Proporzionale e democrazia. Chiamiamola “Perfectum”, è la legge della Corte Costituzionale. Dalla legge Acerbo alla legge Truffa: la storia repubblicana, i tentativi falliti (oggi riusciti) del furto democratico
Nell’esperienza
italiana, il proporzionale è la democrazia. Lo è sempre stato,
del resto. Quando esistevano davvero dei democratici, le loro
rivendicazioni fondamentali erano: suffragio universale
e sistema proporzionale. Non era un metodo elettorale come un
altro, ma una civiltà. Significava opporsi al sistema dei notabili,
dei maggiorenti che si riunivano al Circolo dei Nobili, nella
Loggia massonica o nell’ufficio del Prefetto, e designavano il
candidato per il collegio, che avrebbe ottenuto il consenso dei
possidenti e il sostegno delle autorità. Una minoranza che si
trasformava in maggioranza escludendo le classi popolari
o riducendo ai minimi termini la loro rappresentanza.
Era la rivendicazione naturale dei
partiti popolari con una visione nazionale (o anche
internazionale) che andasse oltre la ristretta dimensione
localistica, contro la piccola politica ridotta a pura gestione di
clientele e favori nel proprio collegio.
Nell’unica occasione in cui nel Regno d’Italia si votò con il proporzionale, imposto nel 1919 dalla situazione postbellica, dall’ingresso forzato delle masse nella vita dello Stato e voluto anche dall’unico presidente del consiglio che si fosse autodefinito “democratico”, Francesco Saverio Nitti, il mondo rivelato da quelle elezioni sovvertiva tutte le raffigurazioni ufficiali e usuali. Era un’Italia in cui socialisti e cattolici erano la maggioranza del paese, e i liberali una minoranza.
Nell’unica occasione in cui nel Regno d’Italia si votò con il proporzionale, imposto nel 1919 dalla situazione postbellica, dall’ingresso forzato delle masse nella vita dello Stato e voluto anche dall’unico presidente del consiglio che si fosse autodefinito “democratico”, Francesco Saverio Nitti, il mondo rivelato da quelle elezioni sovvertiva tutte le raffigurazioni ufficiali e usuali. Era un’Italia in cui socialisti e cattolici erano la maggioranza del paese, e i liberali una minoranza.
Contro quel mondo venne mossa una
guerra dura e spietata, sanguinosa, e la conquista del
proporzionale venne presto schiacciata. Ma va ricordato che nelle
elezioni del 1924 con la fascistissima legge Acerbo entrarono
comunque in parlamento il Psu con 5,90% e 24 deputati, il Psi,
5,03%, 22 deputati e il PCd’I, col 3,74% e 19 deputati. Ai
reazionari seri importava prendere a tutti i costi il premio di
maggioranza (con le buone e soprattutto con le cattive) ma non
c’erano le soglie di sbarramento all’8% o al 12% del bipolarismo
straccione del nostro tempo.
Dal 1945, con la conquista della democrazia e del suffragio realmente universale (maschile e femminile) il proporzionale divenne il naturale metodo di formazione del parlamento. Non si trova indicato nella Costituzione perché implicito nella Costituzione stessa e nei suoi principi ispiratori.
Dal 1945, con la conquista della democrazia e del suffragio realmente universale (maschile e femminile) il proporzionale divenne il naturale metodo di formazione del parlamento. Non si trova indicato nella Costituzione perché implicito nella Costituzione stessa e nei suoi principi ispiratori.
L’unico tentativo di stravolgere la
democrazia parlamentare fu l’approvazione nel 1952 della “legge
truffa”, definita tale per tre motivi: 1) non voleva assicurare
governabilità, ma spadroneggiamento, perché andava a chi aveva
già raggiunto la maggioranza assoluta; 2) era possibile da
conseguire solo per il blocco di centro, perché le opposizioni
socialcomuniste e fasciste non avrebbero mai potuto coalizzarsi;
3) e soprattutto dava un premio spropositato che consentiva alla
maggioranza di cambiare la costituzione a suo piacimento.
Fallito di misura quel tentativo, sulla civiltà del proporzionale
si è retta la Repubblica italiana nell’epoca delle sue maggiori
conquiste sociali, civili, culturali.
Preparata da una lunghissima
campagna rivolta all’opinione pubblica e da una vera e propria
demonizzazione della democrazia parlamentare, nel 1993 la forma
della Repubblica è stata cambiata surrettiziamente attraverso un
referendum demagogico che minava alla base la struttura della
nostra democrazia. Da allora i voti dei cittadini non valgono tutti
allo stesso modo. Il maggioritario ha scardinato il principio
della rivoluzione francese “una testa, un voto”.
Il popolo è stato convinto di eleggere direttamente un governo e un premier, nella “Costituzione reale” che si è sovrapposta alla Costituzione scritta. E’ una convinzione profondamente radicata, dopo vent’anni di maggioritario, di ideologia o addirittura di “religione” ad esso espirate. Un popolo di sudditi pensa che la democrazia consista nell’investire di un potere quasi assoluto un caudillo.
