venerdì 4 ottobre 2013

Grazie Lampedusa di Cinzia Sciuto

Se c’è un luogo in Italia (in Europa) dove il razzismo sarebbe, se non giustificabile, quanto meno comprensibile, quello è Lampedusa. Se c’è un posto in Italia (in Europa) dove la parola “invasione” avrebbe senso, quello è Lampedusa. Venti kilometri quadrati su cui si rovesciano ogni anno migliaia di donne, uomini, bambini che il caso ha fatto nascere in luoghi dove una vita dignitosa è una chimera e la mera sopravvivenza una sfida quotidiana. E che per questo sono disposti a giocare a dadi con la propria vita, sapendo che il viaggio che devono affrontare per raggiungere le nostre coste è una roulette russa.
E invece da Lampedusa arrivano sempre lezioni di straordinaria umanità. Alla domanda di un cronista che chiedeva di cosa avete bisogno, la sindaca dell’isola Giusi Nicolini ha risposto: “Di bare”. Non c’è tempo e spazio per polemiche politiche, qui ci sono vite da salvare e corpi da seppellire. I lampedusani si trovano di fronte uomini, donne e bambini che annegano ogni giorno davanti ai loro occhi, non clandestini da ricacciare indietro a fucilate, come forse qualcuno un po’ più a nord auspicherebbe.
Tre pescherecci – denuncia sempre la sindaca – non si sono fermati dopo aver visto il barcone perché avevano paura di essere incriminati per istigazione all’immigrazione clandestina, che quei geni dei nostri legislatori hanno deciso essere un reato.
Potremmo stare ore a discutere del nuovo colonialismo dell’Occidente che – affamando i paesi del Terzo mondo – crea le condizioni per queste tragedie. Ma facciamolo, di grazia, senza i morti sui moli dei nostri porti. Aspirare a un mondo in cui nessuno sia più costretto a lasciare la propria terra e i propri cari non è giustificazione buona per lasciar morire quelli che – qui e ora – annaspano in mare davanti ai nostri occhi.
Grazie Lampedusa.

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