il migrante avrà versato contributi per meno di 20 anni, oppure se tra il suo paese e l’Italia non esiste una convenzione bilaterale (che l’Italia sarebbe tenuta a stipulare con tutti i paesi, ma che è molto restia a stipulare), o se sarà incorso in qualche intoppo burocratico senza saperlo, quei contributi che sono a tutti gli effetti suoi non gli frutteranno alcun beneficio, e resteranno a rimpinguare il bilancio dell’Inps (bisognerà ricordarsene, di queste entrate aggiuntive, all’annuncio della prossima riforma delle pensioni).
Ci sarebbero anche i versamenti per il TFR: che non conteggiamo perché, formalmente, sono soldi del lavoratore, anche se entrano nelle liquidità a disposizione delle aziende. Viene però da domandarsi: c’è qualcuno che ha idea di cosa accadrebbe al sistema delle piccole e medie aziende, se col prevalere delle derive razzistiche e xenofobe i migranti dovessero orientarsi verso altri paesi più accoglienti (e con migliori sistemi previdenziali), portandosi dietro i loro TFR attualmente nelle casse delle imprese italiane? C’è da pensarci con molta, molta serietà.
D. Le imprese migranti – I migranti, talvolta, riescono anche a fare impresa. Esistono in Italia 628mila partite IVA e 497.080 imprese afferenti a soggetti nati all’estero, per circa 800.000 posti di lavoro (elaborazione della Camera di Commercio di Milano su dati del Registro delle imprese). È interessante notare che circa 200.000 di questi lavoratori – effettivi – sono italiani. Dunque ulteriori benefici fiscali e contributivi per l’Erario. Ancora: secondo un’accurata ricerca del CNEL ( Il profilo nazionale degli immigrati imprenditori, 2011), queste aziende si rivolgono a personale italiano, o alle rispettive associazioni di categoria, per gli aspetti contabili e fiscali (90-95%) e per la normativa sulla sicurezza (82%), e per il 37% per la consulenza informatica. E ancora, il 77,3% di queste aziende si serve di aziende italiane per il reperimento dei materiali e delle merci.
I migranti ci rubano il lavoro?
La ricerca Il ruolo degli immigrati nel mercato del lavoro italiano rileva che «per quanto riguarda quindi il rischio di disoccupazione, sembrerebbe di poter affermare che non c’è un effetto di concorrenza, e tantomeno spiazzamento, derivante dalla maggior presenza di immigrati» [p. 132]; parimenti, «non si rileva un effetto di spiazzamento ricollegabile alla presenza di immigrati sul territorio» [p. 137]. Tradotto: non è vero che la presenza dei migranti comporta una diminuzione dei salari per gli italiani, né che il lavoro migrante sostituisce quello “indigeno”, creando disoccupazione. Questo perché (semplifico) il migrante trova in genere lavoro in quelle posizioni di basso rango che l’italiano abbandona perché ha trovato migliori opportunità lavorative, e che non sono ambite da altri italiani (una fra tutte: le imprese che bonificano dall’eternit i nostri tetti); mentre in caso di licenziamento di un lavoratore italiano non vi è alcuna sostituzione, ma perdita del posto di lavoro.
È invece vero che esiste «un evidente differenziale salariale sulla base della cittadinanza: se un italiano riceve circa 1299 euro netti in media al mese, uno straniero percepisce appena 993 euro, circa il 23 per cento in meno» [p. 56]: e infatti la ricerca del CNEL individua «l’esistenza di uno stiky floor (pavimento appiccicoso), che tende a mantenere segregati nelle occupazioni meno retribuite gli immigrati, e di un glass ceiling, che limita l’accesso alle posizioni di carriera più avanzate» [p. 57]. Quest’ultima considerazione apre la strada al tema delle condizioni di lavoro nei settori dell’edilizia, agricoltura e logistica, dove ulteriori profitti, spesso in nero, sono realizzati dai datori di lavoro mediante il basso costo del lavoro ottenuto attraverso la concorrenza tra soggetti più svantaggiati – stranieri contro stranieri, regolari contro irregolari – realizzata con le forme di caporalato che si rivelano impermeabili ai mutamenti delle amministrazioni locali, e che non sembrano patire una reale volontà di lotta allo sfruttamento da parte degli organi dello Stato.
Un’invasione musulmana?
