giovedì 23 gennaio 2014

O Tsipras o Renzi di Roberto Musacchio


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Era prevedibile ma vederlo realizzato è cosa che fa piacere: la candidatura di Tsipras a Presidente della Commissione Europea catalizza su di sé  attenzione e consensi. Se ne parla su tutti i giornali europei, da Le Monde al Guardian, tra l’altro in un Paese come l’Inghilterra dove non c’è nemmeno una formazione politica che faccia riferimento a lui. Ma sta anche sulle pagine del New York Times. E il sostegno gli arriva da ambienti politici e culturali vasti e variegati, da Balibar a Negri.Si dirà che si tratta di un ennesima versione della personalizzazione della politica, dominante in questa era di “politica debole”. Certo, anche questo è un rischio. Ma se guardiamo bene a ciò che ha dato forza alla sua figura, troveremo tratti del tutto diversi da quelli che abbiamo imparato a conoscere. Tsipras è fuori da molte delle categorie di questi pessimi anni. Non è un “vincente”, in quanto al contrario è espressione di un popolo non solo sconfitto ma anche colpevolizzato oltre misura. E infatti non è neanche un giustiziere proprio perché i giustizieri sono quelli della Troika che colpiscono con la spada sacra dell’austerità. Non è un venuto da “fuori” perché la sua storia è quella, travagliata e drammatica, della sinistra greca.
Certo è giovane, e questo è bene,  ma mi pare che ormai si stia palesando come anche questa condizione non sia esente da altre attribuzioni valoriali. In realtà Alexis è, in parte almeno, un “ritorno all’antico” cioè a quella connessione sentimentale tra una dimensione collettiva e una figura carismatica che ha rappresentato una condizione importantissima della funzione storica delle sinistre. Tanto più, e meglio, quando è stata capace di nutrire questa connessione con una politica condivisa e partecipata, consapevolmente agita. Lui dice di sé da aver imparato molto da Genova, e lo si vede. La sua lotta è una lotta di popolo che però vive in una dimensione generale; la sua formazione politica si è fatta partito rendendosi nel contempo agente sociale di resistenza; la sua dimensione è, appunto, la resistenza, dalla quale tentare l’”assalto al cielo” del governo e non il governo come surrogato della resistenza.La cosa che a me pare positiva del consenso che gli sta arrivando è proprio che una parte almeno di questa dimensione che un tempo avremmo definito politica viene percepita.
Non un leader salvifico ma una possibilità politica, incarnata in una leadership e in un sistema di forze. Per altro la sfida della dimensione europea chiama necessariamente ad una assunzione di responsabilità diretta. Tsipras non cambia l’Europa da solo ma chiede sostegno alla lotta del suo popolo e chiede che questo sostegno nasca dal rafforzare ciascuno la propria lotta.Per questo leggere gli elementi politici che Tsipras porta con sé è importante, ancor di più nel momento in cui si pensa di sostenerlo o, ancora meglio, di condividere la sua battaglia. Ci sono due errori speculari che andrebbero entrambi evitati. Una lettura settaria, per cui c’è un bollino DOC di appartenenza al club Tsipras. All’opposto un suo uso strumentale che prova ad appropriarsene a prescindere da quello che è il suo messaggio politico. Per altro entrambe questi due comportamenti avrebbero l’effetto di vanificare ogni azione positiva
Il successo della candidatura di Tsipras mostra già di per sé quale l’elemento, e il contesto, politico in cui si realizza. E’ quello di apparire, ed essere, con tutta evidenza l’unica alternativa a questa “Europa reale” che si manifesta a sinistra. Non solo, Tsipras dimostra che ci può essere una sinistra che si ponga, e sia percepita, come tale. Di fronte a lui la candidatura di Schultz è impallidita. E per altro ha assunto una sembianza assolutamente diversa da quando si è costruita la nuova grande coalizione in Germania e lui ne rappresenta comunque una espressione. Per altro che questa grande coalizione fosse assai prevedibile è del tutto evidente se si pensa a come la Spd abbia accompagnato tutte le politiche della Merkel. E che Schultz sia interno a tutto ciò era anche questo un dato disponibile visto che è ora Presidente del Parlamento Europeo in staffetta e con i voti dei Popolari. Non è pensiero astruso quello che immagina analoga possibilità, staffetta e condivisione del voto tra socialisti e popolari, per la Presidenza della Commissione. Non è scontato, perché mai la politica lo è, ma l’ostacolo a che ciò si realizzi non passa per Schultz ma, almeno in parte, per Tsipras. Per altro la condizione di Schultz non appartiene solo a lui, e al suo essere tedesco. Appartiene, purtroppo, all’insieme del Socialismo Europeo. Tutti i comportamenti fondamentali di questo aggregato politico sono stati interni ai diktat dell’Europa reale. Vale per i voti al Parlamento Europeo e vale per i comportamenti nazionali, dal Pasok all’Spd ad Hollande che arriva ora a risposare le più trite teorie neoliberali.
Non a caso dunque la candidatura di Tsipras nasce da fuori, e in alternativa, al socialismo europeo. Non per ragioni ideologiche, e settarie, ma per le condizioni materiali. Nasce infatti in ciò che si è ricostruito di una sinistra alternativa all’austerità e si diffonde negli ambiti più vasti che, per fortuna, questa lotta all’austerità la fanno. Così come la lotta di Syriza guarda al governo ma non ne fa l’elemento identitario. L’elemento identitario è l’alternativa all’austerità. La collocazione politica è la resistenza. Il governo è un terreno di lotta che chiede di cambiare l’intera Europa. E’ bene ricordare che Syriza ha subito uno scissione, quella di Dimar, Sinistra Democratica, consumata proprio sull’idea di quest’ultima di mettere al centro il rapporto col Pasok e quello col Governo. Conosciamo gli esiti di questa scissione, ridotta a piccolo partito e fallita nell’esperienza di governo. Mentre yriza faceva un balzo storico.
