Ci risiamo. Mancano pochi mesi alle elezioni e di nuovo scatta
l’allarme. La sinistra deve aver voce istituzionale, l’Europa ha bisogno
di un vero cambiamento, dobbiamo fare qualcosa per evitare i fallimenti
del 2008 e del 2013.
Eppure, a dispetto di questi fallimenti la sinistra esiste. Le idee, come ha detto Gilioli , non mancano. Non mancano neppure le personalità, da Rodotà a Landini. C’è pure un popolo, seppure apolide, quello che ha riempito tante piazze, a cominciare da quelle romane, durante le manifestazioni del 12 e del 19 Ottobre. Non si riesce però a trasformare questa base sociale in prassi politica quotidiana. Anzi, sembra proprio che si remi in direzione opposta. Ci si domanda ora, in Gennaio, come passare lo sbarramento delle elezioni europee. Il motivo è alto ma i modi sembrano opportunistici: ci ricordiamo solo ora, con 4 mesi a disposizione, che ci sono le elezioni? Vogliamo dare voce ad una Europa nuova, vero, ma lo si fa solo quando si va a votare? Ed in questo anno cosa abbiamo fatto? Quasi nulla, ad esser sinceri. E dire che le occasioni non sono mancate: il risultato elettorale, il caos del Quirinale, il governo tecnico. Tutti a guardare, inorriditi, ma completamente immobili.
Sembra di rivivere il 2012: governo tecnico, PD con PDL, austerity, riforma Fornero, e la sinistra che fa? Nulla. SEL col PD, a prescindere, gli altri che 2 mesi prima delle elezioni provano a mettersi insieme, a tempo abbondantemente scaduto, con una lista elettorale, non politica. Un disastro, che sembra vogliamo ripetere. Cerchiamo di sopperire alle nostre mancanze con una scorciatoia dell’ultimo minuto. Una lista per Tsipras, chiede Barbara Spinelli . Una lista di sinistra ma senza partiti. Anzi no, una lista che non deve neanche essere di sinistra, per Flores , vittima forse inconsapevole della sindrome post-Bolognina: vergogniamoci di quel che siamo e cancelliamo i nostri nomi, cioè cancelliamo anche la nostra storia. E poi, di nuovo, società civile contro partiti e partitini, una dicotomia fuorviante: come se i veri partiti non fossero anche fatti, soprattutto, di società civile, come se la società civile non avesse bisogno dei partiti per organizzarsi politicamente. Questo, in fondo, è quello che dice la nostra Costituzione che tanto difendiamo ma forse troppo spesso non capiamo.
Cosa facciamo? Una volta sognavamo la scalata al cielo, oggi certifichiamo l’ovvio, formazioni politiche rinchiuse in se stesse e una società civile che – al netto di una manifestazione di oltre 10 anni fa – non ha avuto il benché minimo effetto sulle fasi politiche che abbiamo attraversato. Da una parte e dall’altra siamo bloccati da atteggiamenti e tattiche sbagliate, accettando la logica della post-democrazia, per dirla con Colin Crouch. Partitini che sembrano gruppuscoli post-68ini, e una parte consistente, direi maggioritaria della sinistra che non sembra credere nelle forme organizzative della democrazia novecentesca, nei partiti per essere chiari. E che dunque rinuncia anche alla battaglia politica elettorale, se non in forme disordinate, tipo appunto liste dell’ultimo momento. E’ una sinistra che è capace di mobilitarsi su singole battaglie, dal NO TAV alla guerra, al lavoro (perdendo sempre per altro, anche se gloriosamente) ma che sembra volersi estraniare da un progetto di società più complesso e articolato, lasciando dunque le leve del potere ad altri, ai governi tecnici, all’Europa, ai mercati. Una sinistra che vuole essere gruppo di pressione, non avendo capito, forse, che le lobby si fanno con i soldi, i partiti con le idee e con i voti. Un atteggiamento che si riflette poi nell’atteggiamento anche di una classe dirigente che si ostina a voler continuare il proprio lavoro di sempre, sindacalisti, docenti, magistrati, giornalisti, convinta di poter innervare un cambiamento da quei luoghi, da quelle casematte del potere. Non rendendosi conto che la guerra di trincea di Gramsci la si può fare certo anche e soprattutto in quei luoghi, ma solo con la forza di una organizzazione politica radicata. Altrimenti diventa un lavoro di testimonianza, non di cambiamento. Insomma, quel che manca è il contenitore, il partito. Che forse non potrà più essere quello del vecchio PCI ma di cui non si può fare a meno. Si continua a dire no ad altri partitini, salvo poi rimpiazzarli con liste estemporanee. Nessuno vuole un altro partitino, ci mancherebbe, ma con uno sforzo di fantasia, sacrificio e abnegazione da parte di tutti, partiti(ni) e società civile insieme, si dovrebbe forse cominciare a pensare, invece, ad un partitone. Di sinistra.