Sfatiamo anche questa diceria. Il 53,9% dei migranti in Italia è di religione cristiana: lo afferma il Vademecum Religioni, dialogo, integrazioni: «L’incidenza dei cristiani, superando la metà del totale (53,9%), mostra quanto sia improprio in Italia agitare lo spettro di una “invasione” di persone di diversa religione, mentre i musulmani sono un terzo (32,9%) e i fedeli di tradizioni religiose orientali (induisti, buddhisti e altri) poco più di un ventesimo (5,9%)» [p. 53]. Per contro, il CESNUR (Centro Studi sulle Nuove Religioni) riduce la stima dei musulmani a circa il 26%, conteggiando gli immigrati in base non alla religione che avevano nel Paese di origine, ma «all’effettivo contatto con un’organizzazione della loro religione in Italia»: «Mentre in un certo immaginario collettivo un immigrato non cattolico è quasi per definizione un musulmano, in realtà tra gli immigrati appartenenti a minoranze religiose i musulmani non sono – o non sono più – in maggioranza né assoluta né relativa, e i cristiani non cattolici – sommando ortodossi e protestanti pentecostali – sono ora più numerosi degli islamici» [ qui]. Nel complesso, le religioni presenti in Italia sono 836: c’è, insomma, posto per tutti.
C’è un aumento della criminalità dovuto alla presenza dei migranti?
Qui, oltre ai rapporti già presi in esame, ne abbiamo altri ancoro più specifici; in particolare (oltre ai rapporti annuali del Ministero della Giustizia, che è sempre bene conoscere), il rapporto della Fondazione Rodolfo Debenedetti Politica migratoria, immigrazione illegale e criminalità (2013), nel quale si dimostra che solo tra i migranti irregolariche costituiscono il 6% dell’intera comunità immigrata (dato in diminuzione, peraltro) – i tassi di criminalità sono superiori a quelli degli italiani: in sintesi, «la condizione d’irregolarità incrementa fortemente il rischio di coinvolgimento in attività criminali, in quanto preclude l’accesso a opportunità di guadagno lecite, aumentando la propensione a delinquere». Dunque, conclude il rapporto, «i maggiori rischi per la sicurezza derivano non tanto dall’immigrazione di per sé, quanto dalla presenza degli irregolari e nel corso degli ultimi decenni tale componente è stata alimentata, quasi paradossalmente, dalle politiche migratorie restrittive, che hanno imposto un ferreo contingentamento del numero di permessi di soggiorno a fronte di un continuo aumento delle pressioni migratorie verso il nostro Paese».
I reati sono aumentati?
Ma attenzione: le percentuali sono sempre relative. Il punto è: con l’arrivo dei migranti i reati sono o non sono aumentati, quale che siano le percentuale di italiani e di migranti che ne sono autori?
Qui ci soccorrono il ministero degli interni e Confindustria col Rapporto sulla criminalità e sicurezza in Italia 2010. Ricordiamo che il ministro degli interni nel 2010 era Roberto Maroni, in un governo nel quale erano presenti, tra gli altri, Ignazio La Russa, Giorgia Meloni, Roberto Calderoli e Umberto Bossi. Il rapporto si avvale in larga parte del precedente Rapporto sulla criminalità in Italia dal 1993 al 2006 elaborato dalla polizia italiana: per richiamare un salace motto dell’allora ministro degli interni, Maroni & Manganelli.
La sintesi per la stampa del rapporto ministeriale si apre con questa affermazione: «L’analisi dell’andamento della criminalità in Italia negli anni più recenti presenta risultati sorprendenti. Molti reati sono diminuiti, alcuni anche sensibilmente, tanto che, per certi versi, si potrebbe quasi parlare di una vera e propria svolta “silenziosa”. Sono diminuiti gli omicidi. Mai, in questo Paese, se ne sono registrati così pochi come negli ultimi quarant’anni. Sono diminuiti i furti, mentre le rapine hanno subito un vero e proprio crollo (anche se restano reati ancora molto frequenti). Alcuni reati sono addirittura virtualmente scomparsi, come i sequestri di persona a scopo di estorsione perpetrati dalla criminalità organizzata. Non solo capire, ma anche semplicemente descrivere questi cambiamenti richiede uno sforzo in due direzioni, una temporale, l’altra spaziale». Ad esempio, nel decennio 1998-2008 gli omicidi per 100.000 abitanti sono passati da 1,5 a meno di 1; i delitti riconducibili al fenomeno della droga da 80 a meno di 60 (i grafici sottostanti provengono dal Rapporto sulla criminalità).
omicidi

droga
Ma è proprio in quel decennio che i migranti sono passati da meno di 1 milione a più di 4: eppure, parola di Maroni & Manganelli, mentre i migranti quadruplicavano le loro presenze, i reati diminuivano. Non c’è dunque alcuna correlazione dimostrabile tra immigrazione e criminalità.
