Deutsche Bank non è un problema solo di Berlino. Domenica sera la più grossa banca tedesca, una potenza con una forte influenza sul governo di Angela Merkel, annuncia una perdita da 1,15 miliardi di euro nel quarto trimestre del 2013. Gli analisti si aspettavano un risultato positivo di 700 milioni. La colpa è soprattutto del calo dei ricavi del trading sui titoli a reddito fisso. E questo tipo di operazioni pesano per il 73 per cento dei ricavi del gruppo tedesco. Tradotto: il giro d’affari di Deutsche Bank è fatto per tre quarti di speculazioni sul mercato obbligazionario. Prestare denaro a interesse è diventato un affare marginale.
Lo schema pubblicato ieri dal Financial Times era inquietante: per le principali banche crollano i profitti da trading sull’obbligazionario e salgono in modo quasi speculare quelli sull’azionario (per Citi, per esempio, -15 da un lato e + 16 dall’altro). I capitali continuano a dirigersi verso la Borsa, dove le opportunità sono più ghiotte. Come al solito nessuno vede la bolla gonfiarsi. Eppure è così evidente: in Italia Piazza Affari è tornata ai livelli del 2011, prima della crisi dello spread, ma l’economia reale è lontanissima e i disoccupati continuano a crescere. La Borsa è di nuovo dopata, come nel 2008. Il caso Deutsche Bank ha un risvolto ancora più urgente. In questi anni di crisi le banche hanno tappato i buchi lasciati nei bilanci da titoli tossici e prestiti agli amici degli amici, in due modi: spremendo la clientela con le commissioni e facendo trading. Se queste due voci vanno in crisi, perché più di tanto non si può tartassare il correntista e perché la competizione o l’andamento del mercato riduce i margini sulla speculazione, sono guai. Soprattutto perché le banche rischiano di trovarsi ad affrontare problemi di ricavi mentre devono ancora risolvere quelli di patrimonio.
L’esame europeo in vista dell’Unione bancaria sta cominciando e l’incertezza è massima: secondo una simulazione pubblicata sul sito voxeu.org, la necessità di capitale per le banche europee oscilla, a seconda dei parametri di riferimento, tra 7,5 miliardi di euro (guardando il Core Tier 1) e i 66, 8 miliardi (considerando gli asset tangibili). Soldi che bisognerà trovare sul mercato, si spera, perché la rete di salvataggio europea da 55 miliardi è troppo debole e nascerà davvero solo tra 10 anni. Le banche più fragili sono quelle francesi. In Italia ci consoliamo dicendoci che 150 miliardi di sofferenze bancarie dimostrano la nostra severità contabile. Ma sono comunque un dato preoccupante.
Da ormai sei anni la storia è la stessa: finché le banche non fanno pulizia e non si ricapitalizzano, non ci sarà mai una vera ripresa ma soltanto una successione di bolle.
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