Legge elettorale. A prima lettura, le tre proposte di legge elettorale avanzate da Renzi sono volte a un bipolarismo blindato e al controllo delle camere da parte dell’uomo solo al comando
Renzi accelera. Ma per andare dove? L’infelice battuta su Fassina è un passo falso del nuovo segretario, e un momento di verità sul Pd e sul suo gruppo dirigente. Che mette subito ai blocchi di partenza la legge elettorale.
Tre le proposte: un Mattarellum modificato, con il 75% di collegi uninominali maggioritari, 15% di premio di maggioranza, 10% di diritto di tribuna; un sistema similspagnolo, maggioritario con collegi piccoli o piccolissimi e miniliste bloccate.
E un modello similsindaci, con elezione sostanzialmente diretta del capo del governo, e conseguente trascinamento della lista o coalizione collegata al premier vincente al 60% (o forse 55%) dei seggi nell’assemblea elettiva.
Bisognerà leggere i testi per una valutazione definitiva. A prima lettura, le proposte — tutte — sono volte a un bipolarismo blindato e alla realizzazione dell’obiettivo di avere dal giorno del voto un vincitore certo non solo nel voto popolare, ma anche — e soprattutto — nei numeri parlamentari. L’uomo solo al comando, eletto con la sua maggioranza per garantirgli di governare per la durata del mandato. Potremmo anzitutto notare che la democrazia di mandato ha già per circa un ventennio dimostrato di non funzionare. Ma soprattutto oggi colpisce l’attenzione che il sistema non sia più bipolare, e che la Corte costituzionale abbia dichiarato l’illegittimità del Porcellum. Di questi — pur decisivi — elementi di novità le proposte avanzate non sembrano tenere alcun conto.
Per le elezioni politiche M5S sembra solidamente attestato intorno a un 25%, non scalfito dai più deludenti risultati di qualche turno amministrativo. Qualunque modello elettorale bipolare forzato su un sistema politico tripolare con ogni probabilità tenderà a penalizzare pesantemente il polo più debole. E dunque primo candidato al sacrificio sembra essere proprio il Movimento 5 Stelle. il secondo candidato è Ncd di Angelino Alfano, probabilmente condannato a scomparire se privato da Silvio Berlusconi della copertura di coalizione.
La chiave di tutto è nella impostazione ipermaggioritaria. Nel nuovo Mattarellum il premio ipotizzato — 15% — è già alto. Ma bisogna aggiungere l’effetto in sé fisiologicamente maggioritario del sistema. Nelle politiche 2001, ad esempio, per l’uninominale Camera la Casa delle Libertà ebbe 16.915.513 voti (45,57%), e 282 seggi; l’Ulivo 16.019.388 (43,15%) e 183 seggi. Un margine di poco più del 2% dei voti regalò al centrodestra un vantaggio di quasi cento seggi. In Sicilia fu cappotto per il centrodestra.
Per il sistema simil-spagnolo valgono considerazioni analoghe. Come è stato scritto su queste pagine, la legge elettorale è fortemente criticata in Spagna perché distorce troppo la rappresentanza. La piccola dimensione dei collegi produce il doppio risultato di avere una soglia implicita molto alta, e di favorire marcatamente i partiti maggiori, con l’eccezione di quelli minori concentrati territorialmente. Ad un tempo, una pesante alterazione della dialettica democratica, e una potente spinta centrifuga verso la frammentazione del paese.
E veniamo al sindaco d’Italia. Vediamo i risultati in voti e in seggi — dopo il ballottaggio e la vittoria di Luigi De Magistris — nelle elezioni comunali di Napoli del 2011. Pdl 97.752, 8 seggi; Pd 68.018, 4 seggi; Idv 33.320, 15 seggi; Forza Sud Socialisti Liberali 21.382, 1 seggio; Udc 21.315, 2 seggi; Napoli è Tua (lista del sindaco) 18.902, 8 Seggi; Sel 16.283, 1 seggio; Federazione della Sinistra 14.973, 6 seggi. La distorsione della rappresentanza è con ogni evidenza fortissima. Tutto si spiega con il trascinamento al 60% dei seggi delle liste collegate al candidato sindaco vincente.
È davvero difficile pensare che uno dei modelli indicati sia coerente con il principio di tutela della rappresentanza comunque posto dalla decisione della Corte costituzionale sul Porcellum. Non servirebbe allungare il passo per precedere le motivazioni. Quali che siano, non possono smentire il già deciso: e quello basta. Si può magari consigliare alla Corte di non essere stringata nell’argomentare, vista la gran voglia di svalutare la sentenza prima ancora che sia depositata. Ma è comunque facile prevedere che soluzioni incongrue sarebbero riportate all’attenzione della Corte. O magari attaccate già prima del voto con una iniziativa referendaria da parte di chi si vede messo nell’angolo.
Consideriamo anche, per tutte le proposte, l’effetto di ulteriore frantumazione del sistema politico che si è prodotto sia nel maggioritario di collegio che nel proporzionale con premio di maggioranza. Ogni elezione ha visto schede grandi come lenzuoli, affollate di liste civiche di ogni peso e caratura. Dunque, insistere sulle vie fin qui percorse non può consolidare politica e istituzioni. A che serve, al di fuori dell’ipotesi di avere un docile assemblea, del tutto privata di una effettiva funzione di rappresentanza, e popolata di yes men pronti ad alzare la mano a comando? Dopo il partito personale, vogliamo il governo e il parlamento del capo? Non fa nessuna differenza che indossi il doppiopetto o il giubbino di Fonzie.
Soprattutto in un tempo di cambiamento e di scelte che toccano valori fondamentali, la vera questione è di quanto proporzionale abbiamo bisogno, e in quale forma. In democrazia, zittire le voci dissonanti tra i governati non rafforza i governanti.
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