Però, negli ultimi anni, le denunce sono tornate ad aumentare per effetto dell’aumento di alcuni reati cosiddetti minorimentre, nota bene, diminuivano gli immigrati irregolari. Tutte le analisi concordano nell’attribuirne la causa alla crisi economica.
È però interessante (o “sorprendente”) notare che, nell’arco temporale 2004-2012, che comprende anche questo aumento (come attesta il Dossier Statistico Immigrazione 2014) le denunce contro gli italiani sono cresciute del 37,6%, nonostante sia diminuito, seppur di poco, il numero degli italiani; mentre quelle contro gli stranieri sono cresciute meno, nonostante sia più che raddoppiato il numero dei migranti: +29,6%. E attenzione: tra i reati compiuti dagli stranieri, il 17% riguardano semplicemente il loro status – il reato di immigrazione clandestina (che un italiano non può commettere). Insomma, gli italiani tendono a delinquere più degli stranieri.
Ciò contraddice chi pensa che l’origine renda più o meno inclini alla devianza. Fatto sta che chi è più in basso nella scala sociale regge meglio il peso della crisi, rispetto a chi non c’è abituato: e abbiamo visto che i migranti sono incollati a un pavimento sociale vischioso, rispetto agli italiani. Inoltre, il migrante ha, nonostante le peggiori condizioni di esistenza, molto più da perdere del residente, e se trova un lavoro e quattro mura cerca di conservare l’uno e le altre.
Il che ha una logica: ma la logica ha un filo nel quale gli imbecilli inciampano.
L’Operazione Mare Nostrum
A. Sono soldi nostri? – Quando si parla dell’Operazione Mare Nostrum, i cui costi si aggirano (tra l’ultimo trimestre 2013 e il 2014) attorno agli 800mln (stima basata sulle dichiarazioni di Alfano), si sente dire che “sono soldi nostri spesi per i migranti”. Ebbene, non è vero: se vogliamo dividere gli esseri umani in “noi” e “loro”, allora quei soldi sono soldi “loro”, perché la comunità migrante produce reddito che versa nelle casse dell’Erario e nell’economia italiana, e questo reddito è non solo in attivo, ma di molto superiore ai costi di Mare Nostrum. E dunque sono legittimati ad avere non solo soccorso, ma anche prestazioni sociali, dal momento che queste prestazioni le pagano in sovrappiù: sono molto più legittimati degli speculatori che lucrano non un profitto, ma una rendita parassitaria attraverso gli affitti degli immobili, spesso in nero, costituendo la causa prima del sovraffollamento, del subaffitto, e infine dei fenomeni di devianza e degrado sociale che vengono impropriamente attribuiti all’intera comunità migrante.
Ciò detto, dove sono finiti i soldi spesi per Mare Nostrum? Intanto, chiariamo che si tratta, fino al settembre 2014, di 30 € (+IVA: che però viene a sua volta incamerata dallo Stato) per ogni effettivo giorno di presenza del migrante; e di 35 € (+IVA) da ottobre a dicembre 2014: vale ricordarlo, perché queste cifre vengono fantasiosamente moltiplicate sia nel loro ammontare, sia nel loro protrarsi nel tempo. Questi soldi non vanno “nelle tasche dei rifugiati” (se non per la misura di 2,5 € al giorno) – nessuna diaria, dunque; né vanno “nelle tasche delle cooperative sociali”, quale che sia il loro colore, se non come rimborso delle spese effettivamente sostenute per visite mediche, pasti, vestiario (ricordo che nel sistema di accoglienza SPRAR i rimborsi avvengono per rendicontazione). Di fatto, sono soldi che vengono rimessi in circolo, secondo un meccanismo di assistenza sociale che favorisce i produttori e/o venditori (italiani) di servizi. Paragonare, per fini di evidente propaganda, queste spese a forme di pensione sociale è non solo improprio e scorretto, ma denota, in chi lo fa, nel migliore dei casi una incapacità di ragionamento allarmante, e nel peggiore una miseria umana e morale ancor più preoccupante.
