domenica 2 dicembre 2012

"Cambiare si può", verso il quarto polo con un percorso aperto e partecipato di Fabio Sebastiani


I seicento posti del teatro Vittoria sono finiti in un batter d’occhio poco dopo le dieci e mezza, l’ora d’inizio di “Cambiare si può”. E molti, anzi moltissimi, sono stati costretti a “riunirsi” intorno agli altoparlanti in collegamento diretto, un po’ come si faceva con le radioline negli anni cinquanta per seguire le partite di “Tutto il calcio minuto per minuto”. Il “Cambiare si può”, “e si deve”, come hanno detto parecchi, inizia da qui, dai mille (più altri cinquemila che hanno seguito la diretta on line) che fuor di metafora hanno cominciato a dare una forma alla cosiddetta maggioranza. Più che uno sbarco è un varo, di un’arca. E per il momento punta a raccogliere se non proprio tutti gli esseri viventi di un paese giunto ormai allo stremo, almeno la maggioranza. E’ il suo bacino potenziale o, come direbbero, i pubblicitari, il target di riferimento. Per dirla, invece, con le parole dell’appassionatissimo intervento di Alessandro Gilioli, la maggioranza di un paese che non vuole i tagli al welfare e preferisce lasciare a terra senza problemi gli “F-35”. Una maggioranza che, appunto, un colore ce l’ha, ma non una forma, non una rappresentanza. Non la forma giusta, e in tempo utile, soprattutto, per partecipare alle elezioni lontano da quella condanna alla testimonianza che i disastri di questi anni sembrano propinarci. Si potrebbe accorciare i tempi con un leader? Nemmeno per sogno fanno capire dalla cabina di regia. “Magari un sindacalista o un magistrato”, dice Paolo Flores D’Arcais nel suo intervento. “Niet” da quasi tutti i 47 interventi che si sono succeduti fino alle cinque del pomeriggio.
Nella tabella di marcia del “Quarto polo” le elezioni sono solo un passaggio, sembra di capire. Il compito fondamentale è la ricostruzione di un blocco sociale e politico che rimetta in piedi qualcosa che il pensiero unico vuole escludere con tutte le sue forze non solo dal Parlamento ma anche dalla cultura e da tutti i luoghi in cui si prende una decisione o si esercita un confronto.
Ora l’avventura prosegue con gli appuntamenti nei territori, rigorosamente in forma aperta, e poi, entro la fine di dicembre, di nuovo con una assemblea nazionale. La base di partenza però sembra abbastanza solida: un no fermo a Monti, al centrosinistra, Vendola compreso, e a tutti i sostenitori di un’Europa che ci ordina sempre di fare qualcosa. La discriminante è abbastanza netta. Tanto che ad un certo punto, da chi quell’esperienza l’ha fatta,si possono udire dal palco parole molto critiche nei confronti di “Sinistra ecologia e libertà”. E a chi cerca di tenere aperto un confronto, come Lucarelli, viene riservata una accoglienza piuttosto fredda. E’ vero, quasi la metà della platea è vicina a Rifondazione comunista. Ma il peso della sconfitta alle primarie pesa non poco. Del resto, come dice Andrea Morniroli, il rischio di passare dal “Cambiare si può” al “Cambiare per finta” è abbastanza reale. E va evitato. Anche se mai come in questo momento alcune solide esperienze di movimento come l’”Acqua pubblica” e il filone del “No Tav” - le uniche in grado di non imbalsamare “padroni” – rappresentano un punto di riferimento molto valorizzato, non si può cedere a quella filosofia del “raccogliticcio” (Dino Greco) che sul lungo periodo rischia di inaridire il percorso in cambio di cartelli politici smaglianti. Insomma, occorre ripartire da quei “moderati sovversivi” (Domenico Finiguerra) che oggi più che mai hanno in testa la Costituzione della Repubblica italiana e mettono un punto fermo sul lavoro e sull’occupazione, ma non a tutti i costi, come dice il sociologo Luciano Gallino nel suo intervento video. Occorre ripartire da quella società civile che ora è chiamata realmente a contrastare i tagli al welfare e da quel mondo del lavoro che ora realmente è chiamato a far pagare la crisi ai padroni. C’è molto di concreto in tutto questo. E verrebbe la voglia di dire: finalmente. Marco Revelli, nel suo intervento conclusivo dice: “Usciamo da qui con il risultato di aver sconfitto la diffidenza”. E non è davvero poco.
Per Paolo Ferrero, che ha seguito l’assemblea per tutto il tempo, la valutazione è positiva. “C’è un quarto polo antiliberista”, dice. “Ed è positivo che da qui parta un percorso partecipato e aperto nei territori”.

