Occupazione. Perché la ripresa non si vede
Gli stimoli alla crescita non sono mai stati tanti. Se ne
possono contare due di marca italiana — la legge di stabilità che
ha dato un bell’incentivo alle imprese che assumono a tempo
indeterminato ed il Jobs Act che consente, dopo aver utilizzato le
agevolazioni per tre anni, di licenziare — e tre provenienti
dall’esterno — Quantitative Easing, svalutazione dell’euro, crollo
del prezzo del petrolio. Una manna dal cielo, una vera e propria cura
da cavallo per l’economia italiana.
Il governo è così convinto che più di questo non si può fare, e che
il cavallo dovrà bere, da dotarsi di un suo termometro, per
fornire, ogni mese i suoi dati, cinque giorni prima che escano quelli
Istat.
Avevamo scritto di un possibile conflitto tra dati sull’occupazione che il ministero del Lavoro ha deciso di fornire il 25 di ogni mese e dati forniti dall’Istat da sempre programmati per il 30 di ogni mese. Esprimendo la preoccupazione che esso potesse ripetersi ogni volta con la conseguenza di generare confusione e delegittimare l’Istat.
Avevamo scritto di un possibile conflitto tra dati sull’occupazione che il ministero del Lavoro ha deciso di fornire il 25 di ogni mese e dati forniti dall’Istat da sempre programmati per il 30 di ogni mese. Esprimendo la preoccupazione che esso potesse ripetersi ogni volta con la conseguenza di generare confusione e delegittimare l’Istat.
Un altro mese è passato e lo spettacolo si è ripetuto. Il 23
aprile il ministero ha fornito i suoi dati: i nuovi contratti di
lavoro (escluso lavoro domestico e pubblica amministrazione)
mostrano un saldo tra attivazioni e cessazioni di 92.299. Nel 2014
il saldo era stato di 61.666, quindi si è detto 30.633 contratti in
più. I titoli dei giornali sono stati megafoni fedeli: «Contratti
92.000 in più» (La stampa); stesso titolo con l’aggiunta «Mattarella
i dati sono confortanti»(Il Messaggero); 92000 contatti in più anche
per Il Sole 24ore con «per Mattarella riforme virtuose»; Repubblica
ha parlato addirittura di «Boom dei nuovi contratti».
Adesso abbiamo i dati Istat ed il messaggio è netto: il cavallo non
beve. Gli occupati sono diminuiti in un anno di 70.000 unità pari
allo 0,3%. I disoccupati sono aumentati di ben 138.000 (+0,5%). Dati
di segno opposto a quelli forniti dal ministero del lavoro.
Naturalmente questo non significa che i dati di Poletti sono falsi.
Sono semplicemente un’altra cosa e non misurano tutta l’occupazione.
Sarebbe, perciò, il caso di fornirli dopo quelli dell’Istat
precisando che si tratta dei soli contratti registrati, mentre
quelli Istat rappresentano l’universo del mondo del lavoro,
dell’occupazione e della disoccupazione. Questo sul piano tecnico.
Sul piano politico sarebbe invece il caso di chiedersi perché il
cavallo non beve. Perché la ripresa non si vede e l’occupazione non
cresce.
E quindi di farsi qualche domanda: ma non è per caso che ripresa
economica ed occupazione hanno bisogno di qualcosa di più e di
diverso da austerità temperata, incentivi mal distribuiti, parole
di fiducia? Non c’è bisogno di sospendere l’austerità, pensare ad
interventi pubblici mirati a rilanciare offerta ed innovazione e,
quindi, la domanda? E non c’è bisogno di impegnare il Parlamento in
un dibattito serio ed urgente sull’economia invece che in prove di
forza muscolari su riforme che sono meno prioritarie del rilancio
dell’occupazione? Chi dice queste cose gufa o chi non vuole vederlo
è cieco?
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