no ebolaB. Chi sono i migranti giunti in Italia con l’operazione Mare Nostrum? Mare Nostrum ha salvato circa 100.000 migranti in alto mare (dall’ottobre 2013 all’ottobre 2014). Nel 2014 sono giunti via mare in Italia 129.000 migranti (fonte: ISMU su dati Ministero dell’Interno, Dipartimento della Pubblica Sicurezza, Direzione Centrale dell’Immigrazione e della Polizia delle Frontiere; il dato è al 15/09, è presumibile che il numero totale sarà di circa 150mila). Questi profughi non si traducono automaticamente in presenze sul territorio nazionale: il 40% di loro, infatti, non si è fermato se non il tempo necessario per l’identificazione; per i richiedenti asilo, la percentuale di dinieghi è finora del 90%.
In maggioranza si tratta di eritrei (circa 33.000) e siriani (quasi 35.000: non certo i 4.000 che risultano a Salvini); 6-8.000 rispettivamente tra maliani, nigeriani e gambiani; il resto, Africa sub sahariana, Corno d’Africa, Pakistan e Bangladesh. Paesi distanti dalla Libia non meno di 3.000 km: una distanza i cui tempi di percorrenza rendono inesistente il pericolo di diffusione del virus Ebola (peraltro assente in quasi tutti i paesi d’origine). Si aggiunga poi lo stato attuale della Libia, definito dai migranti “l’inferno sceso in terra”: pensare che questo sia stato facilitato dall’esistenza dell’operazione Mare Nostrum è semplicemente folle. Come ha ricordato l’ammiraglio Filippo Maria Foffi, comandante in capo della marina militare italiana, questi profughi hanno viaggiato fino a tre mesi prima di raggiungere le coste del Nordafrica, circa la metà di loro sono morti nel viaggio: «Se qualcuno parla di “fattore di attrazione”, non sa di cosa sta parlando».
O ha una barriera architettonica fra gli emisferi cerebrali.
C. Mare Nostrum: tutto bene? Se è vero che il bilancio è positivo, è altresì vero che dentro questo bilancio ci sono degli aspetti criticabili. A differenza di paesi come Francia, Germania, Svezia, che sopportano flussi migratori anche 5 volte superiori a quelli italiani (a titolo di esempio: in Italia nel 2013 sono state 26.620 le richieste d’asilo a fronte delle oltre 127mila ricevute dalla Germania) l’Italia affronta questo fenomeno con una logica derivante dal perverso incrociarsi di una normativa demenziale e criminogena (la legge Bossi-Fini, continuazione con altri mezzi dell’altrettanto demenziale e criminogena Turco-Napolitano) con una improvvisazione che denota l’assenza di una visione progettuale. Mentre altri paesi europei – che giustamente mal sopportano le lagnanze italiane – hanno costruito strutture permanenti che consentono di assorbire sul piano sociale i flussi migratori, l’Italia ragiona sempre e solo in termini di mera emergenza.
Due esempi pratici. La marina militare è stata autorizzata a soccorrere i migranti fino all’estremo limite delle acque libiche: ma non è stata autorizzata all’uso delle proprie strutture (arsenali e caserme dismessi, ad esempio) per l’accoglienza dei migranti dopo lo sbarco in Italia.
Di fatto, la marina non ha potuto far altro che sbarcarli sui moli, senza poter svolgere altra azione di soccorso.
Secondo: i costi – basti pensare a quello delle visite mediche – sarebbero stati senz’altro minori se si fossero utilizzate le stesse risorse per creare strutture di accoglienza stabili, con personale – operatori medici e sociali – contrattualizzato, invece di pagare a giornata le prestazioni mediche e a rimborso le cooperative, scaricando per di più su sindaci e prefetti l’onere dell’operazione senza fornire loro strumenti adeguati. Quanto questo mix di criminalizzazione del migrante e di improvvisazione dello Stato giochi a favore di chi si arricchisce, succhiando ricchezza sociale, col lavoro illegale e le condizioni di vita cui sono costretti i migranti, è facile immaginare.
