Il 1 gennaio del 1994,
vent’anni fa, come comparso dal nulla un esercito di straccioni, male
armati ma molto convinti ed organizzati, dichiarava guerra al governo
messicano ed occupava, dopo sanguinosi combattimenti, le principali
città dello stato del Chiapas nel Messico meridionale. Proprio nel
momento della “fine della storia” e del trionfo della globalizzazione,
nel giorno dell’entrata in vigore dell’accordo commerciale liberista fra
Messico e USA, gli ultimi degli ultimi, quegli indigeni da sempre
guardati con paternalismo e/o con disprezzo anche dalla sinistra
messicana, dimostravano, armi in pugno, che la storia non era affatto
finita e soprattutto di poter capire per primi cosa fosse veramente la
globalizzazione. Era la prima voce fuori da un coro inneggiante alla
globalizzazione come “opportunità”, come “progresso”, come nuova era di
“sviluppo”. Coro cui si aggiungevano entusiasticamente i partiti
dell’internazionale socialista concludendo il tragitto che li aveva
portati definitivamente dall’altra parte della barricata. Le ragioni
dell’EZLN, la simpatia che suscitarono in tutto il mondo presso coloro
che resistevano e una grande mobilitazione imposero una trattativa di
pace, che partorì un primo accordo firmato solennemente dal governo,
tutt’ora inapplicato. In quegli ultimi anni 90 l’EZLN disse e fece cose
tanto importanti quanto, spesso, incomprese e sottovalutate da una
sinistra intellettualmente pigra, che vedeva solo la superficie del
fenomeno. Gli zapatisti facevano una critica spietata delle armi e
dell’organizzazione militare, pur essendo guerriglieri per necessità, e
c’era contemporaneamente chi ci vedeva il mito della violenza come forma
suprema di lotta e chi ci vedeva la profezia della non violenza. Gli
zapatisti aborrivano la “solidarietà” dei ricchi verso i poveri, dei
sapienti verso gli analfabeti, dichiaravano di essere un sintomo e non
certo una “guida” e proponevano l’uguaglianza nella costruzione di una
lotta comune, e c’era chi, imperterrito, li descriveva come avanguardia
da seguire o come lotta periferica e arretrata da aiutare
compassionevolmente. Gli zapatisti parlavano con metafore e simboli
indigeni vecchi di millenni e c’era chi ci vedeva un “nuovo linguaggio”,
l’immancabile “nuovo modo di far politica” arrivando, senza senso del
ridicolo, ad imitare quel linguaggio in contesti dove risultava
ovviamente incomprensibile. Poi, negli anni 2000, arrivò la grande
“marcia” sulla capitale, e uomini e donne dell’EZLN, con il sostegno
deciso da tutte le comunità indigene messicane, parlarono con il loro
passamontagna nella sala dell’assemblea della Camera dei Deputati. Per
sfidare il nuovo Presidente Fox a mantenere la promessa solennemente
fatta di applicare l’accordo di pace firmato 5 anni prima. Di nuovo
furono traditi dal parlamento che all’unanimità negò quanto stabilito
negli accordi da pace. L’EZLN dichiarò di prendere atto
dell’impossibilità di ottenere alcunché con il dialogo e mise fine ad
ogni tipo di rapporto con la “sinistra” messicana, che si era dimostrata
tanto ansiosa di sfruttarne la popolarità quanto pronta a tradire al
momento opportuno, e che al governo in diversi stati, Chiapas compreso,
non aveva esitato a reprimere ogni lotta indigena nel sangue. Da quel
momento l’EZLN, tanto di moda sulla stampa progressista europea, sparì
dai mass media, tranne che per essere accusato, in occasione delle
successive elezioni di “favorire la destra”, di aver avuto una deriva
estremista e di essersi isolato. In realtà la vera svolta dell’EZLN è
stata poi sostanzialmente l’applicazione unilaterale, che dura
tutt’oggi, degli accordi di pace. Autogoverno delle comunità indigene
strutturato in una democrazia diretta e assembleare, con l’EZLN come
garante della difesa da militari e paramilitari e non come guida.
Occupazione e coltivazione delle terre di proprietà collettiva che la
“legge” aveva privatizzato. Autorganizzazione di istruzione e sanità.
Relazioni informali, anche se piuttosto complicate, con i governi
ufficiali locali (chiamati malgobierno) per i trasporti di cose e
persone e commercio dei propri prodotti agricoli e manifatturieri
attraverso reti non speculative e solidali. Le condizioni di vita delle
persone delle comunità zapatiste sono enormemente migliorate. Le
comunità hanno, fra molti errori, imparato ad autogovernarsi senza
leader e senza deleghe. Sembra la realizzazione di un’utopia, e in parte
lo è. Ma resta l’illegalità nella quale è costretta questa esperienza,
resta la continua aggressione dei paramilitari di tutti i partiti
ufficiali al potere nel Chiapas, a cominciare da quelli del Partito
della Rivoluzione Democratica, resta la spada di Damocle dell’intervanto
dell’esercito federale. Perché il petrolio, l’uranio, l’acqua, il
legname pregiato, la biodiversità e lo sfruttamento turistico delle
rovine Maya e delle bellezze naturali della Selva Lacandona sono tutte
cose promesse e in gran parte già vendute alle multinazionali,
soprattutto europee.
A quale sinistra interessa questa esperienza? Quali lezioni bisogna
trarne? Cosa e soprattutto quale è la sinistra in Messico? Attraverso
quale risultato elettorale, sondaggio o popolarità di un leader, si può
misurare l’importanza di questa lotta?
Queste domande e le relative risposte possono aiutarci a collocarci tutte e tutti nel luogo giusto indicato dal Sub comandante Marcos: in basso a sinistra.
Queste domande e le relative risposte possono aiutarci a collocarci tutte e tutti nel luogo giusto indicato dal Sub comandante Marcos: in basso a sinistra.
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