lunedì 3 settembre 2012
RITORNA LA TEORIA DELLE “DUE SINISTRE” di Franco Astengo
L’assemblea nazionale di SeL, svoltasi in gran fretta venerdì 31 Agosto, ha in sostanza sancito, attraverso un massiccio voto maggioritario, il ritorno alla non mai abbastanza criticata “teoria delle due sinistre” che i militanti di più lungo percorso politico ricorderanno senz’altro.
L’idea, espressa dal documento sortito dall’Assemblea di venerdì scorso, è, infatti, quella di una “delimitazione” a sinistra, proponendo per la stessa SeL un percorso interno a un’area a “vocazione governativa” per un nuovo centrosinistra collegato a un patto di ferro con il PD (unica eccezione la ricerca di un collegamento, in questa fase molto difficoltoso, con una forza come l’IDV della quale tutto si può dire meno che si tratti di un soggetto appartenente a una possibile area di sinistra).
Si chiude così, anche formalmente, l’ipotesi di un percorso di unità a sinistra, nelle sue diverse componenti, anche nella forma riduttiva di una presentazione elettorale comune, se non di proposta di nuova soggettività: SeL reclama, per intero, l’appartenenza a un altro campo, del resto già ben individuato da tempo nella scelta della forma della soggettività politica, identificata in quel “partito elettorale personale” imperniato sulla figura del leader, con attorno una “rete” di sostegno incondizionato che, poi, riverbera la stessa struttura a livello locale, accettando di fatto il meccanismo del “presidenzialismo – maggioritario”.
D’altro canto la valutazione di questa scelta va posta anche su di un altro piano, non posto in rilievo nel corso dei lavori della già più volte citata Assemblea: quello del diritto di cittadinanza all’interno del sistema politico – istituzionale.
E’ evidente come, in particolare attraverso il dibattito in corso sulla modifica della legge elettorale (dibattito emblematico del punto di caduta al quale è pervenuto l’intero quadro politico oggi presente in Parlamento) e nell’accentuarsi del meccanismo presidenzialista (enfatizzato dalla vicenda “intercettazioni” da qualsiasi lato la si voglia osservare) e dell’affermazione della cosiddetta “democrazia di competenza” in luogo della “democrazia rappresentativa” (un fenomeno sul quale sono intervenuti con puntualità Ilvo Diamanti e Nadia Urbinati) i tre partiti che sostengono il governo dei “tecnici” si stanno muovendo sul terreno del “partito di cartello”, quella formula particolare attraverso la quale si tende, attraverso la formulazione di apposite norme in particolare in materia elettorale, di impedire a nuovi soggetti di entrare a pieno titolo nell’arena politica (o perlomeno, a limitarne l’impatto).
E’ questo il significato insito nelle proposte di premi di maggioranza (al partito, e non alla coalizione: e sarà questo un particolare non indifferente per definire certe strategie), soglie di sbarramento, listini bloccati.
Meccanismi che possono essere aggirati soltanto attraverso un rapporto diretto con uno dei soggetti protagonisti, appunto, del cosiddetto “partito di cartello”, al di là della proclamata autonomia politico-culturale di cui dovrebbero disporre tutti i soggetti organizzati in campo.
L’obiettivo, nello specifico del “caso italiano” di questi tempi è chiaro: quello di fare in modo che, comunque, il governo dei tecnici in una qualche forma (la più possibile vicina all’attuale) resti in sella per proseguire nel suo lavoro di demolizione di ciò che resta, all’interno della crisi, di coesione sociale nel Paese.
Così le due “sinistre”: o perlomeno una presunta sinistra collocata, nel campo, appunto del “partito di cartello” (di cui beninteso fa parte anche la Lega Nord, che a proposito di soglie di sbarramento avrà un trattamento privilegiato).
Ho affrontato soltanto l’aspetto della dinamica politica in atto, senza entrare nel merito delle questioni di qualità della crisi, del livello europeo, della feroce lotta di classe in atto per estirpare definitivamente i diritti dei lavoratori.
Mi è parso decisivo sottolineare al massimo il tema di fondo dell’itinerario tracciato dalle forze maggioritarie in questo momento all’interno del sistema politico, un itinerario al fondo del quale, come ha affermato il ministro Barca, c’è l’idea di una democrazia “inclusiva”, nel senso della delimitazione netta del recinto di governo inteso quale unico riferimento possibile perché si possa disporre di un minimo di agibilità politica.
Per una sinistra che non intenda rassegnarsi a questo meccanismo di assoluta perdita di autonomia culturale e di capacità di iniziativa e intervento non rimane che affermare il principio opposto: quello di proporre il principio dell’affermazione di una democrazia rappresentativa che, a questo punto della crisi economica, sociale, politica e culturale, potrà affermarsi soltanto esponendo un netto segnale d’opposizione a un quadro dominante così pesantemente negativo.
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