E’ con la morte nel cuore che assistiamo in queste ore alla
caduta della città curda di Kobane, nonostante l’eroico sacrificio dei
suoi abitanti e dei combattenti delle milizie popolari, mentre le
polizie di mezzo mondo tengono a bada le comunità curde che manifestano
rabbia e sconcerto nelle capitali occidentali e gli apparati repressivi
turchi utilizzano contro gli abitanti dell’Anatolia la stessa moneta di
sempre, il piombo delle pallottole.
E’ innegabile che il popolo curdo rappresenti oggi un vero e proprio
“vaso di coccio” nella feroce competizione globale in atto in Medio
Oriente, che vede ormai un “tutti contro tutti” con il coinvolgimento
delle grandi potenze e di nuovi soggetti emergenti tra i quali c’è anche
un movimento islamista radicale che pretende di farsi stato. Le milizie
nere dell’Isis dilagano in territori sconvolti da due decenni di
guerre, invasioni e occupazioni frutto dell’intervento dell’imperialismo
occidentale che non ha esitato a cancellare interi Stati pur di
realizzare i propri obiettivi di dominio.
Era già accaduto che i curdi diventassero la vittima sacrificale
della spartizione del Vicino Oriente – quando ancora si chiamava così,
prima che gli Stati Uniti diventassero una potenza globale e cambiassero
anche la geografia – tra le potenze coloniali europee al termine della
Prima Guerra Mondiale. Quando con il Trattato di Sevres Francia e Gran
Bretagna si spartirono le spoglie dell’Impero Ottomano nel 1920, al
popolo curdo fu promesso uno stato indipendente, e ne vennero tracciati
anche degli ipotetici confini. Ma nel giro di pochissimo tempo Parigi e
Londra (e anche Roma) cambiarono idea e lo stato curdo indipendente
scomparve dalle mappe ritracciate sulla base dei rispettivi interessi
coloniali.
Oggi la Turchia, le petromonarchie della penisola arabica, l’Unione
Europea, gli Stati Uniti e Israele - che hanno sostenuto direttamente o
indirettamente o hanno comunque tollerato la crescita esponenziale del
movimento guidato dal ‘califfo’ Al Baghdadi -assistono inermi o
addirittura compiaciuti all’ennesimo sacrificio del popolo curdo. Lo
‘Stato Islamico’ si è rivelato essere uno strumento assai utile a
disposizione dei diversi attori che, per motivi anche divergenti, hanno
pensato e pensano tuttora di utilizzarlo per imporre i propri interessi
nella regione. Contro l’asse sciita tra Hezbollah, Damasco, Baghdad e
Teheran, per togliere di mezzo il governo Assad in Siria, per disgregare
ulteriormente gli stati coinvolti dalla crisi e quindi imporre meglio
il proprio dominio, per indebolire la residua presenza di Russia e Cina
nell’area.
E anche, esplicitamente nel caso della Turchia, per infliggere un
duro colpo alle organizzazioni della resistenza curda che non hanno
piegato la testa nonostante la feroce repressione. E che, nei territori
del Rojava siriano hanno sviluppato, in piena guerra, un modello
sperimentale di autonomia e di convivenza democratica tra le diverse
comunità ed etnie che abitano quel territorio, oggi a rischio di essere
spazzata via dal dilagare delle milizie jihadiste. Un modello di
autogestione e di partecipazione multietnico e multiculturale, basato su
un patto di non aggressione con il governo siriano in nome della lotta
contro il comune nemico fondamentalista, opposto a quanto i curdi
‘buoni’ – dal punto di vista occidentale, ovviamente - hanno realizzato
nel nord dell’Iraq grazie all’occupazione militare e alla spartizione
del paese operata dagli Stati Uniti e dai suoi alleati. Il governo
‘autonomo’ di Erbil ha scelto di farsi strumento di Washington e di
Israele, e addirittura di stringere ottime relazioni politiche ed
economiche con quel governo turco che continua a massacrare i curdi
‘cattivi’ del Pkk. Che, nonostante tutto, non hanno esitato un momento a
raggiungere Sinjar o altre zone sottoposte all’assalto dell’Isis per
mettere in salvo la popolazione curda dopo che i peshmerga di Barzani
erano scappati a gambe levate.
I curdi dimostrano in tutto il Medio Oriente e ovunque siano, Italia
compresa, una straordinaria capacità di mobilitazione e una
determinazione che vanno sostenute e appoggiate senza riserve. A partire
dalla richiesta che il Partito dei Lavoratori del Kurdistan e le altre
formazioni della resistenza curda vengano immediatamente depennate dalle
liste nere antiterrorismo dell’Unione Europea e dei singoli paesi e gli
si permetta di organizzare al meglio, anche nei nostri territori, la
difesa delle proprie comunità sotto attacco.
Oggi è chiaro a tutti, anche ai media più distratti, che se c’è una
forza che in Turchia, in Iran e in Siria combatte il terrorismo e
l’imperialismo è la guerriglia curda. E’ un imperativo categorico
sostenere la resistenza di decine, centinaia di migliaia di uomini e
donne che, capaci di trainare altre comunità sotto attacco da parte dei
tagliagole islamisti, stanno dando una grande lezione a un mondo
occidentale e arabo intollerabilmente cinico, convinto che il destino di
un intero popolo possa essere sacrificato sull’altare del
soddisfacimento dei propri interessi.
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