giovedì 10 ottobre 2013

Il nome della vendetta Pubblicato da keynesblog


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Nel recente “monito degli economisti” pubblicato sul Financial Times, veniva richiamata la profezia che Keynes consegnò nel suo Le conseguenze economiche della pace. Allora – eravamo all’indomani della prima guerra mondiale – le potenze vincitrici imposero alla Germania pesantissimi risarcimenti. Secondo Keynes questa tenacia nel voler umiliare i tedeschi avrebbe prodotto quei risentimenti che poi favoriranno l’ascesa del Nazismo: «Se diamo per scontata la convinzione che la Germania debba esser tenuta in miseria, i suoi figli rimanere nella fame e nell’indigenza […], se miriamo deliberatamente alla umiliazione dell’Europa centrale, oso farmi profeta, la vendetta non tarderà».
Questa volta, forse, la vendetta non attenderà 14 anni. E sembra avere già un nome e un volto, quello di Marine Le Pen, leader del partito neofascista francese “Front National”. In un sondaggio pubblicato ieri dal settimanale di sinistra Nouvel Observateur il FN è attestato al 24%, due punti più dei gollisti di Sarkozy e ben cinque più dei socialisti del presidente Hollande. Mancano solo sette mesi alle elezioni europee del maggio 2014. La Francia voterà con il proporzionale e quindi l’ascesa del FN non verrà limitata dal sistema a doppio turno.
Le previsioni sono difficili in politica come in economia. Nonostante ciò ci sentiamo di poter azzardare qualche scenario. Se le elezioni confermassero i risultati dei sondaggi, la vittoria di una forza dichiaratamente antieuropea porterebbe i mercati a scommettere nuovamente sull’uscita dei paesi periferici dall’area euro. Stavolta però entrerebbe in scena la BCE con il suo programma OMT di sostegno ai debiti sovrani in cambio di “garanzie”. Se da un lato ciò riporterebbe la calma sullo spread, dall’altro aumenterebbe la pressione, già altissima, sulle popolazioni colpite dall’austerità e i timidissimi passi verso un allentamento del rigore che si erano manifestati nei mesi scorsi sarebbero cancellati di colpo. Non si può escludere che a quel punto la Le Pen, che si dice già pronta a guidare la Francia come presidente, potrebbe diventare un esempio da seguire nelle periferie europee.
Di fronte al 24% pronosticato dal sondaggio, François Hollande non ha avuto meglio da dire che occorre “rialzare la testa di fronte agli estremismi e alla xenofobia”. Ma il prossimo successo della Le Pen è dovuto in buona parte al fatto che la Francia socialista ha abbassato la testa di fronte alla Germania. Hollande aveva promesso in campagna elettorale di ricontrattare il Fiscal Compact e imporre una svolta all’Europa, ma ha infranto questa promessa già pochi giorni dopo la vittoria.
Le classi dirigenti europee sembrano ignorare totalmente questi pericoli e insistono nel percorrere la strada del rigore e dell’abbattimento dei redditi. Sempre ieri, di fronte agli economisti americani riuniti ad Harvard, Mario Draghi ha ribadito l’irreversibilità dell’euro e si è vantato della riduzione dei deficit pubblici in Europa, molto più pronunciata di quella negli Stati Uniti.
Ben più dell’euro si gioca in questa partita e l’ostinazione nel non prendere atto dell’insostenibilità della moneta unica nella sua forma attuale sembra resistere di fronte all’evidenza, sorretta dall’illusione che l’austerità e le “riforme strutturali” stiano producendo un nuovo equilibrio nell’eurozona, mentre vi sono buone ragioni per ritenere la divaricazione di competitività tra “centro” e “periferia” si stia allargando e che le politiche sinora attuate stiano piantando i semi di una nuova crisi.
Nel frattempo l’Italia, guidata da una classe dirigente incapace di autocritica, si illude di ottenere qualcosa dall’UE rispettando i parametri di Maastricht alla lettera e presentandosi in Europa con il cappello in mano. “Le persone timide in posizione di responsabilità – scriveva Keynes – sono un passivo per la nazione”.

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