La tempesta finanziaria che ha colpito prima la Grecia e poi l’Irlanda rischia concretamente di allargarsi presto: le prossime candidate in lista sono il Portogallo e la Spagna, ma sui mercati e tra gli esperti di economia internazionale ci si comincia già ad interrogare sulla posizione dell’Italia. Anzi, un possibile attacco speculativo viene paventato sia dal PD che dal “Terzo Polo” ed usato come giustificazione per evitare il ritorno alle urne in caso di caduta del governo la prossima settimana. Ma cosa rischia il nostro paese? La risposta non è così immediata come nei casi di Atene e Dublino. Le politiche di austerità, in quei due casi, furono imposte dal Fondo Monetario Internazionale e dalla UE in cambio di aiuti finanziari. Nel caso dell’Italia il discorso sarebbe assai più complesso, in quanto la nostra economia è assai più grande di quelle greche ed irlandesi e non ci sono risorse sufficienti per il salvataggio. Un attacco all’Italia potrebbe sfociare nella fine dell’Euro e del sistema europeo come noi oggi lo conosciamo. Sarebbe un risultato non sorprendente e che testimonierebbe semplicemente l’impossibilità di una unione monetaria senza una vera unione politica. L’idea che i mercati siano istituzioni semplicemente economiche senza un vero aggancio alla società politica si sta, infatti, rivelando una chimera: non esiste luogo più politico del mercato e la crisi attuale lo dimostra con assoluta chiarezza. Quali sarebbero però per l’Italia le conseguenze di una crisi della moneta unica? Un ritorno alla Lira (ed una inevitabile ristrutturazione del debito pubblico) rilancerebbe l’economia puntando sulla svalutazione che permetterebbe alle merci italiane di guadagnare competitività senza per forza dover ridurre i salari – la deflazione interna che si è imposta negli ultimi mesi in Irlanda ed in Grecia. Al contempo, però, il paese ne uscirebbe con pochissima credibilità internazionale, ancora più esposto ad attacchi finanziari e davvero troppo piccolo per competere internazionalmente con i giganti emergenti dell’economia mondiale. Soprattutto i problemi ci sarebbero al Nord, esasperando la tensione regionale che già caratterizza il nostro paese da quasi due decenni. Il Nord Italia è una regione ad alto potenziale di crescita, molto integrata con l’Europa centrale, in prospettiva più simile alla Baviera che al meridione. La perdita dei vantaggi economici legati all’integrazione europea potrebbe avere effetti devastanti su quel tipo di economia. La crescita della Lega Nord in questi anni non è un fenomeno che possiamo sottovalutare ed una crisi economica, magari in contemporanea con la fine del ventennio berlusconiano potrebbe mettere in moto eventi potenzialmente catastrofici.L’idea di nazione si basa sulla volontà di vivere insieme, oltreché su una comune identità storica, culturale e linguistica. Una crisi economica che svantaggi in maniera sproporzionata una parte geografica rischia di avere, dunque, effetti assai pericolosi anche sul sistema politico e sociale del paese.Dunque è indispensabile fermare la speculazione prima che arrivi in Italia, ed è su questo sentiero che si muovono diverse forze parlamentari in vista di una possibile sfiducia al governo Berlusconi. Un governo di responsabilità nazionale (!) che faccia tagli draconiani sul modello di Irlanda e Grecia per rassicurare i mercati. Sarebbe una follia. Tale governo avrebbe pochissima legittimità democratica, soprattutto per imporre sanguinose riforme a favore del grande capitale e contro i lavoratori. Si tratterebbe di un suicidio politico per il Pd che potrebbe pure favorire nel breve periodo una riscossa a sinistra ma finirebbe inevitabilmente per fare il gioco della destra populista che potrebbe sfruttare elettoralmente la sua posizione di rendita per mantenere in vita il ciclo politico leghista e berlusconiano. Sarebbe soprattutto un disastro per il paese che non avrebbe le forze per riprendere la crescita economica nel futuro. I tagli alla greca in Italia vorrebbero dire morte certa per l’istruzione pubblica e quindi per il futuro del paese, riduzione di uno stato sociale già ai minimi termini ed ulteriore impoverimento per operai e dipendenti pubblici. Oltre ad una spaccatura geografica ed economica del paese ne avremmo un’altra sociale dagli esiti catastrofici.Esiste però un’alternativa. Si può rilanciare la crescita e rassicurare i mercati internazionali coniugando una politica economica seria ed equa. Tutti quelli che ci parlano di deficit e di peso insostenibile del debito dimenticano sempre di dire che la dinamica del debito ed il deficit fiscale possono essere messi in ordine dalla crescita economica. Quello che è successo in Europa negli ultimi anni ed in Italia negli ultimi due decenni è stato un ricorso al deficit improduttivo – per salvare le banche, per aiutare la rendita, per tollerare l’evasione fiscale, nel nostro caso. Rilanciare il potere di acquisto dei lavoratori invece di ridurlo, è la strada maestra. Un’economia in crescita produce più entrate fiscali, diminuendo in tal maniera il debito. L’introduzione di una tassa patrimoniale, che Rifondazione chiedeva già nel 1994, permetterebbe di trovare risorse aggiuntive. Infatti, una più giusta distribuzione del reddito alimenta i consumi e di conseguenza gli investimenti, fa calare il ricorso al debito privato ed in prospettiva quello pubblico. Insomma, il rilancio della crescita – e soprattutto di una crescita sostenibile, puntando soprattutto sull’istruzione per generare valore aggiunto per il futuro – è la strada maestra per aprire un ciclo virtuoso. Un programma di questo genere è squisitamente politico e solo la sinistra può avviarlo, altro che governi tecnici. Le alternative, lo abbiamo visto, sono toppe peggiori del buco.
Nicola Melloni, Liberazione
Nicola Melloni, Liberazione
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