domenica 19 gennaio 2014

"Sostegno a Tsipras per aprire una fase epocale in Europa e in Italia". Intervista ad Alfonso Gianni



Intorno al sostegno alla candidatura di Tsipras si è sviluppato in Italia un dibattito interessante. Qual è il tuo punto di vista?
Condivido innanzitutto il fatto che appena si è fatto il nome di Tsipras e di una lista che riprendesse i contenuti avanzati da Syriza si è creato subito un immediato interesse largo che va al di là della sinistra radicale in senso stretto. Ed è questo l’elemento di ottimismo politico che mi muove in questa iniziativa.
Sì, un interesse di settori non tradizionali rispetto ai temi sollevati.
La questione la vedo in questi termini. Noi avemmo un incontro come Alba, ospitati presso la sede del Prc, l’11 ottobre scorso con la delegazione greca che nella stessa formazione abbiamo rivisto qualche giorno fa. Ovvero, Papas, segretario politico, Panagoulis e Vassilys. Nel corso di quell’incontro abbiamo capito e ci siamo detti due cose, le stesse uscite qualche giorno fa: la prima, la lista da costruire in Italia non può nella maniera più assoluta ricordare l’insuccesso elettorale dei precedenti tentativi, Arcobaleno e Ingroia. Non deve apparire ed essere come la somma dell’esistente. Il secondo criterio è che, e questo interessa particolarmente i greci, la lista non solo non deve essere la somma ma deve andare al di là del perimetro concettuale della sinistra radicale. Che, insomma, ci possano essere delle componenti liberal, in senso anglosassone ovviamente. Proprio in quella cirocostanza, l’11 ottobre, venne fuori il nome di Barbara Spinelli, perché aveva già scritto delle cose su Repubblica indicando Tsipras come portatore di una nuova prospettiva in Europa. Dopo di che si è cercato di mettere insieme un gruppo di intellettualità che ha poi prodotto una lettera a Tsipras di sei intellettuali. Come era prevedibile fin dall’inizio questa operazione doveva fare i conti con il Prc e con alcune altre realtà organizzate.
Sì, ma anche la Sinistra europa ha avanzato una richiesta precisa in questa direzione.
Il congresso della Sinistra europea non era dirimente già da ottobre. Quello che sapevamo era che il dibattito era aperto per esempio anche alla candidatura di Melechon. Abbiamo atteso quindi per evitare la contrapposizione. E’ inesatto dire che la proposta per prima è venuta dal partito della Sinistra europea. Come ho ribadito nell’incontro con i greci, non possiamo chiedere l’adesione sulla base del Partito della sinsitra europa. Quello che possiamo dire è che Tsipras stili un programma essenziale come presidente della Commssione e che quello diventi il punto di riferimento. Questo secondo me è il metodo. Quello che ho suggerito nella riunione e su cui insisto è che è l’unica soluzione per uscire è una lista di cittadinanza e non circoscritta alla sinistra radicale. Si formi un Comitato promotore fatto sostanzialmente di intellettualità e che poi come si è già fatto si formi un Comitato di sostengo aperto a organizzazioni o a pezzi di organizzazioni. Ci sono infatti pezzi di Sel, che io sappia che, se non commettiamo errori, sono disponibilissimi a votare per Tsipras e non per Shulz. Lavorare di perfetto accordo innanzitutto per la raccolta delle firme e poi per la definizione delle candidature.
Con quali criteri?
La definizione delle candidature dovrebbe evitare personalità che hanno avuto incarichi istituzionali di rilievo come deputati e segretari di partito. E nuove, dal punto di vista dell’impegno politico. La mia opinione è che non conta la tessera. L’importante è che siano figure che in qualche modo non sono collocabili semplicemente solo nel perimetro della propria organizzazione. Insomma, personalità riconosciute a livello della società civile, che possano rappresentare un punto di riferimento per raccogliere voti nei settori meno tradizionali. Il superamento del quorum con le esperienze negative è tutt’altro che garantito.
Alcuni, come Flores D’Arcais non l’avevano posta così, anzi.
L’atteggiamento di critica nei confronti dei partiti da parte di alcuni è stato duro. E’ chiaro che occorre darsi da fare per tovare mecanismi nuovi in modo da scalfire l’astensionismo. Estremismi e fondamentalismi ci sono in entrambe le parti. L’ho scritto su Micromega, e non sono d’accordo con le accentuazioni di Paolo Flores d’Arcais eccessive e ingenerose soprattutto nei confronti della Sinistra europea. Occorre essere disponibili a rifondarsi in uno schieramento di sinistra più ampio.
Dal punto di vista dell’analisi economica, qual è il tuo punto di vista su euro e non euro?
Non è facile tradurre l’Europa delle monete in parole d’ordine comprensibili. C’è anche un’altro elemento da tenere in considerazione, e cioè che noi ci assumiamo la responsabilità di sostenere la battaglia di Syriza, che è stimata anche al 50% nel suo paese. Quindi, se Syriza dovesse diventare il primo partito in Grecia ci sarà sicuro la crisi del governo greco il che vorebbe dire una inversione di tendenza enorme sul piano politico perché finora c’è stato il prevalere di forze di destra o di sinistra, di cui hanno solo il nome.
Del resto, dalla Grecia potrebbe arrivare un segnale epocale e non meramente elettorale.
Giochiamo una tripla partita: ricompattamento unitario di una sisnitra diffusa; possibilità di un rafforzamento nel campo europeo, perché è esplicito che la lista si siederà nel Gue. E possiamo indirettamente favorire un capovolgimento nell’anello più debole, cioè nella situazione greca.
In concreto quindi?
La teoria della disobbedienza unilaterale non si capisce perché deve essere unilaterale. Voglio dire, non c’è ragione di buon senso potilico nella contrapposizione tra quelli che sono a favore dell’euro e quelli che vogliono uscire. Per quanto riguardare il campo della sinistra, non ha senso perché nell’immediato è posibile trovare un punto di convergenza sull’unica cosa realistica. E la cosa realistica è che è possibile mettere insieme un cambiamento almeno in Grecia. Mettere insieme una massa critica che non si limiti ai paesi del Mediterraneo per costringere la Merkel a una revisione sostanziale dei trattati, del ruolo della Bce, della politica degli investimenti comuni, degli eurobond e della cancellazione del fiscal compact. Questa è la cosa che si può fare immediatamente.
E se non riesce?
Sono per una minaccia collettiva, non unilaterale, di uscita dal sistema monetario. Per fare cosa? Per ritornare alle monete nazionali? No, perché è una uscita da destra. E avrebbe un impatto inflazionistico enorme sui ceti che vogliamo tutelare. Sono per portare avanti un discorso sul modello del bancor europeo, cioè riprendere l’elaborazione di Keynes del '43. Una moneta di scambio che non sostituisce le monete nazionali ma che serva nelle relazioni commerciali internazionali. La differenza tra l’euro come moneta unica, che non sta in piedi perché i dislivelli eocnomici sono forti, in moneta comune, cioè una noneta che pur tollerando le monete nazionali permette lo scambio tra i vari paesi. Una moneta così escluderebbe una delle fuzioni storiche del capitalsimo, quella della tesaurizzazione. Questo signifca modificare l’ordine monetario per come ha funzionato secondo i principi del capitalismo. Una moneta del genere avrebbe valore solo nella misura in cui non fa della tesaurizzazione un valore.

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