David Harvey ascolta silenzioso, quasi immobile e senza
prendere mai un appunto (ma questo non gli impedirà di rispondere
puntualmente a tutte le domande che gli saranno rivolte), il racconto di
alcune delle pratiche di cittadinanza che - siamo al Valle durante la
terza giornata della settimana di discussione denominata “lotte
spaziali” (27/28 settembre) - danno vita alle altrettante forme di
resistenza che disegnano oggi il paesaggio urbano del nostro paese.
Non parlerà mai del
suo libro appena tradotto in Italiano “Città ribelli”, né, intervenendo,
farà mai riferimento a qualche suo testo. Non c’è il banchetto con
copie e l’ufficio stampa dell’editore non si vede. “Sono qui - dice -
perché mi piace parlare con gli attivisti dei movimenti sociali”. Sono
in tanti oggi: attivisti, ricercatori ed artisti a raccontare storie di
ordinaria resistenza. Di teatri occupati (il Rossi a Pisa) in una città
che trasforma la presenza studentesca in altrettante prove di
indebitamento personale quale lubrificante del sistema; di una Roma
meticcia presente nell’occupazione abitativa in una grande fabbrica
dismessa (Metropoliz); di un Cinema (Palazzo a Roma) capace di farsi
territorio in un quartiere preso di mira dalla febbre edilizia della
finanzia; di un’esperienza come Macao (Milano) e della forza che hanno
saputo sprigionare opponendo la costruzione artistica della città contro
i mostri di acciaio e vetro di un voracissimo pescecane immobiliarista,
ed anche della relativa capacità di costruire nuovi linguaggi e nuovi
immaginari; l’invenzione di un altro quotidiano all’interno di una
struttura abbandonata e fatta marcire dall’istituzione universitaria di
una città meridionale (Napoli Mezzo Cannone). Poi siamo al Valle e viene
naturale parlare di quest’esperienza, delle pratiche del comune dentro e
fuori l’Europa, di questo spazio liberato e insieme raccogliere
l’invito a chiedersi di mettersi in gioco con le lotte e l’arte per
abitare le città, facendo della la cittadinanza il campo d’azione e non
lo status.
Immediato il corto
circuito con David Harvey perché, quasi una auto-presentazione dice:
“sono interessato ai processi di urbanizzazione, a come si organizza la
vita quotidiana, per mio conto cerco di studiare e capire i contesti
entro cui tutto questo avviene. Lo dico subito: non so cosa debba essere
fatto, e qualsiasi cosa facciate, per me è giusto, voi sapete cosa
fare, io vi convalido tutto”.
Un parlare durato un
paio di giorni (il giorno seguente era al Palazzo in una serata in cui
domandarsi di come l’arte attraversa lo spazio urbano e indagare, anche
attraverso film e documentari, le vite e gli spazi oltre la metropoli)
che abbiamo cercato di riportare, anche se in forma assolutamente
parziale, mettendo insieme le sue riflessioni, le sue emozioni (colte,
magari, visitando le “case a ballatoio” di San Lorenzo), le sue domande.
Un parlare attraversando gli spazi del conflitto.
***
Ci è capitato di
vivere in una fase di cambiamento e a cambiare è il capitalismo. Cambia
anche la nostre vita. Il capitalismo è flessibile, le privatizzazioni
modificano la vita quotidiana. Avveniva anche negli anni 70. Anche
allora parlavamo di privatizzazioni, ma non avevano assunto quella
dimensione e quella forma che hanno ora. Del resto, lo sappiamo bene, il
capitalismo muta continuamente. Il suo punto di forza è l’adattamento.
Anche noi, per resistere, dobbiamo imparare ad essere flessibili. Sta
avvenendo. Sta nascendo un nuovo modo di fare politica. Nuove forme
politiche si sommano a nuovi immaginari. Nuove lingue, nuovi scenari.
Sono le nuove forme di opposizione. Come non pensare a quel che succede
in America Latina?
