mercoledì 3 dicembre 2014

La questione immorale di Norma Rangeri, Il Manifesto

L’Italia non è sem­pre ultima.
Van­tiamo il pri­mato di un ex pre­si­dente del con­si­glio ai ser­vizi sociali per frode fiscale. E siamo stati messi sul podio dalla Com­mis­sione Ue sulla cor­ru­zione in Europa che stimò in 60 miliardi (più o meno il 4% del Pil) l’ammontare del valore di quella di casa (non cosa) nostra elen­can­done spie­ta­ta­mente le sin­gole voci (con­flitti di inte­resse, leggi ad per­so­nam, pre­scri­zione dei pro­cessi, col­lu­sioni tra poli­tica, impren­di­to­ria e criminalità…).

Dun­que non pos­siamo mera­vi­gliarci troppo se oggi abbiamo anche la Capi­tale del paese nelle mani di un’organizzazione mafiosa, «romana e ori­gi­nale» come spie­gano i magi­strati per distin­guerla dalle «mafie meri­dio­nali». Dopo due anni di lavoro, l’inchiesta coor­di­nata dal pro­cu­ra­tore Giu­seppe Pigna­tone, effi­ca­ce­mente bat­tez­zata «terre di mezzo», ci resti­tui­sce un qua­dro del malaf­fare romano che non rispar­mia nes­suno. Ex e attuali ammi­ni­stra­tori del Pd e del Pdl, cri­mi­na­lità dell’eversione nera, pezzi grossi delle aziende muni­ci­pa­liz­zate con inte­ressi nei rifiuti, nei cen­tri di acco­glienza degli immi­grati, dei campi nomadi, del verde pub­blico. Per un ven­ta­glio di accuse impres­sio­nante (estor­sione, usura, cor­ru­zione, false fat­tu­ra­zioni, rici­clag­gio, tur­ba­tiva d’asta).
In un paese fon­dato sull’evasione fiscale e sulla nega­zione dei diritti a chi lavora one­sta­mente, sol­le­vare la que­stione morale fa stor­cere il naso ai poli­tici e a gran parte della stampa nazio­nale (due terre di mezzo che si sosten­gono a vicenda). Ma i fatti hanno la testa dura e rimuo­vere quel che tutti sanno e tutti vedono non è una buona medi­cina. Come anche l’inchiesta di Roma dimo­stra, si tratta di un malaf­fare tra­sver­sale, che riguarda destra e sini­stra, che coin­volge i poli­tici di ieri e di oggi (vedi l’altro caso cla­mo­roso alla cro­naca in que­sto momento: quello dell’ex asses­sore pd al dema­nio, Di Ste­fano, pro­mosso al seg­gio par­la­men­tare). E rag­giunge tali livelli che nes­suno se ne può tirare fuori.
Natu­ral­mente è giu­sto evi­tare di scam­biare le accuse con le sen­tenze, ma fin dall’inchiesta mila­nese sul brac­cio destro dell’allora segre­ta­rio Ber­sani, Filippo Penati, ai più recenti scan­dali di Expo e Mose, fino alle cosid­dette “spese pazze” del con­si­glio regio­nale emi­liano, è evi­dente come la que­stione (im)morale attra­versi e coin­volga un sistema di potere che della poli­tica e delle isti­tu­zioni si è ser­vito, e si serve, per un uso di rapina delle risorse pub­bli­che. La que­stione (im)morale, in que­sto senso è que­stione politica.
Più la poli­tica diventa eser­ci­zio del potere, più le isti­tu­zioni si sepa­rano dai cit­ta­dini che dovreb­bero rap­pre­sen­tare. Più i par­titi diven­tano mac­chine elet­to­rali e i lea­der pro­dut­tori di mes­saggi, più le difese del corpo sociale si abbas­sano e la cosa pub­blica diventa preda di bande fame­li­che che divo­rano le risorse pub­bli­che tra­sfor­mando la con­vi­venza civile in una disca­rica morale.

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