Tutti hanno potuto constatare il crollo verticale di credibilità e di rappresentanza che la politica ha vissuto negli ultimi vent’anni. Eppure persistono leggende radicatissime che demonizzano la “prima Repubblica”. C’erano troppi partiti, si dice. Erano mediamente sette: nulla a che fare con gli oltre quaranta raggruppamenti censiti all’epoca dei governi di Silvio Berlusconi. C’erano piccoli partiti, si dice. C’era qualche piccolo partito, dignitoso e pieno di storia, come il partito repubblicano di La Malfa: nulla a che fare con gli “amici di Mastella”, i “responsabili” di Scilipoti e via dicendo. Cambiavano troppi governi, si dice, vero, ma si dimentica la sostanziale continuità di un sistema politico che ha avuto pochissime svolte nell’arco della sua esistenza. Se si fosse voluto veramente ovviare a questo problema si poteva inserire in Costituzione il principio della sfiducia costruttiva, che garantisce la stabilità della più solida democrazia europea, quella tedesca, che era – con molte differenze — anche la più vicina al nostro ordinamento.
Il popolo è stato convinto di eleggere direttamente un governo e un premier, nella “Costituzione reale” che si è sovrapposta alla Costituzione scritta. E’ una convinzione profondamente radicata, dopo vent’anni di maggioritario, di ideologia o addirittura di “religione” ad esso espirate. Un popolo di sudditi pensa che la democrazia consista nell’investire di un potere quasi assoluto un caudillo.
Tutti hanno potuto constatare il crollo verticale di credibilità e di rappresentanza che la politica ha vissuto negli ultimi vent’anni. Eppure persistono leggende radicatissime che demonizzano la “prima Repubblica”. C’erano troppi partiti, si dice. Erano mediamente sette: nulla a che fare con gli oltre quaranta raggruppamenti censiti all’epoca dei governi di Silvio Berlusconi. C’erano piccoli partiti, si dice. C’era qualche piccolo partito, dignitoso e pieno di storia, come il partito repubblicano di La Malfa: nulla a che fare con gli “amici di Mastella”, i “responsabili” di Scilipoti e via dicendo. Cambiavano troppi governi, si dice, vero, ma si dimentica la sostanziale continuità di un sistema politico che ha avuto pochissime svolte nell’arco della sua esistenza. Se si fosse voluto veramente ovviare a questo problema si poteva inserire in Costituzione il principio della sfiducia costruttiva, che garantisce la stabilità della più solida democrazia europea, quella tedesca, che era – con molte differenze — anche la più vicina al nostro ordinamento.
E a proposito di sistema tedesco, va
ricordato come, nel suo totale analfabetismo istituzionale,
Matteo Renzi abbia dichiarato più volte che è inconcepibile che la
Merkel pur avendo vinto le elezioni sia stata costretta a fare
“inciuci” con le opposizioni. Ma si chiama democrazia
parlamentare, non è la “Ruota della Fortuna”, per governare devi
avere una maggioranza in parlamento, e anche prima delle ultime
elezioni la Merkel non aveva la maggioranza assoluta ma governava
assieme ai liberali, ora scomparsi dal parlamento. E non è vero che
“in tutto il mondo” la minoranza che prende un voto in più delle altre
si prende tutto il cucuzzaro, come ritiene il politico di Rignano
sull’Arno: questa assurdità esisteva solo nel nostro sistema
elettorale che la Corte ha dichiarato incostituzionale.
Oggi dalla fossa biologica del maggioritario si levano voci preoccupate di opinionisti che ammoniscono a non tornare nella “palude del proporzionale”. L’ideologia del maggioritario, con l’invocazione di maggiore governabilità a scapito della rappresentanza, ricorda ormai un alcolizzato all’ultimo stadio che invoca sempre più alcool di pessima qualità invece di provare a disintossicarsi.
Si usa dire, anche a sinistra, che il proporzionale renderebbe obbligatorie le larghe intese. Non è affatto vero: perché un sistema elettorale comporta scelte diverse da parte degli elettori, come si vide nell’Italia del 1919 (e come, in negativo, abbiamo visto nell’Italia del 1994), e un voto libero da assilli e ricatti di voto “utile” o coartato può finalmente rispecchiare il paese reale e dargli rappresentanza.
Certo questo sistema richiederebbe comunque intese come è nella normalità della democrazia parlamentare, e richiederebbe capacità di far politica, di trovare mediazioni, di dare rappresentanza alla complessità della società.
Temo che qui si aprirebbe una battaglia molto difficile, soprattutto a sinistra, dove la droga maggioritaria ha fatto perdere completamente la cognizione della realtà e dei rapporti di forza. Non riguarda solo il Pd, nato con una “vocazione maggioritaria” (che in genere è servita a creare maggioranze altrui), ma anche i cespuglietti subalterni che non sarebbero in grado di superare il quorum ma conducono vita parassitaria in simbiosi con l’organismo del partito maggiore.