Quali sono oggi i
problemi del capitale? come ci possiamo opporre? Dunque: se il capitale è
debole ed adattabile questo non vuol dire, come pensano alcuni, che si
possa riformarlo. Insomma, che si possa renderlo più umano. Sta a noi
fare qualche cosa ad iniziare dal chiederci perché i movimenti sono così
necessari.
In questo periodo
sono alle prese, sto studiando, quali sono le contraddizioni interne al
capitale. Se il capitale cadrà quali sono le contraddizioni in gioco? Io
fin’ora ne ho prese in esame 17, ma - tranquilli- non vi parlerò di
tutte, mi concentrerò sulle due che considero fondamentali. Non che le
altre lo siano da meno, per esempio la contraddizione con la natura; mi
interessa, con voi, parlare della crescita composta esponenziale del
capitale e dell’alienazione.
Cosa intendo quando
parlo di crescita composta? Il capitale, crescendo del 3% annuo in forma
esponenziale dal 1820, produce la sua prima crisi quando, nel 1917,
diviene ingestibile; non sapeva più cosa fare. Non riusciva a crescere.
Sappiamo che è una macchina infernale progettata per crescere e non
fermarsi mai. E’ successo ancora negli anni 30, al tempo della
Depressione era scomparso il mercato. Non si trovarono soluzioni. Poi
arrivò la guerra e la macchina bellica assorbì il mare dei profitti
eccedenti. Ed oggi? Per mantenere in futuro una crescita al 3% sarebbe
necessario investire 5 trilioni di dollari in settori che diano rendita.
Ma la crescita composta presenta limiti evidenti; quando si scopre di
non riuscire più a produrre oggetti da consumare subito. Si è trovata la
soluzione disconnettendo il denaro dalle riserve auree.
E’ il 1990 quando la
Federal Reserve ha creato denaro facile, prefigurando una crescita
infinita. Prima, sto pensando ai servizi di cucina dei miei nonni, le
posate in argento Sheffield erano oggetti che, oltre essere un bene,
avevano valore. Oggi per avere surplus il capitale deve creare, al
contrario, oggetti che perdono valore. Che cosa provoca questo nella
vita delle persone? la figura di consumatori compulsivi. Questo è
evidente nel caso della moda come negli anni 70, con l’esplosione della
produzione e consumo di occhiali.
Oggi si investe non
nella produzione di beni, ma in strumenti del denaro e in “beni
volatili”. Come non guardare a quello che accade negli Stati Uniti in
materia di diritti di proprietà intellettuale? L’economia mondiale è
avulsa dalla produzione. I profitti crescono a danno delle persone. A
New York per esempio la diseguaglianza del redito procapite è
polarizzata. L’1% della popolazione guadagna 3,5 milioni di dollari
l’anno mentre il 50% di essa è inchiodata ai 30 mila dollari. Questo ha
modificato lo stesso paesaggio urbano della città. Manhattan è oggi un
insieme di “ghetti” per super ricchi, i prezzi degli immobili sono in
costante crescita. Continui sono i fenomeni di abbandono di chi è
costretto ad andare ad abitare verso luoghi distanti anche un paio d’ore
dal centro città. Oltre 50 mila persone sono senza tetto alcuno.
Il fenomeno Occupy
nasce anche da questo. Sappiamo come è andata a finire: una feroce
repressione con molti arresti. Era il Sindaco stesso a dir di arrestare
tutti i dimostranti. Mi pare di capire che questo, da quello che sento,
da voi non succede. Mi stupisco perché avviene ovunque. Mi chiedi che
penso della violenza? Non ne sono un fautore, anche se credo che sia
necessaria. Se mi colpiscono, colpisco a mia volta. Occupy è stato un
movimento capace di parlare a tutti: tra le sue richieste poneva la
casa, la scuola, la sanità come diritti riconosciuti e non soggetti al
capitale. E’ quello che succede con l’ istruzione dove gli studenti sono
costretti a contrarre debiti, per poter frequentare le scuole, che non
riusciranno mai a togliersi di dosso.
Un fenomeno che fa apparire immediato il dilemma del capitale: cosa farebbe se non ci fosse il mercato finanziario?.