La mossa arancione
Daniela Preziosi, Il Manifesto
«Il ventennio berlusconiano ci ha lasciato le macerie delle leggi ad personam. L’Italia è come il Guatemala». E chi altro potrebbe dire una roba così, se non il pm Antonio Ingroia, fra gli applausi del teatro Vittoria, «un paese a sovranità limitata, con le reti criminali che ne considizionano l’economia. È questa la vera anomalia italiana». All’assemblea della campagna Cambiare si può – l’appello dei 70 per far nascere le liste arancioni, primi firmatari Gallino, Pepino e Revelli -, convocata alla vigilia delle primarie con ostentata noncuranza verso il vincitore, sono arrivati in mille da tutta Italia. Nello storico teatro di Testaccio si fanno i turni per entrare, il dibattito è amplificato per chi resta fuori sotto l’acquazzone. Lo diciamo subito, quello del magistrato palermitano non è un intervento fra gli altri. Applausi quando sale sul palco, molti in piedi. Il teatro viene giù quando conclude «io non mi sono mai tirato indietro, sia al palazzo di giustizia di Palermo che fuori. Io sarò con voi, dal Guatemala o dall’Italia». Ingroia è il corteggiato speciale del movimento arancione. Per una candidatura o anche meglio la leadership del futuribile quarto polo. E lui dice sì, o quasi, «la vostra iniziativa è lodevole e necessaria, cambiare si deve, dico di più: si può». Si fa avanti, aderendo al progetto di democrazia radicale, «non serve un salvatore della patria», ai toni anticasta e anti borghesia criminale, «l’antimafia italiana ha avuto come principio il contenimento delle mafie, la politica ha tutelato questo principio per tutelare i legami che aveva con la mafia», «bisogna progettare un politica che abbia l’ambizione di eliminare la mafia, ma non può farla questa classe politica», intendendo quella uscente e anche quella rientrante. Scende dal palco rincorso dagli applausi, dalle strette di mano e dai cronisti: lascerebbe già il suo incarico in Guatemala?, «Non è escluso, tutto è possibile». Intanto una firma ce la mette: sul referendum per il ripristino dell’articolo 18 e per la cancellazione dell’art.8 della legge Sacconi.