Oggi dalla fossa biologica del maggioritario si levano voci preoccupate di opinionisti che ammoniscono a non tornare nella “palude del proporzionale”. L’ideologia del maggioritario, con l’invocazione di maggiore governabilità a scapito della rappresentanza, ricorda ormai un alcolizzato all’ultimo stadio che invoca sempre più alcool di pessima qualità invece di provare a disintossicarsi.
Si usa dire, anche a sinistra, che il proporzionale renderebbe obbligatorie le larghe intese. Non è affatto vero: perché un sistema elettorale comporta scelte diverse da parte degli elettori, come si vide nell’Italia del 1919 (e come, in negativo, abbiamo visto nell’Italia del 1994), e un voto libero da assilli e ricatti di voto “utile” o coartato può finalmente rispecchiare il paese reale e dargli rappresentanza.
Certo questo sistema richiederebbe comunque intese come è nella normalità della democrazia parlamentare, e richiederebbe capacità di far politica, di trovare mediazioni, di dare rappresentanza alla complessità della società.
Temo che qui si aprirebbe una battaglia molto difficile, soprattutto a sinistra, dove la droga maggioritaria ha fatto perdere completamente la cognizione della realtà e dei rapporti di forza. Non riguarda solo il Pd, nato con una “vocazione maggioritaria” (che in genere è servita a creare maggioranze altrui), ma anche i cespuglietti subalterni che non sarebbero in grado di superare il quorum ma conducono vita parassitaria in simbiosi con l’organismo del partito maggiore.
Basare tutte le obiezioni alla legge
elettorale sul tema delle preferenze (una particolarità
italiana che non esiste in quasi nessun paese europeo) rivela una
debole ipocrisia, laddove sono in gioco temi molto più seri e gravi:
rappresentanza della società, pluralismo politico, la stessa
sopravvivenza di una democrazia parlamentare e costituzionale.
Ma qui viene a galla l’equivoco che ha accompagnato tutte le
mobilitazioni dell’autoproclamata “società civile” contro il
Porcellum, che non si sono mosse contro lo stravolgimento della
rappresentanza e il maggioritario in sé, ma in nome del ritorno
al collegio uninominale dei notabili e degli accordi preventivi
tra piccoli e grandi partiti. Ed è incredibile che oggi in Italia
la battaglia di civiltà del proporzionale sia affidata al solo
Beppe Grillo.
Bisogna che qualcuno cominci a dire che non accetterà la legittimità di governi di minoranza, che i premi di maggioranza sono un furto di rappresentanza, che una legge elettorale che trasforma una minoranza in maggioranza è comunque una truffa, qualunque nomignolo latino si voglia dare a questo sopruso. I due partiti che si mettono d’accordo per spartirsi il parlamento ed escludere milioni di cittadini dalla rappresentanza mettono assieme soltanto il 45% dei voti espressi: non possono pretendere di ritagliarsi un sistema elettorale su misura che escluda il resto del paese.
Bisogna che qualcuno cominci a dire che non accetterà la legittimità di governi di minoranza, che i premi di maggioranza sono un furto di rappresentanza, che una legge elettorale che trasforma una minoranza in maggioranza è comunque una truffa, qualunque nomignolo latino si voglia dare a questo sopruso. I due partiti che si mettono d’accordo per spartirsi il parlamento ed escludere milioni di cittadini dalla rappresentanza mettono assieme soltanto il 45% dei voti espressi: non possono pretendere di ritagliarsi un sistema elettorale su misura che escluda il resto del paese.
Andiamo verso tempi difficilissimi,
forse drammatici, per tutta l’Europa e anche e soprattutto per il
nostro paese. Abbiamo bisogno di istituzioni che rappresentino
tutti i cittadini, che non escludano nessuno, che riattivino un
tessuto di solidarietà che è stato lacerato negli ultimi decenni.
Abbiamo bisogno di veri partiti e non di comitati elettorali
o formazioni personali, abbiamo bisogno di vera politica dopo
vent’anni di ubriacature dell’antipolitica.
Una legge elettorale l’abbiamo già, ed è quella disegnata dalla Corte Costituzionale. Chiamiamola Perfectum se è obbligatorio un nome latino. Si sciolgano le Camere e si vada a votare con quella: avremo un parlamento che rispecchia realmente il paese e che sarà l’unico legittimato a cambiare la Costituzione, nelle forme previste dalla Costituzione stessa.
GIANPASQUALE SANTOMASSIMOUna legge elettorale l’abbiamo già, ed è quella disegnata dalla Corte Costituzionale. Chiamiamola Perfectum se è obbligatorio un nome latino. Si sciolgano le Camere e si vada a votare con quella: avremo un parlamento che rispecchia realmente il paese e che sarà l’unico legittimato a cambiare la Costituzione, nelle forme previste dalla Costituzione stessa.
da il manifesto
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