Ho detto queste cose per aiutarci a leggere anche la situazione italiana. Anche da noi, che viviamo una condizione devastata, la candidatura di Tsipras sta suscitando un’eco vasta e conseguenze politiche che potrebbero essere di rilievo. L’appello per una lista che lo appoggi, proposto tra gli altri da una figura di grande spessore come Barbara Spinelli, e che io ho sottoscritto, ha il merito di una lettura pienamente politica della sua candidatura, del contesto in cui matura e della prospettiva in cui collocarla. Contro l’Europa reale ma per un’altra Europa; contro le grandi intese che ne sono la condizione attuale; per una collocazione parlamentare, quella nel Gue, che corrisponda al dato di fatto non solo della collocazione di Tsipras ma di ciò che è la realtà politica dei comportamenti avuti rispetto all’austerità. Si può essere contro l’austerità ma stare con chi l’ha votata?
Il punto, per altro, non è solo di collocazione simbolica ma di lettura della realtà e di investimento sul futuro. Lo dico in particolare rispetto a chi ha fatto del “riaprire la partita” e del farlo attraverso il rapporto col PD e il governo elemento quasi identitario. A me questa impostazione pare ampiamente falsificata dai fatti. E’ materia sensibile perché oggetto della discussione di un corpo politico, quello di Sel, cui ho brevemente appartenuto, e che rispetto. Ma è anche materia che deve appartenere a tutti noi in una discussione pubblica che ci dobbiamo vista la situazione cui siamo arrivati. Che a me pare tra le più gravi in Europa. Dove il principale erede di quello che fu il Pci arriva ora con Renzi segretario a compiere due gesti insieme: entrare nel Partito socialista europeo e sferrare il più grave attacco alla democrazia rappresentativa che si sia avuto in questi anni di maggioritario. O si pensa che questi due gesti siano schizofrenici o se ne legge il contesto comune. E il contesto è appunto quello della costituente dell’Europa reale, quella dove il governo si fa governance, la rappresentanza è circoscritta e l’alternativa bandita. E dove i principali soggetti politici sono sussunti  ad apparati. Si dirà che ci sono momenti di resistenza anche interni a questi soggetti, e in particolare al Pse, ed è sicuramente vero. Ma ciò che è ancora più vero è che sono sempre più circoscritti ed inefficaci mentre il trend va in un’altra direzione. E che sempre più l’accento si sposta necessariamente su ciò che è fuori dal recinto anche per liberare chi ci è rimasto dentro.
Se pensiamo alla parabola italiana la cosa appare assolutamente evidente. Affidare al governo e al  rapporto col Pd il rilancio della sinistra e il cambiamento del Paese ha portato all’esatto contrario. Il governo ha agito ed agisce in piena sintonia europea, il Pd è arrivato da Bersani alla metamorfosi definitiva del renzismo, senza per altro dare segni di una vera resistenza interna, la sinistra è restata inefficace socialmente e politicamente ed ora è definitivamente minacciata dalla vergognosa riforma renzianberlusconiana. Si ha un bel dire che la colpa è di Grillo, del moderatismo o del settarismo. Se politica è previsione e organizzazione di forze per affrontare ciò che si pensa accada e per andare in una certa direzione, su tutti e tre i punti non si può sfuggire alla prova dei fatti. Né si possono rincorrere eventi e persone magari affermando un giorno che con Renzi si sente il profumo della Leopolda per poi  scoprire Tsipras ma pensando di poter continuare a stare dove si stava e a riprovare le stesse cose. Il mio discorso vuole essere l’opposto del settarismo proprio perché cerca il linguaggio della verità. Tsipras è l’idea della ricostruzione di un campo di forze, di una visione delle cose e di una prospettiva autonoma e alternativa a quelle esistenti. Quel campo di forze, quella collocazione non sono una gabbia ma una opportunità. Pensare che Tsipras sia forte non per quello che è ma malgrado quello che è, è ancor più che una presunzione immotivata data la differenza delle forze tra noi e lui,  un errore. Come è un errore guardare a quelle forze, quelle fuori dal recinto e da Bisanzio, come residui di un passato lontano quando sono assai più primi embrioni di una nuova realtà. Certo tutta da ricostruire, con una cassetta degli attrezzi del tutto nuova, ma decisiva e possibile.
Troppo tempo per altro si è perso. Dopo Genova non abbiamo saputo percorrere veramente quella strada. Ma anche dopo le sconfitte ci si è riorganizzati secondo vecchi percorsi. Quando sento oggi parlare di terre di mezzo penso a come ancora qualche anno fa questa definizione aveva un senso. Questo prima che la gelata dell’austerità e della troika tagliasse ponti e seccasse i germogli. Un conto erano i socialisti prima dell’austerità altro sono oggi, per le loro responsabilità ma anche per ciò che li ha resi essersele assunte. E discorsi diversi ma con elementi di analogia valgono anche per i verdi. Ad averla praticata a tempo quella terra di mezzo, magari partendo dallo stare sul proprio pezzo, si sarebbe forze allargata. Ma si è scelta la terra altrui, del governo e del cosiddetto centrosinistra.
Ma la politica è andare avanti. Ora c’è una nuova sfida possibile, quella di Tsipras e di un’altra Europa. Sarà vincente se la prenderemo sul serio e ci faremo cambiare da essa.

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