La crisi del 2007 ha
fatto diminuire la crescita nei paesi occidentali, ma ha compensato con
quella dei paesi emergenti. Su scala globale la crescita è rimasta
ancorata al 3% facendo pagare un pesante prezzo alla vita delle persone.
In Cina, per esempio, si sono costruite nuove città, un’urbanizzazione
selvaggia, con case che restano vuote e con forme d’inquinamento sempre
più pressanti. La Cina ha scelto di assorbire il “di più” di capitale
prodotto costruendo infrastrutture, ferrovie, grattacieli che, tutte
insieme, fanno città fantasma. Ora deserte. Destinate a restare tali. Mi
chiedo come potrà il capitale continuare ad assorbire nell’immediato
futuro questa crescita? ancora puntando su fenomeni di urbanizzazione?
Qui, a San Lorenzo, state parlando di sub-urbanizzazione; di un
quartiere ostaggio dell’istituzione universitaria, ma potrà continuare
all’infinito con l’indebitamento delle famiglie degli studenti, di
stanze misurate solo per “ posto letto”?
Amo vivere a New
York , andando in giro, sì anche ascoltando quello che si dice nei bar.
Studio nelle strade come vivere nella città dove nascono i feticci del
capitalismo. E’ fantastico vivere in questa città dove vedi questo e ti
appare evidente come il problema sia proprio nel rendersi conto del
degrado ambientale e della diseguaglianza sociale.
La seconda
contraddizione che sto analizzando è l’alienazione prodotta dal
Capitale. I lavoratori che erano orgogliosi del loro “fare” non ci sono;
oltre il 70% di loro odia il proprio lavoro qualunque sia il settore
che li vede impegnati; questo avviene non solo nelle fabbriche. Il
processo produttivo non è più controllato dai produttori creando così
una duplice forma di alienazione: attiva, a cui corrisponde un
esplosione di violenza fino ad arrivare alle rivolte in molte città;
passiva che la da vinta alla rassegnazione. Si contamina però anche il
mondo dei consumatori che non trovano più le soddisfazioni ricercate nel
possesso dei beni. C’è, poi, alienazione nel mondo della politica dove
sempre una maggiore massa di cittadini avverte la mancanza di
democrazia. E’ il capitale a volere persone alienate.
Tutto questo avviene
nelle città che, al tempo stesso, individuano l’antidoto rappresentato
dai movimenti sociali urbani che costruiscono modi di vita non alienati.
Se serve la rete? Mi pare che sia servita ed anche bene nelle rivolte
di questi ultimi tempi dove un ruolo sembrano aver avuto proprio questi
nuovi strumenti di comunicazione. Io non sono un fanatico, anche perché i
miei studenti mi hanno avvertito che il mio sito non può certo
competere con quello organizzatissimo dei miei avversari di “ destra”.
Insomma sono per usare questi strumenti non per mitizzarli.
Ma come vogliamo
vivere? Eliminiamo il capitalismo. E’ un sistema in fallimento, ha
mostrato il suo volto, conosce solo la repressione. Ci troviamo sulle
sue rovine. Ci chiediamo come le soggettività costruiscono lo spazio
comune. Noi vogliamo la crescita zero e, quindi, una diversa produzione e
consumo: costruire nuove persone intorno nuovi valori. Pensiamo ad
Henry Lefebvre quando ci aiutava a scorgere il nuovo che c’è in alcune
utopie, a non farci risucchiare nelle pratiche dominanti, ma dalla
pratica della vita quotidiana. La natura del capitale è il possedere.
Noi vogliamo vivere in città diverse perché vogliamo essere persone
diverse, con relazioni sociali diverse, con rapporti con la natura
differenti. Vogliamo avere anche valori estetici per riprenderci lo
spazio pubblico e con questo la città.
Per questo vi
ringrazio per essere con voi: con voi attivisti, ricercatori ed artisti.
Sono con voi in uno spazio occupato in questo quartiere che mi avete
detto essere stato ed essere resistente. Sono con voi al Valle Occupato,
un luogo non invaso dai barbari.
di Rossella Marchini e Antonello Sotgia, Dinamopress.it
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