De Magistris: autonomi o alleati
Ripartiamo dall’inizio. Perché non è di leadership che si discute, per sette ore senza interruzione, 47 interventi su 220 richieste. Piuttosto di organizzazione, per non evaporare come successe ai girotondi. Fin dall’apertura Livio Pepino dà gambe al progetto, lanciando i «Cambiare si può day» per il 15 e il 16 dicembre. La strada è «unire tutte le forze anticapitaliste» (Antonio De Luca, uno dei 19 operai reintegrati di Pomigliano, altro papabile candidato), «praticare una rivoluzione pacifica di massa, rifondare la democrazia» (Paul Ginsborg, che invece annuncia di non volersi candidare). Dal palco arriva la voce No Tav di Gianna De Masi, quella «No Triv», no alle trivelle, di Guido Claps, fratello della giovane Elisa, uccisa dalla mafia basilisca (uno dei firmatari dell’appello è don Marcello Cozzi, responsabile di Libera in Basilicata e braccio destro di don Ciotti), degli insegnanti (Roberta Roberti, Parma), studenti, medici, l’attore Moni Ovadia, l’economista Giuseppe De Marzo (A sud): tutte le sfumature dell’antimontismo, dall’arancione al rosso di Prc e di Sinistra Critica. In platea voti noti e non, ex lontani o vicini da sempre: l’ex dipietrista Elio Veltri fa una puntatina, il regista Citto Maselli ascolta tutti dall’inizio alla fine.
Fino all’atteso Luigi De Magistris, l’unico sindaco arancione doc che l’assemblea riconosce. Il 12 dicembre a Roma presenterà la sua lista, ci saranno «un veneto attivista contro il nucleare, un siciliano contro il Ponte sullo stretto, un campano contro le discariche». Deve spiegare l’apertura all’alleanze con il centrosinistra, prima o dopo il voto, dichiarata in un’intervista al manifesto. In effetti qui gli appelli a rivolgersi anche a chi ha partecipato alle primarie – gli elettori di Vendola – sono tanti (tra gli altri, Tiziano Rinaldini), ma altrettante le scomuniche: «Una cosa è certa, chi ha firmato la carta d’intenti non sta con noi», dice l’assessore di Napoli Alberto Lucarelli.Eppure il giurista Ugo Mattei, fra i promotori dei referendum sull’acqua del 2011, ha appena svolto l’argomentazione opposta. De Magistris mette insieme tutto: «Le nostre idee sono maggioranza nel Paese. Se vogliamo combattere per vincerle, le elezioni, io ci sto. La sfida è battere le massomafie, realizzare la rivoluzione governando». Quanto alle alleanze «credo nell’autonomia, e con il centrosinistra così com’è ora non mi alleo». E però: «Non mi interessa il diritto di tribuna». Ai cronisti, poi, deve spiegare ancora: «Vendola e Bersani non sono nemici. Vorrei una legge elettorola con le preferenze e l’indicazione della coalizione».

Roma, partiti, e soggetto nuovo
Ieri Cambiare si può ha presentato una traccia di programma di governo, 25 punti dai bene comuni al taglio degli F35, alla difesa della scuola e della sanità pubblica. Ma c’è ancora strada da fare. Intanto nei rapporti interni. «Diciamocelo chiaro: qui non comandano i partiti, no alla riedizione della Sinistra Arcobaleno», si appassiona il toscano Massimo Torelli (Alba). Di quella nomenklatura in sala c’è qualche dirigente Sel in sofferenza (Alfonso Gianni, vicino a Fausto Bertinotti). Ma c’è il Prc al gran completo, dal segretario Ferrero a tanti militanti. Parlano dal palco (non Ferrero) ma a nome di altre militanze (No debito, Social forum). C’è chi chiede un passo indietro comunque. E chi dall’altra parte trattiene il malumore, è un po’ una beffa essere mescolato nel calderone della casta per il solo fatto di aderire a un partito, benché antimontiano, anticapitalista e movimentista. «Siamo lungimiranti», tranquillizza l’ex senatore Giovanni Russo Spena. Il problema non si porrà, se la legge elettorale consentirà a ciascuno di fare le sue liste, per poi unirsi in coalizione. Se no, se ne discuterà. Intanto è già partita la prima lista arancione alle amministrative di Roma. Il candidato è Sandro Medici, «la mia è un’esperienza che sta dentro quest’assemblea».
Anche la partenza verso le politiche è cosa fatta, alla fine un voto lo sancisce. Anche se alcuni saggi consigliano di non precipitare. Così Tonino Perna: «Per insegnare a nuotare a un bambino piccolo non lo butta all’improvviso nell’acqua». E sociologo Marco Revelli, in conclusione: «I ‘Cambiare si può day’ saranno una consultazione nei territori. Ci rivediamo entro dicembre e valutiamo com’è andata». Per vedere se il quarto polo davvero si può.

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