Naufragio con spettatori

Se le parole dell’ammiraglio Foffi hanno un senso, a fronte dei 150.000 salvati anche grazie all’operazione Mare Nostrum, altrettanti ne sono morti durante la traversata dell’Africa nei mesi precedenti. Senza l’operazione Mare Nostrum, buona parte di quei 100.000 che sono stati soccorsi in alto mare sarebbe annegata nel tratto di mare tra la frontiera libica e quella italiana. Che è quello che rischia di succedere con il passaggio da Mare Nostrum a Triton: «Triton disporrà solo di un terzo delle risorse finanziarie assegnate a Mare Nostrum. Nello specifico, avrà in dotazione sei piccole imbarcazioni, due aerei e un elicottero al posto dell’ampia flotta di navi e aerei della marina militare italiana. Non avrà alcuna funzione di ricerca e salvataggio, e potrà operare a sole 30 miglia marine (50 chilometri) dalle coste italiane. Fuori da questo raggio i migranti saranno lasciati annegare» (Gwynne Dyer, Annegare i profughi, su “Internazionale”, qui).
C’è poi il problema dello status dei rifugiati cui viene negato il permesso di soggiorno: a seconda del variare dei tempi e degli atti amministrativi, lo stesso essere umano sfuggito dalla guerra o dalla carestia si trova ad essere profugo, rifugiato, clandestino, illegale; come afferma un operatore del settore, «se il governo non prenderà rapidamente una decisione per la concessione di un permesso di soggiorno umanitario convertibile in presenza di un contratto di lavoro, entro 15/18 mesi ci troveremo nella condizione di ospitare sul territorio circa 60.000 persone in stato di irregolarità, oggettivamente non rimpatriabili, che non potranno affittare regolarmente un appartamento, e che andranno ad ingrossare le sacche del lavoro nero».
Sono in tanti a riempirsi la bocca con espressioni vuote come difendere, proteggere, preservare “i valori dell’Occidente”, “la civiltà Occidentale”, la “democrazia Occidentale”: una civiltà che si vuole minata nelle fondamenta se due esseri umani dello stesso sesso rivendicano il diritto di condividere le proprie esistenze, ma i cui “valori” e “principi morali” non sembrano in pericolo se migliaia di esseri umani annegano davanti ai suoi occhi. Ma una civiltà che lascia consapevolmente annegare decine di migliaia di esseri umani, che volta la testa dall’altra parte, che finge di non avere responsabilità verso le ragioni che spingono i profughi a fuggire dal sud del mondo; una civiltà che non ha compassione per un essere umano che annega, o addirittura ne favorisce l’annegamento, in cosa è civile? In cosa sono “valori” i suoi principi? Perché dovrebbe essere difesa, protetta, preservata?

  1. Realizzato dal Centro Studi e Ricerche IDOS per conto dell'Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali (UNAR) istituito dalla presidenza del Consiglio. Ma vedi anche il XX Rapporto nazionale sulle migrazioni 2014 della Fondazione Ismu.
  2. European Migration Network, Immigrati e sicurezza sociale: il caso italiano. VII Rapporto EMN Italia, Edizioni IDOS, Roma, marzo 2014; vedi anche la scheda La tutela previdenziale degli immigrati: problemi e prospettive, a cura della Rete Europea Migranti (EMN), IDOSS, Ministero degli Interni e Comunità Europea, 2013.
  3. Qui un articolo divulgativo.
  4. Curato dal Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione – Direzione Centrale degli affari dei culti Ministero dell’Interno, pubblicato nel 2013, ma avviato nel 2011 (quando c’era un governo di centro-destra).
  5. Qui un articolo divulgativo.
  6. Un esempio, tra i tanti: dopo l’ingresso di Romania e Bulgaria nell’UE (2007), il tasso di recidiva tra ex detenuti bulgari e rumeni si è dimezzato: lo status di “comunitari” ha agito da strumento di contenimento. Cfr. la ricerca di Giovanni Mastrobuoni e Paolo Pinotti Migration Restrictions and Criminal Behavior: Evidence from a Natural Experiment, “Carlo Alberto Notebooks” n. 208, 2011: «The average probability of rearrest over a six-month period declines from 5.8% to 2.3% for Romanians and Bulgarians after obtaining legal status (as a conse- quence of the EU enlargement), relative to no change in the control group», p. 3.
  7. Enzo Pilò, Associazione Babele di Taranto, che ringrazio per la consulenza.
  8. Post scriptum: a testo già composto e impaginato, leggo un post di Andrea Colasuonno Le 9 balle sull’immigrazione (smentite dai numeri), che volentieri cito.

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