Eppure, a dispetto di questi fallimenti la sinistra esiste. Le idee, come ha detto Gilioli , non mancano. Non mancano neppure le personalità, da Rodotà a Landini. C’è pure un popolo, seppure apolide, quello che ha riempito tante piazze, a cominciare da quelle romane, durante le manifestazioni del 12 e del 19 Ottobre. Non si riesce però a trasformare questa base sociale in prassi politica quotidiana. Anzi, sembra proprio che si remi in direzione opposta. Ci si domanda ora, in Gennaio, come passare lo sbarramento delle elezioni europee. Il motivo è alto ma i modi sembrano opportunistici: ci ricordiamo solo ora, con 4 mesi a disposizione, che ci sono le elezioni? Vogliamo dare voce ad una Europa nuova, vero, ma lo si fa solo quando si va a votare? Ed in questo anno cosa abbiamo fatto? Quasi nulla, ad esser sinceri. E dire che le occasioni non sono mancate: il risultato elettorale, il caos del Quirinale, il governo tecnico. Tutti a guardare, inorriditi, ma completamente immobili.
Sembra di rivivere il 2012: governo tecnico, PD con PDL, austerity, riforma Fornero, e la sinistra che fa? Nulla. SEL col PD, a prescindere, gli altri che 2 mesi prima delle elezioni provano a mettersi insieme, a tempo abbondantemente scaduto, con una lista elettorale, non politica. Un disastro, che sembra vogliamo ripetere. Cerchiamo di sopperire alle nostre mancanze con una scorciatoia dell’ultimo minuto. Una lista per Tsipras, chiede Barbara Spinelli . Una lista di sinistra ma senza partiti. Anzi no, una lista che non deve neanche essere di sinistra, per Flores , vittima forse inconsapevole della sindrome post-Bolognina: vergogniamoci di quel che siamo e cancelliamo i nostri nomi, cioè cancelliamo anche la nostra storia. E poi, di nuovo, società civile contro partiti e partitini, una dicotomia fuorviante: come se i veri partiti non fossero anche fatti, soprattutto, di società civile, come se la società civile non avesse bisogno dei partiti per organizzarsi politicamente. Questo, in fondo, è quello che dice la nostra Costituzione che tanto difendiamo ma forse troppo spesso non capiamo.
Cosa facciamo? Una volta sognavamo la scalata al cielo, oggi certifichiamo l’ovvio, formazioni politiche rinchiuse in se stesse e una società civile che – al netto di una manifestazione di oltre 10 anni fa – non ha avuto il benché minimo effetto sulle fasi politiche che abbiamo attraversato. Da una parte e dall’altra siamo bloccati da atteggiamenti e tattiche sbagliate, accettando la logica della post-democrazia, per dirla con Colin Crouch. Partitini che sembrano gruppuscoli post-68ini, e una parte consistente, direi maggioritaria della sinistra che non sembra credere nelle forme organizzative della democrazia novecentesca, nei partiti per essere chiari. E che dunque rinuncia anche alla battaglia politica elettorale, se non in forme disordinate, tipo appunto liste dell’ultimo momento. E’ una sinistra che è capace di mobilitarsi su singole battaglie, dal NO TAV alla guerra, al lavoro (perdendo sempre per altro, anche se gloriosamente) ma che sembra volersi estraniare da un progetto di società più complesso e articolato, lasciando dunque le leve del potere ad altri, ai governi tecnici, all’Europa, ai mercati. Una sinistra che vuole essere gruppo di pressione, non avendo capito, forse, che le lobby si fanno con i soldi, i partiti con le idee e con i voti. Un atteggiamento che si riflette poi nell’atteggiamento anche di una classe dirigente che si ostina a voler continuare il proprio lavoro di sempre, sindacalisti, docenti, magistrati, giornalisti, convinta di poter innervare un cambiamento da quei luoghi, da quelle casematte del potere. Non rendendosi conto che la guerra di trincea di Gramsci la si può fare certo anche e soprattutto in quei luoghi, ma solo con la forza di una organizzazione politica radicata. Altrimenti diventa un lavoro di testimonianza, non di cambiamento. Insomma, quel che manca è il contenitore, il partito. Che forse non potrà più essere quello del vecchio PCI ma di cui non si può fare a meno. Si continua a dire no ad altri partitini, salvo poi rimpiazzarli con liste estemporanee. Nessuno vuole un altro partitino, ci mancherebbe, ma con uno sforzo di fantasia, sacrificio e abnegazione da parte di tutti, partiti(ni) e società civile insieme, si dovrebbe forse cominciare a pensare, invece, ad un partitone. Di sinistra.
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