di Alessandra Quarta e Andrea Aimar
Se è vero che le elezioni segnano il tempo della politica, è chiaro che oggi manca il senso del ritmo. Restare all’ascolto nel tentativo di produrre una diversa melodia obbliga, però, a percorrere una strettoia, schiacciati tra ininfluenze e necessità, tra l’esigenza di forzare le compatibilità del centrosinistra e la ricerca di soluzioni che manifestino l’alterità all’agenda Monti. Quello che adesso servirebbe è, invece, la testimonianza di una differenza che riesca ad influire su scelte importanti, offrendo risposte alla crisi.
Il modesto risultato ottenuto da Vendola alle primarie testimonia che il tempo di una certa politica è segnato. È una lezione per quelli che lavorano nel cantiere dell’alternativa al di fuori degli schemi del centrosinistra. Da un punto di vista culturale, i temi portati da Vendola nel dibattito del centrosinistra non sono stati percepiti come una possibilità di cambiamento reale e non per i contenuti, che intercettano le sensibilità del Paese, ma per il contesto entro cui sono stati collocati, solo fintamente fuori dal montismo.
È necessario interrogarsi sulle modalità di trasmissione di temi e vertenze che nei movimenti si sono ormai affermati con forza, ritagliandosi uno spazio nella società che deve adesso trovare anche una rappresentanza parlamentare. Uno spazio che, tuttavia, non deve essere il risultato della sommatoria delle diverse forze politiche che, condividendo una strategia ed un progetto di società, si contendono il panorama politico in modo fratricida. È necessario superare le distanze tra quanto si muove nella società e quelli che sono chiamati a rappresentarla: in altre parole, è fondamentale oggi legare con una cinghia di trasmissione le battaglie sociali alla politica, costruendo un percorso che marci sulle due indispensabili gambe delle pratiche sociali e della rappresentanza.
La scia che va seguita è da una parte l’esperienza referendaria del 2011, dove un’ampia coalizione sociale ha reso naturale il collocarsi sullo sfondo dei partiti e, dall’altra, la vittoria “arancione” di De Magistris a Napoli, che ha dato torto ai tentativi di posizionamento e di alleanze elettorali dettate a tavolino da una dirigenza distaccata dalla politica vivente, incapace di riconoscere i propri errori, come del resto la stessa esperienza nelle primarie di Vendola dimostra.
Nel cercare la via d’uscita, però, bisogna essere concreti, convinti di non ridursi a mera testimonianza. Vengono in mente i dodici professori universitari che nel ’31, si rifiutarono di giurare al fascismo. Non cerchiamo la sola testimonianza non basta, ma la strategia per innescare il cambiamento. In attesa di capire con quale legge elettorale andremo al voto, è indispensabile tenere viva una rete tra le forze politiche e sociali che si sono opposte al montismo, approfittando di piccoli spiragli attraverso i quali scardinare il sistema. Il «no alla casta» e alle dinamiche corrotte della politica che abbiamo conosciuto non devono produrre un rifiuto non propositivo, ma rappresentare un momento costituente di un nuovo spazio che sappia poi produrre contributi per segnare il cambiamento. Dalla battaglia per il lavoro a quella dei beni comuni, bisogna riscoprire la buona politica, di cui sicuramente c’è bisogno, perché cambiare si può, anzi si deve.
il manifesto 2.12.2012
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